Smettila di paragonarti agli altri e abbraccia chi realmente sei | di Maria Teresa De Donato

da | 18 Settembre 2024 | Attualità, Libri, Salute e benessere

“L’istruzione dovrebbe inculcare in noi tutti l’idea che l’Umanità è una sola famiglia con comuni interessi. E di conseguenza che la cooperazione è più importante della competizione.” (Bertrand Russell)

Molti di noi concorderanno che il paragonarsi agli altri è qualcosa che avviene più spesso di quanto non lo si desideri.  E questo sin dalla più tenera età: coloro che hanno dubbi al riguardo e non hanno figli o nipoti da poter osservare e che possano far cambiare loro idea in materia sono invitati ad andare a visitare un asilo nido e a sedersi per un po’ nella stanza dei bambini di età compresa tra i 12 ed i 24 mesi.

Si tratterà solo di aspettare un po’, ma prima o poi uno di loro guarderà il giocattolo con cui ha giocato per un po’, per qualche minuto o anche solo per pochi secondi, deciderà che quello con cui il/la bambino/a accanto a lui/lei sta giocando è più bello, più interessante, o semplicemente più colorato, glielo strapperà dalle mani e – qualora lo reputasse necessario – gli/le darà una spinta nel caso l’altro/a non sembrasse convinto/a a lasciarglielo più o meno spontaneamente o a riconoscere chi avrà il comando del gioco da quel momento in poi, e se ne impossesserà.

Sì, lo so, starete pensando che i bambini di quell’età, e quelli piccoli in genere, hanno problemi di questo tipo poiché non hanno ancora imparato e assimilato concetti fondamentali quali quelli relativi alla proprietà e al possesso.  Avete assolutamente ragione.  Allo stesso tempo, però, senza averlo notato e senza esservene resi conto potreste aver mantenuto voi stessi per tutta la vita  tale attitudine negativa di confrontarvi con gli altri.  Come?  Facciamo qualche esempio prendendo in considerazione sia uomini sia donne.

Iniziamo con il chiarire una cosa: la tendenza, o dovremmo piuttosto dire, l’abitudine e attitudine malsane, di paragonarci agli altri non ha nulla a che vedere con l’altro/a – chiunque esso/a sia – ma tutto a che vedere con noi stessi, con la nostra insicurezza, la scarsa stima di noi stessi e il nostro timore.  Tutti questi fattori sono, infatti, la causa principale di gelosia e invidia e ci portano a vedere che “l’erba del vicino è sempre la più verde.”

A mio avviso, e stando a ciò che ho personalmente osservato e compreso nel corso di vari decenni attraverso l’esperienza sia diretta sia indiretta, esistono delle differenze tra i sessi opposti e che vedono le donne sicuramente detentrici del primato.  Gli uomini, infatti, benché anch’essi possano cadere nella trappola di confrontarsi con altri, generalmente hanno un’area di azione molto più limitata, ossia hanno la tendenza a paragonarsi a qualcun altro e ad entrarvi in competizione e, di conseguenza a esserne invidiosi o gelosi per pochi motivi, nella maggioranza dei casi legati allo stato sociale e alle risorse finanziarie.  Gli uomini, quindi, hanno problemi e manifestano apertamente la loro attitudine competitiva o boicottano in maniera più subdola l’altro per ragioni quali una posizione professionale più elevata detenuta da un collega, per una promozione – meritata o meno – e il conseguente aumento di retribuzione che essa comporta, per la possibilità che l’altro ha di acquistare una casa, una macchina, o una moto più grande o più bella e, a volte, per qualcuno che ha sposato, si è fidanzato o semplicemente ha una relazione con un/a partner più bello/a o semplicemente più intelligente del/la proprio/a.  Questa stessa attitudine competitiva a volte può estendersi al settore ‘figli’, così che coloro che sono padri finiscono con il fare paragoni tra i possedimenti materiali che i loro figli hanno, o non hanno, rispetto a quelli che hanno i figli degli altri, cosa che ha anch’essa a che vedere con ciò che essi, in quanto genitori, possono permettersi o meno e, di conseguenza, offrire o non offrire ai propri figli, e l’abilità e volontà dei loro figli di ottenere voti alti a scuola e persino di frequentare l’università, con entrambi gli aspetti sempre legati alla possibilità di avere un futuro migliore di quanto non l’abbiano avuto essi stessi come genitori.  Ancora una volta, perciò, la maggior parte dei motivi, se non addirittura gli unici, che inducono gli uomini a competere tra loro sembrano riferirsi al proprio stato sociale e alla propria possibilità finanziaria.

Le donne, al contrario, dotate come sono di una fantasia e un’immaginazione di gran lunga maggiori di quelle degli uomini, riescono a essere molto più creative anche per ciò che riguarda la lista, praticamente infinita, di categorie di motivi che possono indurle a fare paragoni e, di conseguenza, ad esprimere in un modo o nell’altro, la propria competitività.  Quest’ultima, infatti, benché a volte non chiaramente e verbalmente espressa, può essere anche molto più evidente di quanto non lo consentano le parole attraverso l’uso del silenzio.  Molte volte, infatti, piuttosto che esprimere la propria invidia e/o gelosia verso l’altro soggetto femminile, quella che per natura è competitiva, o lo è in misura maggiore – poiché non tutte lo sono o lo sono allo stesso livello – manifesta i suoi veri sentimenti ignorando completamente l’altra.  Altre volte, invece, quando questi sentimenti vengono espressi apertamente essi prendono la forma di dichiarazioni e commenti dispregiativi e/o denigratori.  Perciò, in linea generale, nel mondo femminile quasi ogni cosa può far scattare la competizione in una donna: da chi era la più brava a scuola, a chi ha il colore più bello degli occhi, le scarpe più alte, il makeup migliore, il colore-la forma-lo stile di capelli più alla moda, la casa più pulita, e così via all’infinito.

Sebbene la competizione sembri generalmente aver luogo tra persone dello stesso sesso, di tanto in tanto accade anche tra persone di sesso opposto.  Stando a quanto da me osservato, questo succede per una o più delle seguenti ragioni, ossia quando un uomo e una donna concorrono per la stessa  posizione e il conseguente avanzamento di carriera, con l’uomo che – a prescindere dall’attitudine femminile – ha generalmente difficoltà a riconoscere la donna come suo capo e/o ad accettare il fatto che questa possa avere un livello di istruzione superiore al suo, che sia più intelligente o che abbia semplicemente una personalità più sicura, determinata o persino dominante.  In questo caso, infatti, oltre a problemi di personalità potrebbero esserci anche delle ragioni storiche che affondano le radici nella notte dei tempi e sono radicate in quasi tutte le culture.  Mi riferisco al fatto che quasi tutte le civiltà, fatta eccezione di quelle fondate sul matriarcato, hanno insegnato che è l’uomo a essere il capo, al comando della famiglia, della comunità, della nazione e che, perciò, è lui a dover provvedere, soprattutto finanziariamente parlando, ai bisogni di coloro che ama.  Gli uomini vengono educati con questa convizione e, quindi, quando si trovano in una situazione che dimostra che ciò che è stato loro insegnato non è sempre vero si sentono a disagio, insicuri, tutto il loro mondo viene scosso.  Malgrado ciò, tuttavia, in anni recenti molte situazioni sono cambiate, con l’economia mondiale e il conseguente mercato del lavoro e le possibilità di trovarne uno che hanno dimostrato di essere piuttosto instabili a prescindere da dove si viva, ragion per cui alcuni uomini si sono ritrovati a rivestire ruoli che non avrebbero mai pensato di ricoprire e tantomeno che sarebbero stati considerati accettabili dalle precedenti generazioni.

Comunque, a prescindere da chi sia coinvolto in questo processo e chi faccia paragoni e sia in competizione, l’aspetto più importante da considerare è che più frequentemente i paragoni vengono fatti, più competitiva la persona si sente, più insicura la persona dimostra di essere e meno si gode la vita.  Perché?  Perché ciò  che realmente genera il bisogno di confrontarsi e di entrare in competizione è – come detto in precedenza – la propria insicurezza, cioè, la propria paura di non andare bene così come si è (di non essere abbastanza intelligenti, istruiti, ricchi, etc.).  Tutto ciò è profondamente radicato  nella mancanza di conoscenza del Sé e nella mancanza di consapevolezza del proprio valore in quanto essere viventi intelligenti e che meritano di essere felici e di godersi completamente la vita a prescindere dalla propria apparenza fisica, dal proprio stato sociale e quant’altro possa essere considerato erroneamente importante nella propria vita, ma che in realtà non lo è assolutamente. 

Solamente quando comprendiamo questi aspetti e ciò che è veramente in gioco, solo quando ci connettiamo con il Sé, abbracciamo chi realmente siamo e amiamo chi siamo riusciamo a liberarci dal peso del confrontarci con gli altri, dall’invidia, dalla gelosia, e la smettiamo di essere competitivi. 

Essere in grado di fare ciò, amando noi stessi e gli altri – indipendentemente da chi siano e cosa facciano nella vita – e mostrando uno spirito di solidarietà aiutandoci gli uni gli altri ed essendo pronti a farlo a prescindere dal fatto che ci venga richiesto o meno, è l’unico modo che abbiamo per dimostrare che abbiamo capito che siamo tutti connessi gli uni agli altri e che non può esserci alcuna felicità fino a quando un altro essere vivente soffrirà o non sarà amato.  Solo allora, ossia, solo quando manifesteremo in noi stessi la trasformazione che vogliamo vedere nel mondo – come espresse in maniera stupenda Mahatma Gandhi – potremo conoscere il vero Amore, la vera Felicità e completa Salute e rendere questo Mondo un posto migliore.  

 Maria Teresa De Donato©2013-2015. All Rights Reserved



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