Assumerci la responsabilità delle nostre decisioni e conseguenti azioni, con la consapevolezza che siamo trattati dagli altri per come lo permettiamo, resistendo all’illusorio anestetico della giustificazione assolutoria e non disperdendo preziose energie nella ricerca del “colpevole” – ovvero qualcuno cui imputare i nostri fallimenti -, ci solleva dalla trappola dell’inettitudine, il vero blocco alla nostra evoluzione.
Amiche ed Amici carissimi, l’argomento di oggi è tratto da una storia vera, nella quale solo i nomi delle persone sono ovviamente di fantasia. Parlo del blocco che imponiamo all’evoluzione della nostra vita, quando decidiamo -seppure inconsapevolmente, ma “decidiamo”- di far dipendere la nostra felicità da altre persone.
Federica è una bella ragazza di 24 anni, fidanzata. Giammaria è il suo capo, un quarantacinquenne imprenditore di successo, sposato con Nicoletta (insegnante) e padre di due figli in età preadolescenziale.
Dalla collaborazione, ben presto passano alla confidenza e la passione divampa. Federica e Giammaria vivono un momento magico! Nell’euforia dell’innamoramento, tutto gioca a loro favore e trascorrono i primi mesi tra viaggi di lavoro piacevolmente prolungati ed il protrarsi quotidiano dell’orario d’ufficio sino a dopo cena, finché un giorno, consapevoli che la loro avventura si è trasformata in amore, decidono di porsi l’obiettivo di vivere insieme.
Federica lascia il fidanzato e Giammaria promette di parlare alla moglie. Lei agisce e lui si limita a promettere di agire… un segnale non trascurabile!! Nei giorni seguenti, la domanda amorevolmente ansiosa, di Federica è “allora? Le hai parlato?” ma le risposte di Giammaria -pietosamente elusive- si susseguono con giustificazioni del genere “stavo per farlo ieri sera, quando il bambino si è svegliato con la febbre alta”, “ieri sera avevamo amici a cena, come potevo…”, “amore, stai tranquilla, lo sai che sono tuo, dammi solo il tempo di trovare il momento giusto…”. L’elenco delle scuse è lungo… Lungo dieci anni! Dieci anni di stillicidio, vissuti fra menzogne, ripicche, lacrime, tradimenti, abbandoni, ritorni… suffragati dagli oramai rari momenti di passione, cui a suggello, seguivano promesse mai mantenute…
Dieci anni vissuti contemporaneamente da Giammaria e Nicoletta, nell’opportunismo e nell’ipocrisia, seppur consolidati da progetti domestici ed allietati da viaggi, vacanze e feste comandate trascorse insieme, mentre Federica soffriva in solitudine o meglio in compagnia del dolore procurato dal miserrimo surrogato della vita sognata, sovrastante l’ormai mediocre piacere. Seppure non più innamorata di Giammaria, bensì solo attaccata all’abitudine di lui, Federica, assetata di vendetta si trastullava tra un’avventura sessuale e l’altra – quale “compenso risarcitorio”, ed era soprattutto motivata da un unico obiettivo: “non darla vinta a Nicoletta, la moglie, ossia la rivale”. Talvolta il possesso induce alla confusione dei ruoli…
Poiché conosco Federica, un giorno le dissi: “mi spieghi che senso ha restare accanto ad un uomo che non ami più?” e lei mi rispose “ogni volta che lo lascio o capisce che ho un altro, lui, implorandomi di restargli accanto, mi riempie di attenzioni, mi dedica ogni momento libero e per questo litiga con lei. Lei finge di non sapere che lui sta con me, ma prima o poi, di fronte all’evidenza, dovrà scendere dal piedistallo e ammettere che lui mi ama e sta con lei solo per interessi economici e per i figli. A quel punto, Giammaria, sarà libero di separarsi o di restare in casa, ma senza più alcun vincolo matrimoniale e ovviamente senza più dover fornire giustificazioni per le sue assenze”.
“Lei”, Nicoletta, sa tutto, ma spera che sia Federica a stancarsi della situazione estenuante e, nel frattempo, approfitta dell’elevato tenore di vita che il marito le consente, colpevolizzandolo con la perfetta interpretazione del ruolo della martire che si sacrifica in nome del sacro vincolo del matrimonio e per il bene dei figli. Oramai per entrambe le donne il vero amore non era più Giammaria, bensì lo era divenuto il loro obiettivo: “vincere” l’una sull’altra. Lottare fra loro per un premio da entrambe più che svalutato! Tralascio la descrizione dei comportamenti riferitimi, il cui squallore è inevitabilmente insito, per raccontarvi il finale: Giammaria lascia la moglie e corre da Federica, la “vincitrice” che, però, oramai svuotata ed esausta, lascia Giammaria!
Dieci anni sprecati nell’incapacità di decidere, nell’attesa della rivalsa, bloccati da ricatti morali (e non solo), dominati dal desiderio di vendetta: “Giammaria deve pagare per quello che mi ha fatto” era il leitmotiv di Federica; “quella rovinafamiglie non l’avrà vinta e ‘sto disgraziato -Giammaria – deve pagare per aver rovinato la famiglia” era quello di Nicoletta. Giammaria, precipitato nel vortice dell’inettitudine, si dichiarò vittima di due arpie e si relegò nel suo nuovo appartamento.
La vicenda che vi ho raccontato evidenzia tra i vari lacunosi aspetti, il rifiuto di assumersi la responsabilità della propria vita, imputando alle azioni altrui la colpa della propria infelicità ed enfatizza i cosiddetti fattori bloccanti, quali possesso, rabbia, risentimento, vendetta, odio come ostacoli alla felicità.
L’attrazione della felicità è correlata ad un imprescindibile principio: staccarsi dal passato ed accogliere il presente per progredire verso il futuro.
Un abbraccio
Daniela Cavallini