Isolamento forzato (per legittima difesa)

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di Irene Losito

Amelia è una giovane donna ucraina, arrivata in Italia tre anni fa per sfuggire ad un atroce destino. Ha alle spalle un matrimonio infelice e due bambini stupendi che ama più della sua stessa vita.

La sua relazione sfortunata è nata negli anni adolescenziali. Amelia probabilmente è innamorata più dell’idea dell’amore che di quell’uomo. Più grande di lei di 7 anni, dai modi sgarbati e spiccioli, in poco tempo l’ha catapultata dai sogni a una realtà spaventosa, fatta di prepotenze prima e di violenza poi.

Amelia resiste per anni in quell’inferno che sembra un incubo dal quale sogna di potersi svegliare quanto prima. Ha deciso di rimanere in quella pace armata per il bene dei figli ai quali vorrebbe donare quanto meno la parvenza di una famiglia normale.

Finché un giorno la situazione sfugge al controllo. Il marito torna a casa ubriaco, è intrattabile. Inizia ad urlare per un pretesto stupido, lei chiude prontamente i figli nella loro stanza e cerca di rabbonirlo. Inutilmente.

Dopo aver sfogato brutalmente la sua rabbia sul suo corpo fragile e delicato, esce sbattendo la porta. Amelia è stordita. Le gira la testa. Ha lividi sparsi sul corpo. Si asciuga le lacrime, corre dai figli, prepara in fretta e furia le valigie e scappa da sua madre. Ma la fuga serve a poco. Lui la rintraccia e pretende che lei torni al suo posto.

Amelia non ha alternative. Prende i figli con sé e scappa in Italia. Solo la madre conoscerà la sua nuova residenza. Si attiva subito alla ricerca di un lavoro, chiede temporaneamente ospitalità ad una cugina che ha sposato un italiano una decina di anni prima. Ci mette nove mesi per trovare una sua dimensione: un lavoro da badante, un monolocale in affitto, la scuola per i figli. Tutto si assesta al meglio.

E la vita scorre tranquilla per un po’. Ma arriva la pandemia. Siamo a marzo 2020. Il mondo si ferma. Amelia ha paura. Riesce quasi per miracolo a riportare i figli in Ucraina e a far ritorno in Italia prima che scattino le manovre restrittive al nord. La madre e la sorella si occuperanno dei bambini mentre lei continuerà a lavorare in Italia.

Ma al peggio sembra non esserci limite. La situazione degenera. Si ferma tutto. Amelia perde il lavoro. I figli dell’anziana signora che assiste sono a casa e le dicono che si occuperanno personalmente di lei fino al ritorno della normalità.

Senza lavoro, coi pochi risparmi che è faticosamente riuscita a mettere insieme, Amelia si ritrova in quarantena da sola. I figli sono lontani da lei. Nessuna traccia di affetto nella sua vita. Le condizioni economiche sono precarie. Ha paura per sé e per i suoi cari lontani.

Quanto può pesare sul destino di una donna un matrimonio sbagliato?

Amelia ha dovuto sacrificare tutto per proteggere i suoi figli. La famiglia che dovrebbe essere il nido che offre amore e calore, per lei diviene luogo spaventoso in cui si consumano violenze e martiri.

Sposare l’uomo sbagliato può privarti dei sogni. Può toglierti la dignità di donna, il diritto ad un futuro felice e la possibilità di reinventarti se non hai sostegni tali da potercela fare autonomamente. Se, come Amelia, sei costretta a scappare all’estero per tentare di tenere lontano il tuo carnefice ed aver salva la vita.

Mi chiedo: se domani diventasse l’ennesima vittima dei troppi femminicidi che riempiono le pagine di cronaca nera, potremmo davvero pensare di attribuire la morte di questa donna al drammatico episodio? O Amelia era già agonizzante da tempo sotto gli occhi indifferenti di chi incrociava i suoi passi senza riuscire a prestare attenzione al suo dolore?

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Irene Losito

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