«La scrittura è talmente parte di me che non ricordo con precisione quando scrivere abbia fatto “irruzione” nella mia vita. In realtà, forse, c’è sempre stata. Io credo che ognuno nasca con un dono, con un talento, e questo è il mio.» (Valentina Pelliccia)
Indice
- Ciao Valentina, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale giornalista e scrittrice?
- Chi è invece Valentina Donna al di là del tuo lavoro e dell’essere una giornalista e scrittrice? Cosa puoi raccontarci di te e della tua quotidianità?
- Quando scrivere ha fatto “irruzione” nella tua vita? Chi ti ha trasmesso questa passione?
Ciao Valentina, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale giornalista e scrittrice?
Ho pubblicato il primo romanzo a soli 17 anni, vincendo un Premio di Narrativa Nazionale. A 12 anni già scrivevo poesie e partecipavo a Concorsi letterari. La scrittura credo sia il mio vero “dono” o talento. Il giornalismo è subentrato in un secondo momento, dopo gli studi universitari in discipline giuridiche. Amo molto la Comunicazione e per questo ho scelto di acquisire titoli importanti in questo settore, tra cui, Corsi post-laurea e master SDA Bocconi e 24ore Business School. Ho studiato Giornalismo, ho scritto per parecchi anni per il quotidiano IL TEMPO. Le doti nell’ambito della Comunicazione le ho acquisite soprattutto “sul campo”: durante i miei anni al TEMPO, partecipavo a congressi, convegni, ho intervistato molte persone note nel settore della cultura, economia, politica, etc. Sono giornalista (iscritta all’Ordine Nazionale giornalisti, ci tengo a specificarlo perché molti dicono di essere giornalisti senza essere iscritti all’Albo e non lo trovo giusto), Communication Specialist in un Istituto di Credito di Roma. Ho ricoperto anche il ruolo di Vicepresidente universitaria e anche in quel caso, la conoscenza della Comunicazione e Relazioni Istituzionali è stata un elemento rilevante. Ho studiato anche Comunicazione politica.
Chi è invece Valentina Donna al di là del tuo lavoro e dell’essere una giornalista e scrittrice? Cosa puoi raccontarci di te e della tua quotidianità?
Sono una persona estremamente curiosa, con tante passioni diverse. Per quanto riguarda la mia quotidianità, il riferimento al lavoro è d’obbligo, in quanto lavoro tutto il tempo. Al di fuori del lavoro, amo viaggiare e soprattutto aiutare gli altri, i più deboli. Mi occupo anche di beneficenza.
Quando scrivere ha fatto “irruzione” nella tua vita? Chi ti ha trasmesso questa passione?
La scrittura è talmente parte di me che non ricordo con precisione quando scrivere abbia fatto “irruzione” nella mia vita. In realtà, forse, c’è sempre stata. Io credo che ognuno nasca con un dono, con un talento, e questo è il mio. Ovvio, poi la passione diventa approfondimento, lettura, conoscenza e con il tempo si trasforma soprattutto in consapevolezza ed interiorizzazione di un proprio stile di scrittura. La passione mi è stata indirettamente trasmessa dai tanti libri che ho letto. E poi, al liceo, durante le lezioni sono rimasta profondamente colpita dalla vita e dalle opere di molti autori della letteratura latina, italiana, inglese, francese e tedesca. Ho frequentato l’Istituto “Sacro Cuore” di Trinità dei Monti a Roma (che sviluppa una cultura di relazioni ispirata a una tradizione cristiana, umanistica, liberale e democratica condivisa), un piccolo “tesoro” immerso in un parco enorme che si affaccia direttamente sulla scalinata di Piazza di Spagna, proprio accanto alla “Casa museo” del mio poeta preferito, John Keats (un vero appartamento che, tra il 1820 e il 1821, ospitò il poeta inglese e il suo amico Joseph Severn. È proprio lì che il 23 febbraio 1821 John Keats morì, a soli venticinque anni, nella sua stanza affacciata su Trinità dei Monti). È stato fonte di ispirazione, oltre che ovviamente molto formativo, assistere alle lezioni di letteratura latina, italiana, inglese e francese in un contesto di tale bellezza che custodisce da secoli meraviglie quali il chiostro, la chiesa, gli affreschi di Daniele da Volterra, due anamorfosi affrescate sui corridoi della clausura, l’astrolabio, il refettorio dipinto dal gesuita Andrea Pozzo, la cappella di Mater Admirabilis e tutta la natura intorno. E durante il liceo ascoltavo, incantata, le lezioni di letteratura latina, in particolare, Cicerone, Catullo, Omero, Seneca, Fedro, Sant’Agostino, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Virgilio, etc.; di letteratura italiana, il Dolce Stil Novo, ma soprattutto il romanticismo italiano, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, poi, Nicolò Machiavelli, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Italo Svevo, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale. Per quanto riguarda la generazione degli anni Trenta, ho amato e amo Alda Merini.
Ascoltavo, incantata, anche le lezioni di letteratura francese (in lingua francese, grazie a una Professoressa, Barbara Bottari, che mi ha trasmesso l’amore per la cultura): e così, ero sempre più curiosa della vita, dello stile, delle opere di autori come Molière, favole, racconti e riflessioni di La Fontaine, Perrault, La Rochefoucauld, Voltaire, Montesquieu, Hugo, Balzac, Stendhal, ma soprattutto i “Poeti maledetti”, Baudelaire e poi, Jacques Prévert, Marcel Proust, Jean-Paul Sartre, Antoine de Saint- Exupéry.
Ho amato e amo la letteratura inglese, come già scritto sopra, Keats, Byron, Shelley, William Shakespeare, John Milton, Laurence Sterne, Jane Austen, le sorelle Brontë, Virginia Woolf, Kipling, Hemingway e soprattutto James Joyce. Amo molto anche Goethe. “I dolori del giovane Werther” è il mio romanzo preferito.
Insomma, questi studi non hanno fatto altro che alimentare e poi far esplodere in me l’amore per la lettura e la scrittura.
Quali sono i tuoi giornalisti di riferimento?
Oriana Fallaci. Mi hanno colpito le parole con cui un giornalista l’ha descritta in un articolo che ho letto: “Una donna che, in un mondo molto diverso da quello di oggi, ha scelto di essere pienamente sé stessa. Di dedicare sé stessa alle guerre degli altri, di non piegarsi ad alcun credo senza prima averlo posto sotto una lente d’ingrandimento. Di essere, prima ancora che una giornalista e una scrittrice (o, come si sarebbe definita lei, una scrittrice prestata al giornalismo), una donna. Semplicemente una Donna, qualunque cosa questo debba significare”.
L’incipit della prima pagina del romanzo “Zucchero filato” recita: «Sono quella che preferisce leggere un romanzo o scrivere, / piuttosto che uscire la sera. / Sono quella dai sentimenti autentici, / che se mi scappa una lacrima tra la gente, / non mi vergogno di nascondere l’anima. / Sono quella che troverai in un caffè del centro / intenta a leggere un libro. / Sono quella che osserva la gente intorno, / perché uno scrittore deve, prima di tutto, / essere un ottimo osservatore. / Amo soffermarmi sullo sguardo delle persone per strada, / ascoltare le loro parole, mi incuriosisce la vita preziosa di ognuno. / “E chissà, poi, forse ciò diventa spunto per una poesia o un elaborato in prosa”. / Sono quella che ha vissuto l’inferno, / e grazie alla scrittura lo ha trasformato in poesia, / in un dono d’amore per l’altro. / Perché possa rispecchiarsi nelle mie parole, / trovare la forza e la speranza, come ho provato a fare io. / Perché il dolore fa male / ma se lo comunichi in una poesia, / vuol dire che il dolore stesso non è stato poi così inutile. / Allora, ben venga l’inferno, / non voglio un’anestesia che addormenti la sofferenza. / Che le mie parole e i miei libri possano nel mio piccolo / dare speranza agli altri. / Altrimenti, / la mia è una vita inutile» (Valentina Pelliccia). Come mai hai scelto questi versi? Cosa vuoi dire con queste parole al visitatore del suo profilo? Qual è il senso di questo incipit in versi che vuoi che arrivi al lettore delle tue pagine pubbliche?
Ho semplicemente descritto me stessa e il ruolo che per me ricopre la scrittura. La scrittura forse ha una funzione quasi “terapeutica” perché fa emergere tutto ciò che è nel tuo inconscio (anche se questo libro, come già affermato, non è autobiografico). È un grande atto di coraggio ma è fondamentale, credo, per elaborare e superare ciò che ci ha fatto soffrire. Poi, se il dolore è stato forte e rimane lì, fermo, nella tua testa e non lo trasformi invece in risorsa, vuol dire che non è servito a niente. Ed è un peccato perché dai “moti dell’animo più struggenti” sono nate le più belle opere d’arte (per arte intendo tutte le forme d’arte, compresa ovviamente la scrittura).
Com’è nata l’idea di questo libro e di cosa parla?
Nel 2004, a soli diciassette anni, proprio durante l’ultimo anno di liceo, “fresca di studi”, ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, “Zucchero filato”, con il quale ho partecipato alla VII Edizione del Premio Nazionale di Narrativa “Valerio Gentile” (con una giuria composta da persone importanti del mondo della cultura, professori universitari, scrittori, giornalisti). Il libro si è classificato al primo posto ed è stato, per tale motivo, pubblicato dalla Casa editrice Schena. In seguito, è stato distribuito dalle maggiori Case editrici, Mondadori, Feltrinelli, etc. Sono venuta a conoscenza del Premio Nazionale di Narrativa per caso, tramite web. Anzitutto, mi sono informata su chi fosse Valerio Gentile, perché il Premio era ed è intitolato alla sua memoria. E mi è venuto da piangere. Sono scoppiata in lacrime. Valerio Gentile era un ragazzo, un poeta, appassionato di studi umanistici, che fu trovato morto il 14 marzo del 1993, a diciassette anni (avevo anche io diciassette anni e questo fatto mi colpì molto), a Fasano, nei boschi in zona ‘Monacelle’ con il cranio sfondato a pietrate, a faccia in giù. Dalle indagini ho appreso che si è trattato di un delitto a sfondo sessuale. Purtroppo, il caso è rimasto senza colpevoli. Il padre (Nicola ) e la madre hanno deciso di fondare il Centro Studi, l’Associazione Culturale e questo importante Premio Nazionale di Narrativa. La vicenda mi scosse molto e, a tal proposito, ti svelo una confidenza: con questo libro io ho voluto principalmente, nel mio piccolo, cercare di dare indirettamente un messaggio di speranza anche ai genitori del ragazzo, pur non conoscendoli. Una famiglia è a pezzi, distrutta, presumo, dopo un lutto del genere. Loro sono riusciti a mettere da parte questo dolore atroce (per quanto si possa mettere da parte, data la gravità del fatto) e a creare un grande progetto dal punto di vista umano e culturale, in memoria del figlio. Inoltre, hanno creduto nel talento dei giovani e lo hanno portato avanti dando loro l’opportunità di essere letti, giudicati e premiati da una giuria di persone di alto livello culturale. E poi, Valerio Gentile amava scrivere: i genitori, con questa iniziativa, hanno portato avanti il valore e il sogno del figlio.
“Zucchero filato” nasce così. Vuole essere un piccolo raggio di luce anche quando si è immersi nel buio più totale. Vuole essere anche il simbolo della purezza (da qui il titolo, fanciullesco, “Zucchero filato”) in una società, questa, spesso piuttosto marcia e priva di valori.
Il mio libro tratta principalmente il tema della violenza psicologica e sessuale per questo motivo: si parte da una condizione rosea vista dagli occhi di un’adolescente (Colette, la protagonista) per avvicinarsi sempre più al dramma vero e proprio, la violenza. Dopo quest’ultima, Colette riuscirà, pian piano, a ritrovare la forza in sé stessa. È proprio questa alternanza “condizione rosea e violenza sessuale” che, nel complesso, sottolinea e rende più forte il messaggio di speranza finale.
Come ha affermato il Professor Pietro Magno: “La struttura di “Zucchero filato”, infatti, ricorda le cadenze tipiche della tragedia classica. Come modello narrativo questo romanzo di Valentina Pelliccia ricorda il quarto libro dell’Eneide di Virgilio, in cui l’evolversi dello sfortunato e, soprattutto, impossibile amore di Didone verso Enea è presentato secondo le cadenze tipiche del dramma”. E poi, ha aggiunto il Professor Magno: “Sono i motivi per cui questo romanzo riesce a pervenire al simplex et unum oraziano (Ars poet,23), condizione ancora valida per stabilire quanto un’opera risponda a canoni di compattezza”.
A distanza di molti anni il mio romanzo, “Zucchero filato”, continua ancora a vincere prestigiosi Premi di Narrativa Nazionale, come a esempio, ad agosto 2020 il Concorso “Tre Colori”. ideato da Ermete Labbadia.
La tua attività social di giornalista e scrittrice la realizzi attraverso i tuoi Blog Facebook e Instagram in particolare, dove vanti centinaia di migliaia di follower. Ti va di raccontarci della tua attività professionale social? Quando hai pensato di realizzare i tuoi profili, quale l’idea che ha concepito questo progetto social, quali gli obiettivi che ti sei posta, quali i destinatari che hai immaginato, quali i risultati ottenuti, quali i successi e quali i fallimenti che hai vissuto? Insomma, raccontaci di questa tua bella avventura di divulgatrice culturale, giornalistica e social molto seguita.
Ho cercato, nel mio piccolo, di attuare una vera e propria rivoluzione del mondo dei social. La rivoluzione è provare a far approdare sana informazione, cultura, confronto, valori e soprattutto autenticità su social come Instagram e Facebook. Quello che sto provando a fare io. Di recente ho anche creato una piccola Community con il nome “Hashtag Cultura”, proprio per unire un termine attuale alla sostanza, ossia la cultura.
Forse è stato proprio questo “approccio autentico e sano”, costruttivo, che mi ha fatto raggiungere alti risultati, fino ad arrivare a 700 mila visualizzazioni di un mio solo post su LinkedIn.
Non conta il numero di follower, ma le interazioni: ciò che la gente ti scrive, ciò che la gente apprezza e ciò che ti vuole comunicare.
A tal proposito, quale funzione credi debba assumere la figura dell’influencer?
Gli influencer hanno un grande potere in mano: la possibilità di essere seguiti da milioni di persone. Se riuscissero a usare bene questo potente mezzo (Internet) per finalità non solo autoreferenziali, bensì come risorsa per divulgare contenuti più di spessore, sarebbe già una grande rivoluzione. Consideriamo anche l’aspetto della sana informazione a 360°: personalmente preferirei assistere a dibattiti e contenuti più rilevanti rispetto a quelli che normalmente vengono diffusi, a esempio, su Instagram o TikTok.
«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua scrittura, nella tua arte narrativa e nel tuo lavoro?
Il concetto è molto semplice: ciò che rileva non è solo l’andamento obiettivo dei fatti, bensì ciò che la mente (e l’anima) percepisce. Anzi, soprattutto nella scrittura rileva più l’interpretazione personale ed emotiva che quella oggettiva.
L’amore è tutto ma, nel mio caso, la mia concezione d’amore non ha nulla a che vedere con la concezione d’amore di Anaïs Nin.
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cosa è la bellezza? La bellezza letteraria e della scrittura in particolare, la bellezza nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… La bellezza che si osserva nella via quotidiana. Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?
La bellezza non si può definire. Non può essere ingabbiata in una definizione. Così come l’amore, il tempo. Sono concetti astratti, metafisici, soggettivi.
«Un giornalista è la vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui.» (Joseph Pulitzer, “Sul giornalismo”, 1904). Cosa è, secondo te, il giornalista oggi? Cosa pensi della definizione che ne dà Pulitzer nel suo saggio vista da una giornalista che vive nel Ventunesimo secolo?
Penso che il giornalismo dovrebbe essere questo descritto nella frase del 1904. Io sono una fautrice del valore della parola e, come tale, come giornalista, cerco di tutelarla al massimo. E concepisco il giornalismo quale autentica descrizione dei fatti, quasi come missione, a prescindere dal reddito e da condizionamenti dall’alto. Questo concetto l’ho espresso in un mio articolo per Il Messaggero. «È una parola importante, libertà, senza la quale si potrebbe anche dire che “non c’è giornalismo”. Sono due termini che contaminano e sviluppano. Il modo di fare informazione cambia, così come cambia il concetto di libertà. Essa è il presupposto del giornalismo», queste le parole con cui Vittorio Roidi, Presidente della Federazione nazionale della stampa dal 1992 al 1996 e Segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti fino all’anno 2007, si è espresso nel suo corso “La libertà”. L’essenza del giornalismo è ricerca, scoperta, acquisizione di notizie, è analisi critica. La professionalità di un giornalista si esprime nella capacità di porre in condizione il cittadino-lettore di formare i suoi giudizi, creare o verificare le sue verità. Il giornalismo è storicizzazione della quotidianità. Occorre interpretare la società che cambia e i bisogni informativi emergenti, soprattutto in un periodo come quello attuale nel quale la complessità dei fatti esige una completezza di informazione.
“Libertà significa capacità di porre domande, non soltanto possibilità di ricevere risposte. E non ci si può illudere che l’aumento generale delle informazioni a disposizione dell’individuo porti necessariamente a un aumento delle sue conoscenze; sicché il rischio è forte che questa così chiamata società dell’informazione si riveli una società della disinformazione e dell’ignoranza” (“Studiare da giornalista. Teoria e pratica”, Volume 1, a cura di Gianni Faustini, Sergio Lepri e Silvano Rizza).
Assistiamo a una proliferazione dell’offerta di informazione sempre più in aumento, ma che rimane in gran parte inutilizzata; dall’altra parte, a una domanda di informazione che cresce anch’essa, ma che rimane in buona parte insoddisfatta.
“È evidente che le nuove tecnologie hanno portato a un aumento eccezionale della produzione di informazioni, senza che i produttori si siano resi conto degli effettivi bisogni del mercato. Si possono supporre le ragioni del fenomeno: la manipolazione delle fonti del messaggio, l’insufficienza dei media di mediare tra la fonte e il destinatario (scelta dei contenuti, oscurità del linguaggio, ignoranza dei meccanismi psicologici della lettura o dell’ascolto), la difficoltà del fruitore di gestire l’informazione in un tempo di fruizione che rimane limitato nell’arco della giornata”, come riportato da Sergio Lepri.
Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
Mia madre.
Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni professionali, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata che puoi raccontarci?
A breve uscirà un’Antologia di poesie. Spero di pubblicare presto un romanzo molto importante per me.
Dove potranno seguirti i nostri lettori e dove potranno seguire le tue attività?
Possono seguire le mie attività sui miei canali social, giornali, radio e tv.
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Valentina Pelliccia, “Essenze d’Autore – Zucchero Filato”, Casa Editrice Pagine, 2024
Andrea Giostra
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