La “Volontà di Potenza” secondo Friedrich Nietzsche | di Aurora d’Errico

da | 15 Novembre 2024 | Attualità, Libri

Oggi, cari lettori di Mobmagazine.it, vorrei ricordare la dottrina della “volontà di potenza” elaborata da uno dei filosofi più controversi che sia mai esistito: Friedrich Nietzsche.”

Ci siamo mai lamentati di essere incompresi, misconosciuti, scambiati per altri, calunniati e inascoltati? Eppure è questa la nostra sorte, e lo sarà a lungo….” (da “La Gaia Scienza” di Nietzsche). Per il filosofo la conoscenza è un’attività pericolosa dalla quale il più delle volte non si esce indenni, in quanto non si limita ad essere un freddo processo mentale con cui acquisire informazioni che perfezionano la nostra visione del mondo nel quale riconosciamo la nostra condizione di essere umani, ma diversamente, la conoscenza autentica si fonda su “un’esperienza attraversata” che non permette più di tornare a pensare o sentire nello stesso modo. L’ atto conoscitivo proposto dal filosofo si avvicina più all’esperienza inquietante dell’immersione totale in una bella opera d’arte o, meglio, in un paesaggio naturale.

È la conoscenza che secondo Nietzsche rappresenta una scossa e altera profondamente il nostro sguardo. Pertanto, occorre stimolare questo genere di conoscenza trasformatrice e affrontarla con lo stesso atteggiamento di coloro che entrano in un laboratorio, pronti a sperimentare. Per Nietzsche il mondo è puro divenire, uno scenario in cui tutte le cose sono sottoposte a un movimento incessante, ma per poter spiegare questo mondo imperfetto, i filosofi sentono la necessità di inventarsi un altro livello di realtà, il mondo perfetto delle “essenze”.

Per questo elabora la dottrina della “volontà di potenza”, ovvero un concetto composito in cui confluiscono le rappresentazioni del mondo che Nietzsche ha proposto in passato: il dio Dioniso che accoglie nel suo seno tutte le contraddizioni, il fiume di Eraclito in costante fluire, l’anello dell’essere eterno, i nuclei infiniti di forza che compongono l’universo e così via. Per Nietzsche il mondo è un mostro di forza senza principio e senza fine, una quantità di energia fissa che non si consuma ma si trasforma, che nella sua totalità è una grandezza invariabile.

È un mare di forze che fluiscono e si agitano su sé stesse, in eterna trasformazione che scorrono in eterno a ritroso. L’uso della parola “volontà” non si riferisce a una facoltà umana, alla nostra capacità cosciente di volere qualcosa che ci manca, ma è intesa come il motore interno presente in tutti i processi organici. La volontà di potenza si definisce come tendenza all’incremento e allo sviluppo, una “lotta per essere di più e meglio”.

E non si tratta di una volontà di vivere come la Volontà di Schopenhauer, né un mero istinto di conservazione o di sopravvivenza come quello a cui si riferisce Darwin. Nietzsche ritiene che in tutti gli esseri si nasconda un impulso a crescere e a espandersi. La volontà di potenza non è volontà di dominio, in quanto gli esseri umani non vogliono esercitare o avere potere, bensì affermare sé stessi, scaricare la loro forza, esprimere la loro differenza individuale. Il loro potere si riferisce al potere di auto trascendersi, di andare cioè in ogni istante fino alle ultime conseguenze. Per Nietzsche, la realtà non possiede di per sé nessun tipo di struttura o regolarità, ma è essenzialmente un enorme caos di forze contrapposte, costituita da unità di forza permanentemente in contrasto le une con le altre e l’unica cosa che definisce un quantum o unità di forza è l’effetto che produce o subisce rispetto a un altro quantum. In concreto, tutti noi siamo per il filosofo un corpo attraversato da una molteplicità anarchica di forze di cui ci rendiamo a malapena conto, ma che determinano la nostra condotta.

E, mentre per Cartesio, l’atto del pensare dipende dall’esistenza di un soggetto pensante: “io sono qualcosa che pensa, una sostanza che produce pensieri”, Nietzsche invece rifiuta l’idea di un soggetto pensante dotato di un’esistenza propria e indipendente, precedente al pensiero, rovescia il ragionamento cartesiano e afferma che è l’evidenza dell’atto del pensare a produrre il pensatore, e non l’inverso.

Questo soggetto, questo “io”, non è che una finzione, una mera apparenza e dietro questo suo carattere illusorio ci sarebbe il divenire innocente della volontà di potenza.

La concezione dell’essere umano fondata sulla volontà di potenza, comporta anche una critica del concetto di coscienza, in quanto il filosofo non la ritiene una facoltà privilegiata che ci pone al di sopra degli altri animali, ma la vede come la nostra dotazione corporea più imperfetta e carente in quanto più recente nello sviluppo della specie umana. Egli ritiene che la nostra attività cosciente dipenda da pulsioni che rimangono al di fuori della portata della nostra conoscenza e, in questo senso, sarà chiaramente un precursore di Freud anticipando molti degli sviluppi della psicoanalisi e della psicologia contemporanea.

Avv. Aurora d’Errico

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