Oggi voglio dedicare un mio articolo ad un grande giovane chitarrista italiano che ha saputo catturare e far vibrare le corde della mia anima ascoltando un suo brano, “Mysterious Path”. Sto parlando del talentuoso Filippo Bertipaglia, vincitore di concorsi classici e moderni sia come solista che come membro di band, oltre che docente, trascrittore e recensore. Benvenuto nella mia rubrica di Mobmagazine. Come nasce la tua passione per la musica e, soprattutto, il tuo amore per la chitarra?
Ciao Aurora, ti ringrazio per le belle parole. A casa quand’ero piccolo la musica è sempre stata presente, tra me e i miei fratelli continuavamo a riprodurre musica nello stereo casalingo a ripetizione. Cantare ciò che ascoltavamo è stata una prima immersione profonda nell’arte dei suoni, permearsi di materiale sonoro per poi condividerlo tramite te stesso. Magico! Un’altra fonte di ascolto musicale è stata mio padre che ogni tanto ci deliziava suonando qualche brano con la sua chitarra classica. Ovviamente la mia passione per la seicorde nasce da qui.
Per Platone l’armonia della musica è della stessa natura della nostra anima, e più precisamente: “La musica dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose”. Per te, invece, cosa rappresenta ogni nota che suoni?
Beh, difficile aggiungere qualcosa che proviene da un filosofo come Platone. Posso solo dire che per me la musica è una dimensione di distensione all’interno della malinconia, stato principe del mio essere. Mi sento cullato quando mi abbandono all’interno del mondo sonoro, e questa dimensione accade sommamente quando compongo musica originale.
Nonostante la tua giovane età, hai già in attivo diversi lavori musicali, sia come chitarrista che come trascrittore. Quale brano ti ha più emozionato?
Ogni brano ha la sua storia, ma penso che “Mysterious Path” abbia un posto speciale nel mio cuore.
Tempo fa sei stato intervistato dal magazine americano Fingerstyle Guitar Journal. Che cosa hai provato sapendo che la tua musica creava interesse anche ad un pubblico americano?
L’intervista è avvenuta grazie al mio amico e micidiale chitarrista acustico Peppino D’Agostino, che saluto, che ha girato il mio contatto all’editor del giornale statunitense. Sapere che dall’altra parte dell’oceano c’è stato grande interesse nell’intervistarmi perché si è ritenuto il mio operato interessante chiaramente è stato motivo di grande soddisfazione e orgoglio.
Nel 2024 è la volta del tuo nuovo singolo “Night Shift”, un brano talmente ritmico e melodico in grado di “accendere” anche gli animi più pigri. Come nasce questo brano e, soprattutto, a cosa ti sei ispirato?
Questo brano nasce in veste elettrica per un progetto che avevo tenuto in collaborazione con il marchio Trussardi. Mi sono divertito a inventarmi un brano con dalle sfumature “ballerine”, cosa che non avevo mai fatto prima. In seguito, quando l’ho fatto sentire per la prima volta a Corrado, si è accesa una lampadina in lui chiedendomi di riarrangiarlo in chiave acustica. Infine in fase di recording studio è stata aggiunta la parte elettronica di cassa e hi-hat che sicuramente cattura maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore.
Alla fine dell’estate scorsa hai inciso “Sultry Weather”, una sorta di mix tra acustica e suoni elettronici, prodotto da Corrado Rustici, realizzando il video in mezzo alla bellezza della natura incontaminata dall’uomo. Ci vuoi raccontare come nasce questo brano e perché hai scelto di realizzarlo proprio in mezzo al verde?
Questo brano nasce inizialmente come forma di sperimentazione per pazze soluzioni armoniche con il plettro, che tante volte mi piace utilizzare al posto del puro fingerstyle e poi successivamente ha assunto nel corso del tempo varie interpretazioni a livello di messaggio metaforico. La decisione dell’ambientazione del video live invece, è data dal fatto che la sola certezza che abbiamo è la persistenza e l’imperturbabilità della natura rispetto all’essere umano, e l’eterno scorrere dell’acqua in sottofondo ci incita ad andare avanti nel nostro percorso terreno anelando a un’ipotetica speranza futura.
Tra i chitarristi esistiti, Jimi Hendrix, Jeff Beck, Eddie van Halen, Brian May, Frank Zappa, Jimmy Page, chi è stato il tuo più grande ispiratore?
Tra quelli citati sicuramente il primo che mi ha completamente steso è stato Jimmy Page. A parte la bellezza dei brani degli Zeppelin su cui si sono spesi oceani di inchiostro, in termini chitarristici ricordo che l’intermezzo chitarristi di “Heartbreaker” mi faceva girare la testa. Inoltre il fatto che oltre alla chitarra elettrica Page suonasse anche l’acustica a livelli altissimi penso mi abbia definitivamente influenzato e ispirato a non avere confini prestabiliti.
Il pubblico ti conosce attraverso le note della tua chitarra, ma chi è in realtà Filippo Bertipaglia?
Un ragazzo che ha ancora tanta strada da fare cambia mood molto rapidamente ma inizia a vedere finalmente la luce in fondo al tunnel. Ho avuto delle esperienze che mi hanno segnato in giovanissima età portando tanta bellezza ma anche un vuoto incolmabile che cerco di riempire con la musica e l’amicizia in tutte le sue forme. So che sono criptico ma per ora basti sapere che le composizioni nell’album in uscita sono una sorta di processo terapeutico, intrise di malinconia ma anche speranza.
A cosa stai lavorando in questo periodo?
Sto lavorando a nuovi brani ma sto anche iniziando a ristudiare abbastanza puntualmente appena ho del tempo libero perché voglio migliorare e sentirmi più padrone del mio strumento.
Cosa vuoi augurare ai nostri lettori di Mobmagazine?
Tutto il meglio, spero che ognuno stia percorrendo il sentiero che vuole intimamente seguire e non ciò che viene imposto dall’esterno solo perché sembra più corretto e in linea con quello che ci detta il buon senso. Come diceva il compianto Robin Williams in Dead Poets Society “rendete straordinaria la vostra vita”.
Grazie di cuore per essere stato ospite della mia rubrica e, come sosteneva uno dei miei filosofi preferiti Friedrich Nietzsche, la musica non è mai quella dell’essere, ma quella che si riconnette alla vita, quella che “offre alle passioni di poter gioire di loro stesse”.
Avv. Aurora d’Errico