Non dimentichiamo l’incidente del 29 settembre 1965 di Ravenna, quando l’impianto di trivellazione posto a 11 miglia dal porto di Marina di Ravenna andò in fiamme.
Durante la perforazione di un pozzo alla ricerca di metano, la piattaforma Paguro fora un giacimento di gas a circa 2900 metri sotto il livello del mare.
Il giacimento esplose e aprì un cratere di circa 40 metri, le fiamme distrussero la piattaforma che nel giro delle successive 24 ore colò a picco. Nel disastro annegarono tre tecnici dell’Agip: Pietro Peri, Arturo Biagini e Bernardo Gervasoni.
La fuoriuscita di gas sul fondo marino generò una colonna di gas misto a pulviscolo d’acqua che raggiunse l’altezza di 30 metri sulla superficie del mare. L’eruzione venne domata, tre mesi dopo, con la perforazione di un pozzo direzionato che, raggiungendo nel sottosuolo il tragitto del pozzo in eruzione, permise di intasare e cementare il foro attraverso il quale il gas dal giacimento fuggiva alla superficie.
Di quanto rimane della piattaforma oggi, la parte più alta si trova a 10 metri sotto il livello del mare ed il cratere formatosi sul fondo marino, di natura argillosa e sabbiosa, raggiunge i 35 metri di profondità ed ha visto una crescita esponenziale della flora e della fauna marina.
Per regolamentare le immersioni e salvaguardare la vita attorno alla Paguro, è stata istituita a Ravenna l’Associazione Paguro e, dal 21 luglio 1995, l’area contenente il relitto della piattaforma è stata dichiarata dal Ministero delle risorse agricole Zona di tutela biologica tramite il Decreto “Istituzione della zona di tutela biologica nell’ambito del compartimento marittimo di Ravenna”.
fonte immagini e documentazione: wikipedia