Quello che non ho, il teatro-canzone di Neri Marcorè al Biondo di Palermo

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 Un affresco ironico e pungente sui nostri tempi ispirato a Pier Paolo Pasolini e alle canzoni di Fabrizio De Andrè

Neri Marcorè è il protagonista dello spettacolo Quello che non ho, prodotto dal Teatro dell’Archivolto di Genova, che debutta al Teatro Biondo di Palermo il 9 marzo alle ore 21.00. Utilizzando la forma del teatro-canzone lo spettacolo, scritto e diretto da Giorgio Gallione, cerca di interrogarsi sulla nostra epoca, in precario equilibrio tra ansia del presente e speranza del futuro. Repliche fino al 18 marzo.

Ispirazione principale di questo percorso ironico e graffiante nel controverso scenario contemporaneo, sono le canzoni di Fabrizio De Andrè, scritte con Massimo Bubola, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Mauro Pagani, e le visioni lucide e beffarde di Pier Paolo Pasolini (a cui lo spettacolo è dedicato), che raccontano di una “nuova orrenda preistoria”, la quale sta minando politicamente ed eticamente la nostra società.

Storie emblematiche, parabole del presente, che raccontano nuove utopie, inciampi grotteschi e civile indignazione. Storie di sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, di esclusione, di ribellione, di guerra, di illegalità, rilette col filtro grottesco, ghignante e aristofanesco, che De Andrè ha utilizzato nel concept album Le nuvole.

Ad accompagnare musicalmente Marcorè, saranno Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini, gli arrangiamenti musicali sono di Paolo Silvestri, le scene e i costumi di Guido Fiorato e le luci di Aldo Mantovani.

Nelle ultime stagioni Neri Marcorè ha molto frequentato il teatro musicale, esplorando tra l’altro Gaber e i Beatles e costruendo spettacoli che guardano sia al teatro civile che alla bizzarra giocosità del surreale. Con Quello che non ho siamo di fronte ad un anomalo, reinventato esempio di teatro-canzone (sostenuto e arricchito in scena da tre chitarristi-cantanti dal talento virtuosistico) che, ispirandosi a due giganti del nostro recente passato (De Andrè e Pasolini) prova a costruire una visione personale dell’oggi. Un tempo nuovo e in parte inesplorato in cerca di idee e ideali.

Come può un artista, un intellettuale, raccontare a chi non l’ha vissuto cosa è stato il nostro tempo? – si domanda Marcorè – Una volta chiesero al direttore d’orchestra Furtwangler: «Quanto dura il concerto di Mozart che lei dirigerà stasera»? E il direttore rispose: «Per lei dura quarantadue minuti… per chi ama la musica dura da 300 anni»!

Stiamo producendo orrori e miserie, ma anche un tempo fatto di opere meravigliose, quadri, musica, libri, parole. Eredità e testimonianza della civiltà umana sono le frasi di Leonardo: «seguiamo la fantasia esatta»; di Mozart: «siamo allievi del mondo»; di Rameau: «trovo sacro il disordine che è in me»; di Monet: «voglio un colore che tutti li contenga»; di Fabrizio De Andrè: «vado alla ricerca di una goccia di splendore», fino alle utopiche provocazioni di Pasolini: «è venuta ormai l’ora di trasformarsi in contestazione vivente».

Così, viaggiando “in direzione ostinata e contraria”, Marcorè favoleggia del Sesto continente, un’enorme Atlantide di rifiuti di plastica (grande 2 volte e mezzo l’Italia) che galleggia al largo delle Hawaii; di evoluti roditori, nuovi padroni del mondo, che inaugurano il regno di Emmenthal (…dopo Neanderthal); di surreali, realissime interrogazioni parlamentari che lamentano la scomparsa di Clarabella dai gadget dell’acqua minerale; di guerre civili causate dal coltan, minerale indispensabile per far funzionare telefonini e playstation, di economia in “decrescita felice”, che propone la pizza da un euro (una normale margherita, grande però come un euro…), costruendo così un mosaico variegato di storie (anche in forma di canzone) che si muove tra satira, racconto e suggestione poetica.