SECOP edizioni e l’Associazione FOS sono state tra le realtà pugliesi protagoniste di DIDACTA Italia alla Fiera del Levante di Bari che ha avuto luogo dal 16 al 18 ottobre.
Grazie ai loro due workshop e numerose iniziative collaterali, è stato evidenziato l’importanza e il ruolo della parola oggi nella nostra società. Un dibattito all’interno del quale, sono intervenute due realtà pugliesi in occasione di DIDACTA Italia: SECOP edizioni e Associazione Culturale FOS.
DIDACTA Italia è sicuramente il più importante evento fieristico nazionale dedicato al mondo della scuola, dell’Università e della formazione. Importantissimi gli stand di SECOP, unica casa editrice pugliese presente in fiera, e FOS a cui si deve la nascita della Scuola di formazione editoriale per la transizione digitale “La tridimensionalità della parola”.
Proprio in virtù di questo evento, oggi parliamo con e di Gianluca Simonetta (direttore scientifico della Scuola di Editoria Digitale “La Tridimensionalità della Parola”) che insegna all’Università di Firenze (“Laboratorio di strategia comunicativa” e “Scrittura creativa”) e si occupa di digital writing oltre al far ricerca nel campo della retorica digitale.
Gianluca Simonetta lavora come consulente alla comunicazione per istituzioni, aziende e startup; collabora con il mondo scuola per progetti di alfabetizzazione digitale.
Cosa si intende per scuola di formazione editoriale per la transizione digitale?
Il progetto della nostra scuola risponde al bando TOCC sulla Transizione digitale degli Organismi Culturali e Creativi, che è finanziato dall’Unione Europea e dal Ministero della Cultura con fondi PNRR. Noi abbiamo vinto con una proposta che prevede di costruire una figura professionale che sappia essere un “operatore della creatività digitale”. Uso questa espressione per indicare quella figura che affianca il creativo digitale. I digital creators sono oggi affiancati da digital agency che ne monetizzano i contenuti. Fanno bene. Fanno il loro. Noi con la nostra scuola vorremmo creare una figura che sia in grado di affiancare i digital creators per valorizzare i loro contenuti. Perché se c’è valore la monetizzazione verrà da sé.
Dove lavora questo operatore della creatività digitale? Per noi dovrebbe lavorare nelle case editrici non meno che nelle digital agency. Anzi, a noi sembra che questa sia una preziosa occasione per far transitare l’editoria tradizionale verso la dimensione digitale dei contenuti.
Che ruolo ha oggi la parola, secondo te, per le nuove generazioni? Ne fanno buon uso?
La parola ha sempre avuto un ruolo chiave. Oggi è una parola potenziata dalle infrastrutture dei network digitali. Basta un battito di labbra nella stanzetta di un adolescente per scatenare una tempesta comunicativa dall’altra parte della Rete. A noi fa ridere che una ragazzina si metta a parlare in corsivo o spenda il suo tempo creando tutorial di bellezza su TikTok. Ma basta prestare attenzione a quello che dicono quelle parole per accorgersi che in mezzo a tanta chiacchiera passano anche messaggi potenti. Ricordate il caso di Feroza Aziz? Era una ragazza del New Jersey che su TikTok mascherava da tutorial su come arricciarsi le ciglia quello che di fatto era un messaggio di attivismo sociale rivolto ai suoi coetanei: “mettete giù il piegaciglia e impugnate lo smartphone per informarvi su cosa sta succedendo in Cina nei confronti della comunità degli uiguri.
Voglio dire: le parole sono il medium per eccellenza, se le piattaforme le potenziano sta a noi cercare di dire le cose più giuste. I nostri figli qualcosa la stanno dicendo. Noi spesso ci attardiamo ad augurarci buongiorno e buongiornissimo e a vomitare odio contro chi non la pensa come noi… Direi che loro ne stanno facendo buon uso. Noi potremmo farci ispirare…
Durante la partecipazione a DIDACTA, cosa attraeva e coinvolgeva maggiormente gli studenti?
Gli studenti ci hanno seguito in questa iniziativa perché hanno capito che non ci limitavamo a dargli diritto di parola (loro dovevano creare contenuti digitali in cui esponevano ai visitatori della Fiera i progetti didattici che hanno condotto durante gli anni scolastici precedenti), ma che ci assumevamo anche il dovere di ascolto. E infatti diversi degli insegnanti e dei dirigenti scolastici che sono stati interpellati dai ragazzi si sono congratulati con loro per l’ottimo lavoro che hanno fatto. Non erano pat pat sulle spalle, erano adulti che volevano ripetere la stessa esperienza con i loro studenti. I ragazzi hanno antenne speciali per capire quando siamo onesti con loro.
Su quali strategie e metodologie bisognerebbe puntare per educare i giovani ad un corretto uso ‘tridimensionale’ della parola?
Cominciamo col dire che parlando di parola tridimensionale non ci riferiamo solo alla parola scritta, alla parola parlata e alla parola digitale. Per noi la parola è tridimensionale quando esce dal suo supporto, carta o pixel che sia, e si mostra a tutto tondo mentre si muove nei nostri vissuti.
In tal senso noi non dobbiamo insegnare ai ragazzi che esiste la parola tridimensionale, loro questo lo sanno già, anche meglio di noi. Sanno parlare e scrivere con un meme, con un selfie, con un video, con una audio ASMR, perché sanno parlare e scrivere digitale. Sono loro stessi i creator dei contenuti di intrattenimento che consumano maggiormente.
Noi però dobbiamo ascoltarli (e affiancarli) quando si servono della parola per perorare le cause che gli stanno più a cuore: l’anno scorso i ragazzi di un liceo milanese hanno parlato della loro esigenza di occuparsi del benessere scolastico distribuendo un form digitale tra i compagni di scuola. Questo è un uso tridimensionale della parola. Una parola a tutto tondo, fatta di inchiostro, di voce, di bit e di idee. Ma come abbiamo reagito? Vietando l’uso dello smartphone a scuola.
C’è un libro di qualche anno fa che però non è ancora invecchiato, anzi. È il libro di Danah Boyd intitolato It’s complicated. La vita sociale degli adolescenti sul Web. È un libro che racconta gli usi della parola online nelle sue varie dimensioni, anche quelle che sembrano configurare forme di cyberbullismo. Ebbene quel libro ci dice che in fondo “i ragazzi stanno bene, ma vogliono essere compresi”. Sta a noi imparare ad usare correttamente la parola nella sua tridimensionalità.
È quello che cerchiamo di fare nella nostra Scuola di Editoria “La Tridimensionalità della Parola”: chi volesse unirsi a noi può farlo visitando la pagina www.associazioneculturalefos.org/la-tridimensionalita-della-parola/ e compilando il modulo di adesione.