Scrivere “Mi vengo incontro” è stato un viaggio dentro le storie di donne che, in un modo o nell’altro, hanno dovuto fare i conti con sé stesse.
Donne che hanno amato, lottato, sofferto, ma che alla fine, hanno trovato il coraggio di scegliersi per rinascere. In questa intervista ho immaginato di dar voce a una di loro: Rebecca, protagonista di RIFLESSO, primo racconto del mio libro. Una donna che ha vissuto sulla sua pelle, la manipolazione, che ha riconosciuto il gioco sottile del controllo e che, nonostante tutto, è rimasta…fino a quando ha capito che l’unica salvezza possibile era se stessa. Un dialogo sincero che non svela tutto… perché certe verità vanno scoperte tra le pagine del libro.
Franca: Ciao Rebecca, grazie per aver accettato di parlare con me della tua storia.
Rebecca: Ciao! Grazie a te per avermi dato voce. Dimmi, da dove iniziamo?
Franca: Iniziamo da te, come stai oggi?
Rebecca: Oggi? Oggi sto bene. E credimi, non è una frase di circostanza. Sto bene perché ho smesso di chiedermi se lo merito, se sono abbastanza, se devo cambiare per essere amata. Sto bene perché MI VENGO INCONTRO…e finalmente non cambio strada.
Franca: Chi è Lucas?
Rebecca: Lucas è stato un’illusine ben confezionata. All’inizio sembrava l’uomo dei mie sogni…poi ho scoperto che era solo un uomo che aveva bisogno di controllare per sentirsi forte, ma alla fine, chi ha bisogno di schiacciare gli altri, quanto può essere davvero grande?
Franca: mentre scrivevo la tua storia mi raccontavi di essere stata sempre consapevole che Lucas ti manipolasse. Perché non sei scappata subito e hai aspettato tanto tempo per farlo?
Rebecca: Bella domanda…e se avessi una risposta semplice, forse la mia storia non sarebbe così complicata. Sapevo che mi manipolava, si, ma saperlo non basta per andarsene. È un po’ come guardare un quadro storto e convincersi che in fondo ha il suo perché, che magari sei tu a vederlo nel modo sbagliato. E poi c’era quella parte di me, la bambina che aveva sempre cercato qualcuno che restasse. Che camminava in punta di piedi quando si sentiva in imbarazzo. Pensavo che se fossi stata abbastanza paziente, abbastanza brava, abbastanza tutto, avrei aggiustato qualcosa…o forse qualcuno. Ma poi ho capito che l’unica da salvare ero io.
Franca: Rebecca mi dicevi che hai avuto molti padri, pensi che questo abbia inciso nei tuoi rapporti con gli uomini?
Rebecca: Ah, senza dubbio! Crescere con tanti padri, ma senza un vero padre, è stato come provare cento versioni diverse della stessa storia senza mai conoscere l’originale. Ogni figura maschile che entrava nella mia vita, mi lasciava un pezzo di puzzle, ma nessuno completava davvero il quadro. Così, quando ho incontrato Lucas, credo di aver visto in lui una possibilità di stabilità…peccato che fosse una stabilità fatta di sabbie mobili. Cercavo un rifugio e invece mi sono costruita una gabbia. Ma, a quanto pare, a forza di inciampare ho imparato a camminare meglio.
Franca: Perché la tua storia si intitola Riflesso?
Rebecca: Perché Lucas, alla fine, non era altro che uno specchio. Un riflesso di qualcosa che avevo dentro e che non volevo vedere. Lui mi ha mostrato le mie paure, le mie fragilità, il bisogno disperato di essere scelta. Ma i riflessi non mentono, sai? Possono distorcere, confondere, ma se guardi bene, ti raccontano la verità. E io, a un certo punto, ho smesso di fissarlo e ho iniziato a guardare me stessa. Ecco perché Riflesso: perché per ritrovarmi, ho dovuto prima perdermi dentro quell’immagine sbagliata.
Franca: Quindi Lucas, in un certo senso eri tu?
Rebecca: In un certo senso, si. Non perché io sia mai stata come lui; ma perché lui rifletteva le mie insicurezze, i miei vuoti, le crepe che cercavo di ignorare. Era lo specchio in cui guardavo la versione più fragile di me stessa, quella che si accontentava, che pensava di dover meritare l’amore invece che riceverlo semplicemente. Lucas è stato il mio errore necessario. Quello che ti sbatte a terra così forte da farti capire che l’unico modo per rialzarti è farlo da sola.
Franca: Com’è rialzarsi da sola? Cosa si prova?
Rebecca: All’inizio è spaventoso. Ti senti appesa a un filo con il vuoto sotto e nessuno che ti tenga la mano. Ma poi…scopri che quel vuoto è libertà. Rialzarsi da sola è come togliersi un paio di scarpe strette dopo averle indossate troppo a lungo. All’inizio quasi ti manca la costrizione, perché ti eri abituata al dolore. Ma poi inizi a camminare, a sentire l’aria intorno, a capire che non hai più bisogno di qualcuno che ti sorregga, perché le tue gambe sono abbastanza forti. E sai qual è la cosa bella?
Franca: Cosa?
Rebecca: Quando finalmente ti guardi allo specchio e, per la prima volta, non vedi più nessun riflesso distorto. Solo te stessa. E ti piaci.
Franca: Possiamo dire che la tua storia è stata una storia di manipolazione assistita?
Rebecca: Assolutamente sì! Perché io, consapevolmente, sono rimasta lì a guardare mentre accadeva. Non ero cieca, non ero ignara…ero spettatrice e protagonista allo stesso tempo. Lucas tirava i fili, certo, ma io? Io li lasciavo fare il giro intorno ai miei polsi, convinta che fossero braccialetti invece di catene. È questa la parte più assurda della manipolazione: spesso non hai bisogno di sbarre, perché te le costruisci da sola. La buona notizia? Se hai costruito la gabbia puoi anche abbatterla!
Franca: Rebecca, sei felice?
Rebecca: Si! Ma la mia non è quella felicità che si vede nei film, con luci soffuse e musica di sottofondo. È una felicità più concreta, vera. È il piacere di svegliarmi al mattino senza sentire un peso sul petto, di fare scelte che sono solo mie, di guardarmi allo specchio e riconoscermi. Non è una felicità perfetta, perché la vita non lo è. Ma è una felicità mia. E questo basta.
Franca: Grazie Rebecca. Ora dimmi: perché la gente dovrebbe acquistare il libro e leggere la tua storia?
Rebecca: Perché potrebbe salvarvi da un Lucas… o farvi accorgere che ne avete uno in casa!
Franca: Grazie Rebecca. Namasté
Rebecca: Namasté. Che tu possa sceglierti, ogni giorno.
Franca Spagnolo
