Intervista all’artista Franco Bartolo Longo | di Aurora d’Errico

da | 17 Gennaio 2025 | Arte, Interviste, Mostre, Pittura

Oggi entreremo nel mondo dell’arte e lo faremo con FRANCO BARTOLO LONGO, artista poliedrico in quanto pittore, scultore, incisore e fotografo. Buongiorno, Maestro e ben venuto nel mio salotto.

Buongiorno a Lei Dottoressa d’Errico e a tutti i suoi gentili lettori. Le sono molto grato per aver scelto di parlare di me dando risalto al mio operato. Fino ad ora sono stato intervistato da TV pubbliche e private, da Radio e sono andato a finire sulla carta stampata. Mi mancava il mezzo elettronico e di questo Le sono immensamente grato.

Secondo la visione di Platone, l’artista si illude di fare una cosa impossibile, ovvero plasmare la bellezza nella materia che è invece vincolata ai limiti temporali e terreni e dunque non può assolutamente aspirare alla perfezione. Per cui l’arte sarebbe per sua stessa natura non invenzione ma “Mimesis”, ovvero, “copia” e una copia per sua natura, sarebbe sempre imperfetta, poiché illusoria, in quanto una sorta di distorsione della realtà. E questa “distorsione” creerebbe una confusione tra verità e desiderio. Ecco perché per Platone l’artista sarebbe sostanzialmente un “bugiardo”. Ad una tale affermazione, lei come risponde? Davvero l’artista può essere considerato una sorta di “illusionista” davanti alla materia?

Parto dal presupposto che grandi artisti, fino a metà 700, hanno prodotto delle meravigliose opere poi o, meglio, prima, il buon Dio ha creato tutto quello che abbiamo intorno. Come potrebbe l’artista moderno plasmare la bellezza. Magari la bruttezza. Oramai ci stanno abituando ad apprezzare la disarmonia e il pressappochismo come valore aggiunto. Man mano nel tempo, si è cercato di semplificare la stesura stessa dell’opera e della preparazione di supporti e colori stessi. Alcune correnti artistiche saltavano a piè pari molti passaggi e da qui si nota che le opere prodotte fino al 500, sono arrivate quasi tutte intatte perché rispettose di regole e tempi di asciugatura. Nell’andare avanti nei secoli le opere sono state vittime di semplificazioni e sintesi del metodo. I restauratori impazziscono nel risolvere problemi insormontabili spesso, senza arrivare a lavori apprezzabili. Questo capita anche con la musica, sempre più destinata alla semplificazione. Alla monotonia strutturale. Tanto che un gruppo musicale italiano ha composto il brano “La mononota”.  Forse si salva la scrittura che per motivi diversi cerca di rispettare dei canoni ma anche in questo caso sono le ultime gocce d’acqua della sorgente asciutta.

Platone mi dà del “Bugiardo”? Fa benissimo. “Illusionista”? Perfetto.

Pensa che sarà ricordato di più come pittore, scultore o fotografo?

Aiuto! Spero si ricordino di Franco Bartolo Longo come di una persona per bene.

I miei amici e le persone care, quando parlano di me mi indicano come “Tu che sai tutto”.

È vero, rispondo sempre a tutte le loro domande e per questo, penso che il mio nome passerà come “Quello che non sapeva nulla” perché so di non sapere nulla.

Lei, Maestro, si è dedicato soprattutto alla “fotografia paesaggistica” e quella “ritrattista”, seguendo i fotografi Ansel Adam e Yousuf Karsh, tanto che il TIME ha utilizzato una delle sue foto per la copertina. Ci può dire quale foto ha scelto e cosa ha provato quando è stato contattato dalla redazione del TIME?

Mi è stato commissionato di fotografare due Corone d’oro e di pietre preziose. Una per la statua di una Madonna, l’altra più piccina per il Gesù Bambino. Opere realizzate da un noto orafo crotonese, famoso in tutto il mondo per aver prestato gioielli ai film di Zeffirelli e di altri registi molto famosi. Non so se quelle corone fossero arrivate su qualche set cinematografico. Il Time ha usato uno dei due scatti fatti per confezionare la copertina del giornale.

Nelle sue creazioni si è ispirato molto a Leonardo da Vinci, copiando i suoi stessi disegni e trasformandoli in dipinti ad olio. Come mai di tanti grandi artisti si è ispirato proprio a da Vinci?

Perché era un pazzo!

Probabilmente lo sono anche io. Stesso modo di saltare da un argomento all’altro. Stesso interesse per qualsiasi cosa. Dislessici entrambi. Rimandava tutto a tempi a venire. Lo faccio anche io. Praticamente mi affascinava la sua ecletticità che ritrovavo pari pari nel mio essere “fuori dalle righe”. Ancora oggi, dopo due, tre lavori su tela devo cambiare e lavorare ad una scultura e poi a un acquerello o a qualsiasi altra cosa. I miei interessi? Ne cito qualcuno così. Quelli che mi vengono al momento: botanica, agricoltura, astronomia, matematica, fisica, archeologia, acquariologia, lettura, architettura, animali, automobili, moto, geografia, sono scout da sempre, musica (l’ho fatta per mestiere), fumetti, esoterismo, falegnameria (nel mio studio ho una piccola falegnameria con varie macchine), filatelia, antiquariato e mi fermo altrimenti non leggerebbe nessuno.

Lei è nato a Milano ma vive a Crotone, ci può dire quando e com’ è nata la sua passione per l’arte?

Si milanese!

Bello. Ho viaggiato tantissimo. È bello vivere in tantissimi posti. Non ho radici e mi sento libero da vincoli geografici. Ogni posto va bene.

A tre anni il mio papà, tenendomi sulle sue gambe, mi faceva copiare alcuni disegnini che la mia mamma faceva. Usavo le mezze matitine colorate della Giotto da 12 colori. Oggi è la tecnica che più mi piace e mi soddisfa. Quindi come può notare è stata l’arte a venirmi a cercare. Sono 54 anni che uso le matite. Più di mezzo secolo. Io vittima dell’Arte. Chissà quanti chilometri di matite avrò consumato in tutti questi anni. La cosa brutta è che, molti anni fa, considerando quei disegni non degni di entrare in una cornice, li ho affidati al cassonetto. Grossissimo errore perché, un noto gallerista milanese sentendo questo si è messo le mani nei capelli. Pare vada conservato tutto, ma proprio tutto. Peccato.

Anche qui un breve aneddoto non guasta.

In terza media l’insegnante di Disegno, ci fece fare un compito in classe di plastilina. Bellissimo. Mi impegnai per fare un bel lavoro. A metà dell’opera questa si accorge del mio “elaborato” e, chiamato il bidello, mi manda, sbalordita, dalla preside che entusiasta del mio “compito in classe”, mi manda in giro per tutto l’istituto, accompagnato dal bidello, per mostrare questo mio capolavoro. (Aiuto che vergogna). Secondo trimestre si ripete la storia. (Imbarazzo totale). Al terzo compito in classe di plastilina decido di fare una porcheria alla Fantozzi. Non l’avessi mai fatto. La preside oltre all’istituto tutto mi mandò dal Provveditore agli Studi e questo mi fece fare, assieme al solito bidello, il giro delle Scuole Medie della città.

Quali sono stati i suoi Maestri?

Proverò ad essere il più breve possibile anche se qui occorrerebbe parlare per giorni.

Di Leonardo abbiamo già detto. All’inizio seguivo tantissimo i grandi pittori classici. Tanti libri illustrati e tante mostre e musei. Poi decisi di cercare un qualsiasi pittore che mi potesse, a voce, dire e dare delle dritte. Il primo che mi capitò a Crotone fu Salvatore Ferragina. Parlava poco. Non mi soddisfava. Anche il suo modo di dipingere non lo apprezzavo molto perché troppo avanti per i miei gusti. Mi accostai, così, a Totò Sfortuniano. Pittore e incisore. Con lui si parla parecchio anche adesso. Avrà novant’anni. Sempre col sorriso, sempre a spiegarmi tutto quello che sa.

Ero contento ma non appagato. Cercando di elevarmi e di evolvere sempre di più, pensai che Crotone fosse troppo limitata per me e di conseguenza mi spostai a Catanzaro dove conobbi tanti artisti locali ma tra questi frequentai Antonino Maria Garufi. Con lui scoprii il colore. Mi fece tornare indietro a Leonardo. Un passo indietro per andare avanti. Questo modo di agire lo adopero sempre. Anni sotto la sua direzione poi l’incontro con Dario Modena. Milanese anche lui. Leggiadro nel dipingere. Con lui imparai i materiali. I supporti, i colori. Dopo dodici anni chiusi col Modena e mi dedicai alla sperimentazione. Per due anni ossi. Sempre con l’intento di trovare un nuovo metodo una nuova personalità pittorica. Non ultimo un nuovo autorevole maestro. L’occasione capitò e fu la volta di Giorgio Michetti. Grande maestro e grande burlone. Mi seguì per sei anni poi per una stupida coincidenza lo perdetti di vista e lo ritrovai cinque anni fa su internet. Dicevo, lo persi dopo sei anni rimanendo di nuovo solo artisticamente parlando. Sempre alla ricerca di artisti validi, conobbi Francesco Ferrovecchi. Insegnava incisione a Napoli. Bellissimo sodalizio col maestro. Mi disse di pensare da artista e non da pittore. Mi ripeteva che ero molto più avanti di quello che credevo e che dovevo osare sempre di più. 

Questi sono stati, molto brevemente, i Maestri che mi hanno formato e diretto in questi anni. Per avere più informazioni basta cercare il mio nome su internet dove c’è un nuovo sito che parla di me e tante altre informazioni.

Aurora d’Errico e Franco Bartolo Longo

All’inizio della sua carriera firmava i suoi quadri usando uno pseudonimo e più precisamente il nome di “Cesare Aqilano”. Come mai?

Come dicevo prima parlando di Dario Modena, mi pesò molto il suo essere severo e rigido anche fuori dall’ambito pittorico. Questa cosa mi fece allontanare da lui e cercare un nuovo indirizzo artistico. Nuovi colori, nuove forme, nuove strade. Per qualche anno sperimentai tantissimo ed osai molto di più. Non volendo inficiare il mio nome con questi nuovi azzardi, usai uno pseudonimo molto altisonante. Cesare Aqilano. Il nome è venuto dall’imperatore Cesare Augusto e il cognome dalla maestosa aquila. Non volendo arrivare alle altezze delle aquile, omisi la “u” e di conseguenza ottenni questo nomignolo molto “tranquillo” e poco altezzoso. Ogni opera era diversa dall’altra per stile, composizione, impasto di colore. Due anni pazzi ma sempre alla ricerca di uno stile nuovo e di una guida autorevole.

Dai suoi primi dipinti si nota l’assenza del colore blu, una scelta appositamente voluta da lei. Ci spiega il motivo? E come mai solo dopo il suo incontro con il grande Giorgio Michetti rispolvererà l’uso del blu?

Questa domanda mi porta a parlare del più grosso antiquario d’Europa, Luigi Armondi di Brescia. Un giorno, parlando con lui, apprezzò molto il mio operato e per andare oltre mi consigliò di confezionare i colori per conto mio e di studiare il colore dal punto di vista chimico. Anche qui si susseguirono ricerche disperate di chimica. Dal risultato di queste, venne fuori che il blu degrada prima degli altri colori e di questo ne ebbi conferma dal fornitore dei colori che uso. Mi diede riprova che tutti i colori, che a tutt’oggi adopero, sono garantiti cinquecento anni tranne il blu che scende a quattrocentocinquanta anni. Colsi la palla al balzo e non adoperai il blu per un quindicennio. Non usando il blu, di conseguenza, non veniva il verde e il viola, suoi complementari. Continuai così per anni fin quando non ritrovai il redivivo Giorgio Michetti il quale mi consigliò molto vivamente, di reimmettere il colore mancante nella mia tavolozza. Cosa che subito feci.

Quasi tutte le sue opere hanno uno stile essenziale in cui gli accostamenti dei colori creano forti emozioni e “l’occhio” rimane il centro della sua pittura. Infatti, ciò che si evidenzia in quasi tutte le sue creazioni è un solo occhio, dando così una sua impronta per così dire “Bartoliana”. Come mai?

Grazie per aver coniato per me questo termine. “Bartoliano”

Chissà se passerà alla storia. (Ride)

Il colore in un mio dipinto ha solo uno scopo evocativo. “L’Occhio”? Quanto e quando possiamo parlare di Occhio. Un simbolo che troviamo in tutte le culture in tutti i tempi e in tutte le latitudini. Senza dilungarmi o toccare ambiti lontani da quello artistico, mi limito a citare la Bibbia quando dice che “Gli occhi sono lo specchio dell’anima”. Ma l’uomo ha ancora un’anima? Cos’è rimasto di quell’uomo che aveva una forte spiritualità e cercava Dio anche nei sassi? Cosa siamo diventati oggi attraverso le super tecnologie tanto utili quanto fallaci? A questa domanda devo rispondere nel seguente modo. L’uomo moderno tiene un occhio fuori, di conseguenza visibile sulla tela, bisognoso di appagamenti futili e ridicole esteriorità e l’altro, Omesso ai più, nascosto, timido e alla ricerca spasmodica di un “Io” dentro che ci eleva e ci rende diversi e unici.

Guardarsi dentro è la cosa più terribile che un essere “vivente e pensante” possa fare. Quanti di noi hanno voglia di fare silenzio dentro di “Se”?

Cosa rappresenta l’arte per lei?

Il respiro. Il pensare. Il gioire. La liberazione. La libertà. La trasgressione. L’essere sopra il pensiero del mondo ed entrare dentro il proprio animo. Prendere l’energia che il buon Dio ci ha messo a disposizione e come i bimbi che giocano con i Lego, mettere insieme forme ed emozioni e creare forze che soltanto altre anime elevate riescono a leggere, apprezzare, percepire.

Si definisce più un pittore figurativo o astrattivo?

Sono un “Bartoliano” (Ride)

Sono un figurativo che schiaccia fortemente l’occhio all’astratto.

Grazie infinite, Maestro, per il tempo che ha dedicato alla mia rubrica e ai miei lettori! Buon lavoro e viva l’arte in ogni sua espressione!

Grazie ancora per avermi omaggiato di questa piacevole intervista. Faccio i complimenti alla Sua persona, ai suoi scritti e a tutti i cari lettori che avranno voglia di leggerci.

Ancora Mille grazie Avvocato Aurora d’Errico!

Avv. Aurora d’Errico

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