Leonardo Sciascia, “Il Metodo di Maigret”, Adelphi Ed., Milano, 2018 | RECENSIONE

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di Andrea Giostra

“Il Metodo di Maigret”, edito da Adelphi, è una raccolta di scritti di Leonardo Sciascia sul romanzo poliziesco che lo ha appassionato quale grande lettore. Sciascia fu anche un divoratore dei famosissimi Gialli Mondadori della seconda metà del secolo scorso. Giallo e romanzo poliziesco sono i temi trattati in questa rassegna di ventitré articoli apparsi su diverse riviste dell’epoca, che abbracciano un periodo tra il 1957 e il 1989. Il tentativo di Sciascia con questi scritti fu quello di ricercare ed individuare, attraverso le sue tante letture, un metodo di scrittura e di costruzione narrativa del racconto giallo e poliziesco. L’ipotesi di base dello scrittore siciliano fu quella di capire da cosa nasce il fascino della lettura che vede altalenare l’identificazione del lettore tra il carnefice (l’autore del delitto) e l’investigatore (il poliziotto che va a caccia dell’assassino). Il richiamo alla psicoanalisi freudiana e alla teoria dell’inconscio, ed in particolare all’Es, non è affatto causale ed effettivamente ha una sua matrice interpretativa nel momento in cui il lettore “gode” delle imprese di chi il delitto lo commette, più che di chi il delitto lo persegue e lo limita nell’agito irrazionale, ovvero, nell’azione cinica e di empatica depersonalizzazione.

La raccolta di scritti è al contempo un’analisi critica di diversi narratori di romanzi gialli e polizieschi dell’epoca. Ad alcuni di questi narratori Sciascia non risparmia critiche di una sottile ironia che ne disvelano la scarsa capacità di catturare il lettore e di creare un’atmosfera emozionale del brivido e del pathos propri del viaggiare al confine dell’interdetto mondo pulsionale ancestrale che conduce al delitto inconfessabile. Di altri vengono esalate e prese ad esempio le capacità narrative che magistralmente sanno catturare il lettore all’interno di storie piene di brivido e di finali incerti fino all’ultimo periodo. Gli autori chiamati in causa in questi scritti sono tanti: Augias, Varaldo, De Angelis, Brancati, Savinio, Gide, Gadda, Soldati, Borges, Greene, Cheyney, Chesterton, Wallace, Conan Doyle, Dũrrenmatt, Burnett, Christie, Holiday Hall.

Questa raccolta di scritti di Sciascia sul giallo è stata realizzata da Paolo Squillacioti, ed è il frutto di un colloquio tra Vincenzo Campo e Laura Sciascia, dai quali è nata l’idea editoriale. Il libro è suddiviso in tre sezioni: la letteratura gialla; il commissario Maigret e il suo ideatore Simenon; scritti su nove autori del genere giallo e poliziesco.

Riportiamo a seguire alcuni frammenti degli scritti di Sciascia de “Il metodo Maigret” per incuriosire la lettura di questo interessantissimo scritto sul Giallo e sul Romanzo poliziesco:

«Il Del Monte, come già altri storici del poliziesco, ne rintraccia le origini nella Bibbia e nell’Edipo re, nell’Eneide e nelle Mille e una notte. In realtà la detective story nasce nel momento in cui, almeno in teoria, la legge viene proclamata “uguale per tutti”: e in un certo senso risponde alla esigenza delle classi popolari che effettivamente lo sia, uguale per tutti. Da ciò il discredito gettato da questa letteratura sulla polizia ufficiale e il sorgere dell’investigatore privato che sistematicamente batte ed umilia la polizia organizzata, gli organi investigativi, inquirente giudiziarie dello Stato, della classe dirigente.» (Leonardo Sciascia, Le chiavi del “Giallo”, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 14 aprile 1962, p. 3).

«Sotto la chiave che potremmo di re di “coscienza”, ce n’è un’altra, a spiegare il successo e la diffusione del “Giallo”; una chiave freudiana: il giuoco dei divieti, delle infrazioni di essi; della profanazione e della ricostituzione dei tabù; delle ambivalenze, insomma: per cui il lettore di “Gialli” si trova a parteggiare, in egual misura, per il colpevole non ancora individuato o per l’investigatore che accanitamente lo persegue; sicché la soluzione di quel cruciverba narrativo che è il romanzo poliziesco coincide nel lettore con l’insoddisfazione, sempre.» (Leonardo Sciascia, Le chiavi del “Giallo”, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 14 aprile 1962, p. 3).

«Per secoli, e si può dire quasi fino ad oggi, il popolo italiano ha avuto come letteratura d’evasione (in tradizione orale prevalentemente, stante l’alta percentuale di analfabeti) l’epopea dei Reali di Francia in cui, tutto sommato, sono gli stessi elementi che il romanzo poliziesco giuocherà con più apparente realismo e con tecnica diversa: vale a dire la lotta tra il bene e il male, il trionfo del bene, la protezione dell’innocenza, e il perseguimento della colpa, l’annientamento del tradimento della calunnia; e l’amore, la vendetta, la morte. Paradossalmente (ma fino a un certo punto) una condizione di arretratezza culturale ha fatto sì che la tradizione umanistica abbia avuto una sua persistenza negli strati popolari». (Leonardo Sciascia, Le chiavi del “Giallo”, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 14 aprile 1962, p. 3).

«Il giallo consiste nell’uso di mezzi di terrore e di pietà senza precauzione. E quella che Alain chiama precauzione sarebbe per l’appunto la disciplina, la misura, la forza dell’arte. Sicché, in definitiva, il più grande romanzo poliziesco che sia mai stato scritto resta I fratelli Karamazov di Dostoevskij (Leonardo Sciascia, Una storia del “Giallo”, in “Lavoro”, X, 20, 19 maggio 1957, p. 14, nella rubrica “Sottobosco letterario”).

Leonardo Sciascia

https://www.adelphi.it/libro/9788845932427

https://www.adelphi.it/catalogo/autore/857

ANDREA GIOSTRA

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