Per poter meglio comprendere il pensiero del grande filosofo di tutti i tempi, Friedrich Nietzsche, rispetto al suo concetto di nichilismo,( dal latino “nihil”, ossia “nulla”, termine usato nel linguaggio filosofico come la negazione di tutti i valori e i significati elaborati dai vari sistemi morali, religiosi, ecc…..), occorre soffermarsi per un attimo, all’interpretazione rappresentata sull’argomento da Schopenhauer, il quale, invece di percorrere il sentiero positivo dell’adesione alla realtà divina mediante la fede, proponeva un’ascetica impronta buddista in un mondo privo di qualsiasi fine.
E, proprio la negazione della vita e l’invito alla compassione di Schopenhauer, rappresenterà per Nietzsche il portavoce ultimo di un nichilismo reattivo. Per Nietzsche dal momento che tutti i valori creati dalla cultura occidentale sono in realtà dei falsi valori, cioè, creati grazie al costante disprezzo della vita e mera volontà del nulla, questo schema, in quanto termine ultimo proprio della cultura occidentale, costituisce la storia di un grande errore che sfocia nella più totale disintegrazione. Pertanto, una volta che talune categorie come la finalità, l’unità, l’essere con cui abbiamo assegnato un valore, un significato al mondo circostante, sono stati smascherati, tornano in questo modo ad essere prive di senso e prive di ogni valore, e di conseguenza, il divenire continua ad essere considerato un “nulla” come reazione. E proprio arrivati a questo punto, che secondo il filosofo, il nichilismo si presenta come quel terribile senso di vuoto o assenza di un fine che l’essere umano sperimenta, una sorta di stato psicologico, in quanto dopo il disinganno di una supposta totalità, subentra il sentimento dell’assurdo e in tal senso il nichilismo diviene il prendere coscienza del lungo spreco di forze, il tormento dell’invano, ove si perde ogni fiducia, e si diventa consapevoli del fatto che questo mondo non è altro che “illusione” e l’unica via di fuga è quello di condannarlo. Dunque, per Nietzsche, il nichilismo implica finzione, negazione della vita, ma anche reazione a tale finzione e se prima si disprezzava la vita dall’alto dei valori supremi, negandola proprio in nome di tali valori, successivamente, ci si attacca solo alla vita, seppur svalutata, vissuta in un mondo priva di valori. Si passa, cioè, da un nichilismo negativo ad uno reattivo, che pone il suo accento sul pessimismo della debolezza umana, delineando la storia del nichilismo come un processo di autodistruzione della dinamica occidentale e della sua brama di verità ad ogni costo. Così facendo, l’idea di Dio muore nel momento in cui la conoscenza non sente più l’esigenza di giungere alle cause ultime della conoscenza stessa e l’essere umano non ha più bisogno di credere in una sorte di “salvezza” proveniente da un’anima immortale. E questo suo pensiero della morte di Dio presuppone la scomparsa di ogni punto fermo nella scala dei valori, appunto “nichilismo”, eliminando la possibilità di qualsivoglia riappropriazione umanistica.
Avv. Aurora d’Errico