La Maschera di Dioniso | di Aurora d’Errico

da | 08 Febbraio 2025 | Attualità, Libri

Miei cari lettori, oggi vorrei ricordare qual era l’origine della tragedia secondo uno dei filosofi più controversi di tutti i secoli: Friedrich Nietzsche. “Sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro piuttosto che un santo.” (Prologo a “Ecce Homo”).

Nietzsche cerca di trovare la risposta a questo interrogativo, immergendosi in una strana figura di un dio greco, quella di Dioniso, che diventerà il simbolo di diversi aspetti chiari del suo pensiero e che lo stesso filosofo chiamerà visione “dionisiaca”, cioè quella dimensione della realtà cui i nostri occhi non sono più avvezzi e che la sua filosofia non si stancherà di rivendicare.

Nella mitologia greca, Dioniso era il dio della vendemmia, del vino, dell’ebbrezza, ma anche il dio della contraddizione, che accoglie in sé la visione “dionisiaca”, intesa come una sorta di metafora per esprimere la vita nel suo complesso, la vita in tutto il suo movimento, in tutta la sua pluralità, il suo caos e la sua contraddizione.

Nella prospettiva dionisiaca o tragica, per il filosofo “conoscere” significa accedere alla verità radicale già enunciata da Sileno (un vecchio brutto e ubriacone, tutore del giovane Dioniso), e quindi discostarsi dalla cosiddetta “teoria della verità come corrispondenza”, secondo la quale, la verità è una proprietà che gli enunciati hanno quando corrispondono alla realtà. Diversamente, secondo Nietzsche, la nostra conoscenza del mondo è vera se è in accordo con l’insegnamento esistenziale e cosmico di Sileno.

Così intesa, però, la conoscenza risulta pericolosa, in quanto può avere un effetto paralizzante e persino distruttivo. Come posso continuare a vivere se, qualunque cosa faccia, sono condannato al non senso? Per il filosofo, la questione della conoscenza non si gioca sul terreno dell’oggettività, ma su quello della forza: quanta verità siamo realmente capaci di sopportare senza finire per essere schiacciati?

È proprio questa capacità di sopportare la verità senza negare la vita che per Nietzsche è la misura del valore di uno spirito umano, l’indicatore della sua grandezza. Dioniso era accompagnato da una corte di satiri (creature per metà umani e per metà montoni) e menadi (donne selvagge in costante stato di trance), che vagavano tutti insieme per il mondo danzando freneticamente in una festa senza fine sempre accompagnati dalla musica e dal vino.

Ed è proprio in omaggio al dio greco che nella maggior parte dei villaggi dell’antica Grecia, si celebravano riti in cui le persone travestite con maschere e pelli di animali, intonavano canti detti “ditirambi” per poi bere e danzare fino a raggiungere l’estasi.

Dall’esperienza dell’estasi, discende un genere particolare di conoscenza, perché, secondo il filosofo, è una conoscenza delle cose limitata, un mero insieme di rappresentazioni soggettive collocate nel tempo e nello spazio. La conoscenza dionisiaca è invece una forma di auto-conoscenza perché in forza dell’esperienza estatica, il soggetto scopre sé stesso come soggetto attivo del conoscere.

Ma, tuttavia, la peculiare saggezza acquisita attraverso l’estasi ha un prezzo molto alto, perché dopo l’esperienza della comunione collettiva raggiunta nell’estasi, l’uomo dionisiaco vede se stesso come individuo, come un frammento strappato alla totalità. Comprende, allora che lo stato di individuazione, la nostra irrimediabile condizione di esseri individuali, è l’origine primordiale del nostro dolore e che in realtà siamo nulla.

E allora, Nietzsche come risponde alla questione dell’origine della tragedia? Semplice, lo fa illustrando un altro dio, Apollo, il dio della luce e della bellezza, che rappresenta, in contrapposizione alla dismisura e alla dissoluzione dionisiaca, il limite, la forma, in quanto dio delle apparenze, delle arti plastiche, della scultura. In definitiva, il genere tragico nasce da un fondo dionisiaco dal quale finirà per sprigionarsi un mondo apollineo, nasce cioè, dall’unione tra il mondo di Dioniso e quello di Apollo.

È questo l’ideale nietzschiano di “sapere allegro” o “gaia scienza”: essere cioè capaci di assumere la condizione umana e con ciò, sentirsi felici.

Avv. Aurora d’Errico

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