Inghilterra e Mezzogiorno d’Italia, il dominio comune dei normanni

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Le conseguenze di una dominazione di un popolo su un altro sono spesso diametralmente opposte. Basti pensare, come esempio più lampante, alle colonizzazioni inglese e spagnola in Nord America e Sud America, rispettivamente. I primi hanno lasciato un paese che è diventato, nel giro di pochi decenni, uno dei più potenti al mondo. I secondi, i problemi noti dei paesi sudamericani.

Tali differenze si riscontrano pure nel caso di una dominazione di uno stesso popolo in due luoghi diversi. I Normanni, bellicosa e intraprendente popolazione originaria dei paesi scandinavi, ad esempio, dopo una serie di scorrerie nelle lande dell’Europa nord orientale, nel 911 fondarono il ducato di Normandia in Francia, e dopo l’anno Mille invasero e occuparono a nord l’Inghilterra e a sud il Mezzogiorno d’Italia.

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Sorge talvolta la questione del motivo per il quale in un caso, in Inghilterra, l’invasione abbia dato vita ad una vera e propria nazione, che tra l’altro non subì mai più alcuna invasione straniera, e nell’altro abbia invece generato una situazione estremamente frammentaria, soprattutto a livello politico, che si protrasse per secoli.

In realtà, seppure determinate dalla stessa popolazione e a distanza di pochi anni l’una dall’altra, le due invasioni presentano differenze notevolissime. Basterebbe tenere conto della situazione politico-culturale pre-esistente all’arrivo dei re normanni nelle due estremità dell’Europa.

Il Mezzogiorno d’Italia era spartito tra le due civiltà più fiorenti e vivaci dell’Europa medievale: la bizantina e la musulmana. Era sì ostacolato dall’esistenza di numerosi centri politici in lotta costante tra loro, ma allo stesso tempo era al centro di reti commerciali estremamente estese e fiorenti, poteva farsi vanto di un’attività artistica molto sofisticata, e contava al suo interno due centri cittadini di notevole potenza, Napoli e Palermo. Dominare tutte le forze in campo era un’impresa davvero ardua.

I normanni inizialmente conquistarono pezzetti di territorio, le contee. La prima fu quella di Aversa, nel 1028, poi ne seguirono molte altre, e alla fine del XII secolo il Mezzogiorno era formato da una miriade di staterelli governati da duchi, conti e principi. Fu solo nel 1140 che i normanni riuscirono a unificare il territorio grazie a Ruggero II. Ma durò poco, solo 64 anni. Enrico VI, già re di Germania e Imperatore del Sacro Romano Impero, in ragione del suo matrimonio con Costanza di Altavilla, unì la corona imperiale a quella di Sicilia. La storia del Sud prese così una nuova, tormentata via, costellata di invasioni straniere, guerre infinite e profondi mutamenti sociali, politici e culturali.

 

L’Inghilterra che Guglielmo il Conquistatore invase nel 1066 si presentava come una terra culturalmente primitiva, estranea com’era ai circuiti culturali europei, economicamente povera e dal punto di vista delle istituzioni civili piuttosto arretrata. I normanni, che pure non vantavano grossi meriti civili o artistici, ebbero gioco facile a fare la parte dei civilizzatori. Dopo l’unica battaglia che combatterono contro gli inglesi, ad Hastings, e una serie di ribellioni di poco conto, instaurarono un regno solido che si tramandarono per tre generazioni, fino alla deposizione di Matilda, la nipote di Guglielmo I, nel 1141, a cui successe il figlio Enrico II, il primo della lunga dinastia dei Plantageneti.

 

A ben guardare, ciò che le due invasioni ebbero in comune fu, a parte l’origine del popolo dominatore, il tentativo di instaurare uno stato feudale, accentratore e piramidale. In questo effettivamente riuscirono in modi piuttosto conformi l’uno all’altro. Di Ruggero II dice Antonio Ghirelli nella sua storia di Napoli, “egli aveva un concetto molto severo della regalità, collegata all’istituzione di un ordinamento feudale fortemente centralizzato. […] La logica stessa dell’ordinamento feudale finì per favorire la nobiltà consentendole di trasformarsi in un solido sostegno per il potere regio, via via che la monarchia le apriva prospettivi di arricchimento. […] L’impatto di uno stato unitario e fortemente accentrato risultò invece disastroso per le classi intermedie, tra le quali finirono per scivolare anche i cavalieri e i piccoli nobili che non riuscirono a entrare nella ristretta cerchia dell’aristocrazie feudale”.

Anche Guglielmo il Conquistatore si preoccupò di concentrare tutto il potere nelle proprie mani. Gettò le basi di un regno saldamente unito, controllato dalla sua superiore autorità di re e si impose sul potere forte dei nobili medioevali. Ordinò la realizzazione del Domesday Book, un censimento che si inserisce perfettamente nel suo piano politico accentratore. Infatti, con questa iniziativa Guglielmo volle e riuscì ad ottenere una conoscenza precisa delle risorse dell’Inghilterra, in base alla quale stabilire quante tasse riscuotere e quante forze militari mantenere.

Non sorprende che nel 1086 convocasse a Salisburgo tutti i nobili normanni, i nobili anglosassoni, e i capi religiosi e pretendesse il giuramento di  fedeltà al loro re.

Ciò che è accaduto nei due possedimenti normanni dopo la fine della dinastia sono storie profondamente diverse, addirittura divergenti. E giudicare quale sia migliore con gli occhi di oggi è piuttosto ingenuo. Così come sarebbe ingenuo sostenere che se in un caso i normanni hanno lasciato un paese che ha dominato il mondo e nell’altro una terra strozzata da problemi di ogni genere bisogna ricercare le cause nella capacità dei singoli popoli di auto gestirsi.

Le variabili in gioco nello sviluppo o nelle involuzioni di un territorio nel corso dei secoli sono troppo numerose e incontrollabili per valutazioni tanto sommarie.

Resta il dato, anzi si conferma, della complessità di ogni singolo episodio di dominazione. E della necessità di doverne, ogni volta, nessuna esclusa, elencare i danni ma anche i benefici.

 

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