Sara Favarò, scrittrice, giornalista, attrice, saggista | INTERVISTA

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«L’arte di scrivere è un dono elargito a chi comprende e accetta di essere “tramite” … scrivere un libro … necessita di tempo e di quel silenzio interiore necessario per ascoltare la voce dell’intuito»

di Andrea Giostra.

Ciao Sara, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?

Con un saluto

Chi è Sara nella sua professione e nella sua passione per l’arte della scrittura?

Una donna che ama scrivere, cantare, ricercare e recitare.

Ci parli delle tue opere e pubblicazioni? Quali sono, qual è stata l’ispirazione che li ha generati, quale è il messaggio che vuoi lanciare a chi li leggerà?

Dal 1980 ad oggi ho pubblicato 66 libri. Narrativa, poesia, saggi e, poiché sono anche giornalista, ho al mio attivo centinaia di articoli. La mia prima pubblicazione è stata voluta dal mio mentore Ignazio Buttitta che, con il pittore Pippo Madè, pubblicarono a loro spese il mio primo libro di poesia: Chista sugnu! Ero la sua allieva prediletta e mi introdusse nelle scuole, piazze e circoli culturali, facendomi recitare con lui le mie poesie. Talvolta andavamo in giro per Sicilia e Calabria ai festival dell’Unità e con noi c’erano sempre altri artisti come Rosa Balistreri, Ciccio Busacca, Fortunato Sindoni, talvolta Otello Profazio, ed è da questi “mostri sacri” del canto popolare che ho appreso ritmi, modulazioni vocali, canti. Personaggi tutti che hanno avuto un ruolo fondamentale per la mia crescita nel campo del canto e della poesia. Come è naturale che sia, tanti altri stimoli mi hanno indotto ad essere ciò che sono. Sono nata in un piccolo paese, Vicari, da dove sono andata via a 11 anni. Da allora vivo a Palermo ed è stato proprio l’allontanamento dal paese di provincia con le sue tradizioni, usi, costumi che mi ha fatto capite come tutto quel patrimonio, che in città era ormai perduto, occorreva che fosse documentato e donato a chi, non ha avuto il bene di conoscerlo, con il rischio concreto di perdere per sempre il proprio passato. Ho condotto ricerche in tutta la Sicilia ed ho creato un mio archivio di cultura immateriale che è sempre in crescita e, per quanto siano molti i libri che ho pubblicato, sono sicuramente di più quelli che attendono di esserlo. Per quanto attiene la narrativa mi occupo di letteratura per l’infanzia scrivendo testi ma anche dirigendo due collane dirette ai giovanissimi lettori per la casa editrice Ex Libris di Palermo. Amo scrivere anche per gli adulti e uno dei miei romanzi Le porte del Sole” è stato premiato nella terna vincente del premio letterario “Racalmare Leonardo Sciascia”. Per scrivere il mio ultimo romanzo storico “Che Dio stramaledica gli Alleati” sono andata in Australia, a Melbourne, per incontrare il protagonista di quella che, purtroppo, è una storia vera. Un altro mio libro “Il coraggio delle donne”, che narra le vicende di ordinario e di straordinario coraggio di vivere di 15 donne siciliane, è stato spunto per diverse trasmissioni televisive sia della RAI che delle reti Mediaset e digitale terreste di canale 5. Sono autrice di un soggetto cinematografico per uno short film contro la violenza sulle donne, che ha ricevuto riconoscimenti in tutta Europa. Scrivo testi teatrali che rappresento con la mia compagnia musicale e teatrale “Gruppo Arte Sikelia”. Ho anche fondato con mio fratello Giovanni, nel 1979, un gruppo artistico musicale “Sikelia” con il quale abbiamo fatto tournée oltre che in Italia anche in Canada, Germania, Australia, portando in giro le canzoni scritte da me, musicate da mio fratello e arrangiate in comunione da tutti i musicisti del gruppo, provenienti da diverse esperienze musicali dal Pop psichedelico, al blues, al rock, alla musica leggera. Siamo stati antesignani di un nuovo sound definito folk in progress. Cosa questa che a quei tempi era all’avanguardia e non è stato facile farlo accettare a chi riteneva che folk fosse solo canzonette con inappropriati “trarallalleru” come per la canzone siciliana più offesa ed oltraggiata di tutto il panorama siciliano: Vitti na crozza.

Qual è la tua formazione accademica e professionale? Come hai maturato l’arte di scrivere racconti, storie, saggi…?

Sono fermamente convinta che, al di là di ogni formazione accademica e professionale, l’arte di scrivere sia un dono elargito a chi comprende e accetta di essere “tramite”. Un ponte attraverso il quale transita qualcosa che è in noi e, al contempo, al di sopra delle nostre comprensioni coscienti, per arrivare a chi di quel messaggio necessita. Essere portavoce di sentimenti, percezioni, conoscenze, stimoli che invogliano a guardare “oltre”, nel percorso necessario del processo evolutivo del creato, che è “crescita” individuale e collettiva dell’essere umano. Importante è accettare il proprio ruolo, sia per chi è religioso, a disposizione del volere divino e, oppure, semplicemente dell’energia cosmica che è essa stessa vita e che di questa vita si nutre, gode, produce. La coscienza di essere “tramite” si trasforma in bisogno transpersonale di “donare”. Condividere è un gesto d’amore, di donazione di sé, delle proprie “conoscenze” che trova esempi nella storia di tutti i tempi. Un processo di evoluzionismo cosmico, e non posso non pensare al grande Pierre Teilhard de Chardin, che ha individuato per il percorso spirituale della Specie.

Quali sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?

Siamo tutti tessere dello stesso mosaico, ma è la capacità di intuito che ci è stata donata che fa la differenza.

Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?

È importante essere testimoni di sé del proprio tempo. Scrivere un libro, a differenza dell’informazione veloce dei social di internet, necessita di tempo e di quel silenzio interiore necessario per ascoltare la voce dell’intuito di cui ho già detto. Un libro va pensato, scritto, realizzato, divulgato, distribuito, necessita di quei tutti quei tempi che solo in apparenza possono sembrare morti, ma che di fatto sono un insieme di molliche che, quando si aggregano, formano una fetta di pane, le informazioni veloci che necessitano di rinnovamento continuo sono come tante molliche che se si sbriciolano per terra, destinate a disperdersi nel tempo.

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?

Non so se per pregio o per difetto ma non ho modelli. Autori preferiti che amo leggere e talvolta rileggere, tanti. Primo tra tutti “Il piccolo principe” che va letto e riletto secondo la propria capacità di comprensione che varia con il variare della nostra maturità.

Charles Bukowski a proposito dei corsi di scrittura diceva … «Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di scrittura assai alla moda in questi ultimi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere e diventare grandi scrittori?

Il mio pensiero è precisamente uguale a quello di Bukowski se indirizzato a certi concorsi banditi da imbonitori di turno, editori accalappia scrittori a pagamento, sedicenti intellettuali o critici letterari di cui mai nessuno ha letto un rigo, concorsi che dovrebbero sostituire i loro nomi in “Premio dei vieni qui bello che ti do una medaglia d’oro di pura plastica e tu mi paghi iscrizione, diritti di segreteria ecc.…”. Nulla togliendo ai “veri” premi che sono cosa ben diversa. Spesso, inoltre, si scopre che dietro grandi autori, si celano writers di professione. Ci sono pure i “grandi scrittori” di poco o di nessun valore, ma pubblicati da grande case editrici che investono soldi per pubblicizzare il proprio autore. Chiaramente esistono davvero i grandi scrittori, ma non a tutti è dato avere in vita il giusto riconoscimento. Basti citare lo scrittore americano Herman Melville autore di Moby Dick, la poetessa Emily Dickinson e che dire di Franz Kafka o del recentissimo caso di grande successo editoriale della Trilogia Millennium dello svedese Stieg Larsson morto nel 2004 e che solo dopo è diventato famosissimo ed è tradotto in 40 lingue.

La maggior parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987). Cose ne pensi di quello che dice Kubrick? Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore quelle sensazioni di cui parla il grande regista newyorkese? E se sì, quali sono secondo te?

Kubrik leggeva ed è anche per questo che era un “grande”.

«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?

Marcel Proust si preoccuperebbe di ben altri stimoli se vivesse oggi. Penso che il pericolo maggiore per la dispersione della coscienza del Sé, stia nel concreto pericolo che la globalizzazione possa trasformarsi in omologazione culturale. Questo è il pericolo dei nostri tempi.

Una domanda difficile Sara: perché i lettori di questa intervista dovrebbe comprare e leggere i tuoi libri? Dicci qualcosa che possa convincere i nostri lettori a comprare e leggere qualcuno dei tuoi libri.

Non c’è un motivo singolo o unitario per farlo. Se qualcuno, attraverso ciò che scrivo, si identifica in sentimenti, modo di approcciarsi alla vita, tematiche di cui tratto, dalle storie vere e attuali, ai temi sociali e alla storia vista da parte dei “vinti” e non quella ufficiale dei “vincitori”, se qualcuno, leggendo le mie poesie, si ritrova nei sentimenti che abitano il mio spirito – come abitano quello di tanti che magari non hanno però la forza per tirarli fuori -, se qualche altro ama andare alla riscoperta delle proprie tradizioni culturali, allora sì che potrebbe comprare i miei libri, nel caso contrario è meglio che risparmi i suoi soldi.

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte, e l’arte della scrittura in particolare?

Frase validissima. Molti studiosi hanno tentato di dare un padre alla famosa affermazione di cui non si conosce l’autore. Quello che è importante è il fatto che, chiunque esso sia, resta la validità del messaggio di cui un uomo è stato “tramite”, affinché chi legge possa riflettere.

Quando parliamo di bellezza, siamo così sicuri che quello che noi intendiamo per bellezza sia lo stesso, per esempio, per i Millennial, per gli adolescenti nati nel Ventunesimo secolo? E se questi canoni non sono uguali tra loro, quando parliamo di bellezza che salverà il mondo, a quale bellezza ci riferiamo?

 Non può esistere una definizione di “bellezza” uguale per ogni generazione. Chi crede di essere il detentore delle verità assolute è detentore di niente. Piuttosto ci sono delle opere che passano indenni le valutazioni del concetto di bellezza dei vari periodi storici e usi generazionali. E penso a “La pietà” di Michelangelo, al “Davide” di Donatello, alla “Gioconda” di Leonardo da Vinci, alla “Natività” – purtroppo trafugata – di Caravaggio, solo per citare alcuni grandi esponenti del “bello” che travalica il concetto di bellezza “generazionale”.

Esiste oggi secondo te una disciplina che educa alla bellezza? La cosiddetta estetica della cultura dell’antica Grecia e della filosofia speculativa di fine Ottocento inizi Novecento?

Credo che talvolta ci illudiamo di essere “inventori” di concetti e poi “scopriamo” che un determinato pensiero era stato espresso. Una ricorrenza ciclica dove tutto si ripete, pur se con forme e parole diverse, adeguate al periodo storico di riferimento.

Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre film da vedere e tre libri da leggere assolutamente, quali consiglieresti e perché proprio questi? Cosa hanno di particolare secondo te?

Per i film sicuramente due datati: Hair, The wall e, più recente, Bohemian Rapsody. I libri oltre al già citato “Il Piccolo Principe” di Antonine de Saint-Exupery, “Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino, “Cento anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai lavorando in questo momento e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?

Sto lavorando a tre nuovi progetti teatrali-musicali, quattro nuovi libri che usciranno entro il 2020 e un progetto discografico. Intanto il 14 febbraio alle 16:00 si svolgerà il quinto reading di poesie FUIS, organizzato da me, e sarà presentata l’antologia poetica di autori vari, che ho curato, “Mio fratello questo sconosciuto”, il 25 marzo debutta al teatro “Il Convento” di Palermo il mio lavoro teatrale-musicale “Sicilia in scena”. Dal 31 gennaio inizio un corso sull’arte dell’albo illustrato alla libreria Carabà e poi…. ne parliamo dopo marzo.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?

Voglio concludere con una delle tre parole più belle del mondo: GRAZIE!

SaraFavarò

http://www.sarafavaro.it/

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Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it