Giornalismo o Propaganda? Verità o menzogna? Chi è il giornalista oggi? Cosa rappresenta? Qual è il suo mestiere? Al servizio di chi lavora?
Joseph Pulitzer, all’inizio del Novecento, quando si apprestava a realizzare il suo ambizioso progetto di fondare una Scuola di Giornalismo, che solo postumo venne accolto dalla Columbia University di New York, scriveva: «Quale sarà la condizione della società e della politica di questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti?»
Oggi più che mai, il giornalismo del Ventunesimo secolo sta attraversando una crisi di credibilità senza precedenti. A distanza di oltre un secolo dalla nascita del progetto di Pulitzer sul “giornalismo moderno”, il consumo e la quantità della notizia hanno raggiunto livelli inimmaginabili fino a pochi anni fa, prima dell’avvento dirompente dell’informazione via social di cui usufruiscono la quasi totalità dei cittadini occidentali. La qualità dell’informazione è diventata l’unico argine alla disinformazione, alla propaganda di partito, al condizionamento per fini diversi dal mantenimento della democrazia e della verità. La qualità come unico e imprescindibile avamposto perché, scriveva Pulitzer, «la nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme».
E allora, perché l’informazione vera, quella che corrisponde ai fatti reali, è così importante in un sistema che vuole definirsi democratico?
Era il 7 aprile del 1904 quando il 32° Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, voluto dagli americani per ben quattro mandati presidenziali consecutivi, pronunciò queste parole: «L’uomo che scrive, l’uomo che mese dopo mese, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno fornisce il materiale destinato a plasmare il pensiero del nostro popolo è sostanzialmente l’uomo che più di chiunque altro contribuisce a determinare la natura del popolo e il tipo di governo che esso deciderà di darsi.»
Più di trent’anni dopo queste parole, il potente Ministro della Propaganda del Terzo Reich dal 1933 al 1945 e tra i più influenti gerarchi nazisti, Joseph Paul Goebbels, immaginiamo “ispirato” dalle parole di Roosevelt, ideo delle tecniche di propaganda così efficaci e così dirompenti da portare Adolf Hitler al potere in Germania e a inventarsi il motto «Ripetete una cosa qualsiasi cento, mille, un milione di volte e diventerà verità.»
Qualche anno fa, dopo aver riletto il saggio “Sul giornalismo” di Joseph Pulitzer, pubblicato in USA nel maggio del 1904 su “The North American Review” e in Italia nel 2009 da Bollati Boringhieri, ne parlai con alcuni miei amici giornalisti: pochi lo conoscevano, nessuno l’aveva mai letto!
Nell’immaginario collettivo italico, “il Pulitzer” rappresenta un importantissimo e prestigiosissimo premio giornalistico e letterario statunitense. Pochi sanno che Joseph Pulitzer, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fu un grandissimo editore-giornalista-politico e finanziere ungherese-statunitense, che ideò la prima scuola di giornalismo al mondo, realizzata dalla Columbia University nel 1912, un anno dopo la sua morte e venti anni dopo che Pulitzer aveva presentato pubblicamente il suo ambizioso progetto di una “Scuola di studi avanzati di giornalismo”.
Per parlare di giornalismo, oggi bisognerebbe tornare alle origini, “bisognerebbe guardare a quel futuro che si trova nel passato” (sagge parole di Paolo Mieli pronunciate all’interno in un bellissimo documentario sull’origine della Treccani realizzato da Rai Cultura, vedi link a piè di pagina), tornare a Pulitzer rileggendolo o leggendolo per la prima volta. Se non altro perché servirebbe per rispondere a questa semplice domanda: qual è il confine tra “chi fa propaganda”, notoriamente finalizzata alla conquista ed al mantenimento del potere utilizzando l’inganno e la menzogna ripetuta all’infinito tanto da farla apparire verità, e il “giornalista” di cui traccia un magnifico profilo Pulitzer alla fine dell’Ottocento?
«Un giornalista è la vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui.»
È quella tracciata da Pulitzer l’identità del vero giornalista che si veste della nobile missione di riferire la verità che osserva e con la quale plasma il pensiero del popolo perché decida il migliore governo possibile nell’interesse comune, per dirla con Franklin Delano Roosevelt.
È tutt’altra cosa, ma non è certamente un giornalista, colui che con l’inganno e con la menzogna, utilizzando tutti gli strumenti che il suo padrone/editore gli mette a disposizione, ripete ossessivamente e ripetutamente delle falsità perché “si trasformino” in verità, per dirla con Joseph Paul Goebbels.
Il libro:
Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo”, Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2009
https://www.bollatiboringhieri.it/libri/joseph-pulitzer-sul-giornalismo-9788833918761
Joseph Pulitzer
https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Pulitzer
Il documentario: Treccani, il volto delle parole
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm