Teppismo online, cybercrime tra body shaming e shit storming. Il ruolo delle scimmie volanti nella diffamazione cibernautica

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Cari lettori,

oggi ci addentriamo in una tematica che è di elettiva pertinenza delle neuroscienze forensi, ovvero delle neuroscienze applicate al diritto.

Per farlo, ho chiesto il supporto della nota criminologa dott.ssa Elisabetta Sionis, vista la sua vasta esperienza come giudice Onorario presso il Tribunale dei Minori di Cagliari.

La tematica è inerente i reati informatici, e l’analisi dei disturbi di personalità che connotano coloro che li compiono.

 

I REATI INFORMATICI (a cura di Elisabetta Sionis)

La massiccia diffusione delle nuove tecnologie multimediali ha permesso di migliorare molti aspetti della nostra vita, ma al contempo, ha delineato nuovi scenari in cui si iscrivono diverse fattispecie di reato tanto che anche il legislatore si è dovuto adeguare introducendo sin dal 1993 una specifica normativa (Legge 547/93 e successive modifiche ed integrazioni del C.P. e C.P.P.) contro i cyber crimes.

In tema di criminalità telematica possiamo distinguere i seguenti reati di matrice prettamente informatica:

  • Frode informatica e phishing (art 640 ter c.p)
  • Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico (art 615 ter c.p)
  • Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici e telematici (art 615 quater c.p.)
  • Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico. Il reato è commesso da chi si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento.
  • Falsificazione, alterazione, soppressione di comunicazioni e danneggiamento di sistemi

Viene sanzionato dal codice penale anche chi altera, sopprime o falsifica la comunicazione informatica acquisita mediante l’intercettazione (art 617 sexies c.p.) e chi distrugge, deteriora, cancella, dati, informazioni o programmi informatici (art 635 bis c.p.)

  • Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni (artt 617 quater c.p e 617 quinquies c.p.) è sanzionato chi, senza essere autorizzato, intercetta, impedisce, interrompe o rivela comunicazioni informatiche e colui che installa apparecchiature dirette ad intercettare, interrompere o impedire comunicazioni informatiche.

A queste fattispecie delittuose si aggiungono quelle di:

  • Diffamazione aggravata e cyberbullismo
  • Atti persecutori, stalking, molestia e disturbo alle persone, minacce
  • Reati contro la libertà sessuale (contro minori e adulti, pedopornografia, revenge porn)
  • Violazione, sottrazione e diffusione di corrispondenza (messaggistica chat Facebook, Whatsapp etc), a tal riguardo vale la pena ricordare che la legge 547/1993, nel novellare l’articolo 616 c.p., precisa che per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica, ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.

La nostra attenzione si sofferma oggi sulla disamina del profilo personologico e criminologico del delinquente digitale e sulle cyber-gang che militano sul social Facebook.

Dopo aver elencato gli aspetti afferenti all’ambito prettamente giuridico, intendiamo rivolgere la nostra attenzione verso le implicazioni sociologiche, fenomenologiche, pedagogiche e criminologiche sottese a codeste peculiari condotte aggressive online  attraverso l’utilizzo di  un esempio concreto, seppur nel rispetto del riserbo di tutti i soggetti coinvolti nella dinamica in oggetto.

La problematica, relativa alla delinquenza informatica, colpisce trasversalmente qualunque categoria dal punto di vista di genere, età ed estrazione socio-culturale,  sia in ambito criminologico che vittimologico, ma il nostro focus, oggi, si sposta sulle condotte violente agite online da soggetti adulti e, in particolar modo, da parte di vere e proprie bande se non, addirittura, associazioni per delinquere che si muovono nel web in modo strutturato e piramidalmente organizzato.

Contrariamente a quel che l’immaginario collettivo si aspetterebbe, molti leader e luogotenenti  delle cyber gang, sono, spesso, di sesso femminile e hanno al ruolo uno stuolo di manovali di ambo i sessi e numerosi fake (ovvero, finti profili dietro i quali agiscono i sodali), che fungono da untori e scimmie volanti della diffamazione e delle persecuzioni online, ovvero esecutori materiali delle condotte più gravi che sarebbero più facilmente perseguibili dal punto di vista penale.

 

UN ESEMPIO CONCRETO di cyber criminal profiling (a cura di Elisabetta Sionis)

Una delle cyber-gang, di cui si è occupato il nostro gruppo di studio multidisciplinare, è costituita da un capobranco con marcati tratti di psicopatia e preoccupante tendenza verso condotte di simil-aggressione sessuale virtuale accompagnate da body shaming e shit storming nei confronti delle vittime prescelte.

Si tratta di un soggetto particolarmente violento e privo di scrupoli con totale assenza di empatia e portatore di  evidenti problematiche derivanti da un vissuto familiare disagiato  con deprivazione affettiva/educativa e legate all’abuso di sostanze alcoliche  (con alta probabilità fruitore cronico di sostanze psicotrope). L’offender teppista virtuale è apparso affetto da un disturbo del tono dell’umore e difficoltà nella gestione della rabbia bulimica di cui è drammaticamente pervaso. Egli, inoltre,  può essere definito un ludopatico violento, affetto da internet addiction,  che nel rilanciare d’azzardo  le sue azioni illegali, sfida finanche la Giustizia.

Invero, è, a tutti gli effetti, un insoddisfatto ed iracondo trasformista, con acclarati tratti  di dismorfofobia e dis-percezione della realtà oggettiva, che dimostra evidenti disordini dal punto di vista della percezione della propria identità tout-court accompagnati da marcata propensione alla menzogna e alla mistificazione con  tendenza a mascherare e modificare la propria immagine sociale, a seconda delle circostanze.

Lo potremmo agevolmente definire un ingordo fagocitatore della serenità altrui che presenta marcati tratti tipici del predatore sessuale considerato che, spesso, nelle sue violente rappresaglie virtuali ricorre a frasari abitualmente utilizzati da quel genere di aggressori e si serve di metafore e similitudini simil-pornografiche determinate dalla necessità di sfogare i suoi più bassi e primordiali istinti.

La delineazione del profilo personologico e criminologico del capo colonna del sistema violento è funzionale alla comprensione delle caratteristiche della compagine sodale costituita da gregari, ossia da soggetti socialmente disfunzionali, frustrati e dalla personalità dipendente che risultano essere dei veri e propri mendicanti di gratificazioni e riconoscimenti.

Nell’organigramma della banda criminale, figurano, altresì, alcuni individui con chiare problematiche di natura psichiatrica per i quali, in considerazione della gravità dei loro agiti, è possibile ipotizzare, quantomeno, una parziale compromissione della capacità cognitiva e volitiva.

Il capo bullo, ben consapevole delle defaillances individuali, sociali,  relazionali e intellettive di cui sono sfortunati portatori i suoi sottoposti, demanda loro i compiti maggiormente pericolosi dal punto di vista delle implicazioni legali. Una funzione a se stante è destinata ai fake, i quali rivestono il ruolo di scimmie volanti della diffamazione e della propalazione di contumelie, come di umiliazioni e  minacce.

Generalmente, come nel caso in esame, il capo  dei cyber-bulli possiede egli stesso almeno un account fake attraverso il quale poter sfogare la sua rabbiosa frustrazione secondo un irrefrenabile impulso che sembra caratterizzato da una vera e propria compulsione ad aggredire, tormentare e mortificare i vessati di turno, tanto da  agire le sue malevole incursioni perfino in giornate festive o orari notturni.

Dopo un iniziale periodo in cui l’attività delinquenziale è, tutto sommato, sotto controllo, l’ossessionante  e crescente necessità di colpire soggetti che ritiene fragili ed indifesi, lo porta a rompere i preordinati schemi d’azione e a defedarsi,  giungendo a frequentare col suo account reale i profili dei suoi adepti fake, spinto da una coazione a ripetere antiche violenze che hanno irrimediabilmente marchiato la sua infelice esistenza,

In queste vere e proprie tane virtuali è, infatti, raro, che qualcuno partecipi col proprio profilo  alle azioni delittuose, pertanto, il fatto che il capobranco  si scopra così platealmente, va inteso come segnale di disfatta e perdita di potere delinquenziale.

La frequentazione degli account fake in uso alle scimmie volanti della diffamazione, infatti, rappresenta la palese ammissione di co-responsabilità di chiunque effettui quel genere di interazioni (col proprio account reale) e lo espone a ripercussioni di tipo penale, qualora sia stata effettuata una denuncia-querela.

Per quanto attiene il caso in esame, abbiamo osservato che il capo dei cyber-bulli, dopo aver ostentato baldanzosa sicurezza nell’agire diverse azioni criminali nel proprio account reale, sfociate in gravi condotte illegali anche da parte dei teppisti   gregari,  in una seconda fase,  che potremmo definire di aurorale consapevolezza rispetto alla concreta possibilità di subire delle condanne penali, ha dovuto creare alcune pagine in cui sfogare la propria violenta rabbia e frustrazione e si è dovuto celare dietro l’utilizzo di diversi fake.

A queste due fasi, ne è seguita una terza, in cui è stato possibile osservare un declino catastrofico della capacità di gestire l’impulso aggressivo e l’irrefrenabile moto violento tanto da condurlo a delinquere col profilo reale presso le tane virtuali create e frequentate unicamente dai sodali fake. Questo genere di condotta sembra derivare dalla necessità di ristabilire prepotentemente il proprio ruolo antisociale attraverso l’ostentazione della propria identità reale in contesti francamente borderline rispetto alle norme socialmente condivise.

L’escalation criminale del capobranco e la susseguente compulsione ad agire condotte delittuose in situazioni di sovra-esposizione e, quindi, di maggiore rischio penale,  ci ha permesso di misurare le seguenti variabili: a) il suo grado di dipendenza dal mondo virtuale, b) la  perdita di leadership, c) osservare lo sfilacciamento delle frange di gregari che via via si sono allontanati da lui.

 

FISIOPATOLOGIA DEL DISTURBO (a cura di Mirko Avesani)

Certamente alla base di tutto vi è un disturbo, un disturbo che, oltre a colpire la mente, colpisce anche prettamente le funzioni cerebrali sottese ad alcuni network precisi. Nel dialogo dialettico “mente-cervello”, le neuroscienze forensi suggeriscono che vi sia un problema a monte, ovvero una disfunzione organica in alcune modalità di trasmissione inter-neuronale. E’ da tempo che, invero, tale problematica viene osservata.

Sono, infatti, ormai, più di dieci anni che disturbi, un tempo considerati prettamente “funzionali” (ovvero, da malfunzionamento della mente senza alterazioni della struttura o del funzionamento cerebrale), hanno dimostrato avere una causa (o, meglio, una eziopatogenesi) “organica”. Ricordiamo, tra tutti, un lavoro molto interessante (intitolato ”Limbic encephalitis presenting with anxiety and depression: a comprehensive neuropsychological formulation”) pubblicato, nel 2009, dal prof. Tufan su “The World Journal of Biological Psychiatry”, che, tra i primi, ha riformulato la necessità di considerare in maniera multidisciplinare alcuni sintomi e segni, considerato che sarebbero “di confine” tra discipline che si sono volute dividere in maniera eccessivamente rigida.

Non è stato certamente l’unico studio, considerato che, nello stesso periodo, ne è uscito un altro che ha dimostrato anche il percorso inverso, ovvero come una patologia (considerata prettamente organica) come la fibromialgia, abbia dimostrato avere anche, a monte, una problematica funzionale. Citiamo il lavoro intitolato “History of early abuse as a predictor of treatment response in patients with fibromyalgia: A post-hoc analysis of a 12-week, randomized, double-blind, placebo-controlled trial of paroxetine controlled release”, pubblicato, nel 2009, dal prof. Patkar sempre su “The World Journal of Biological Psychiatry”.

In precedenza, nel 2007, uno studio del prof. Arolt (intitolato: “fMRI amygdala activation during a spontaneous panic attack in a patient with panic disorder”), e pubblicato sempre su “The World Journal of Biological Psychiatry, confermava un coinvolgimento dell’amigdala in un disturbo che era considerato prettamente funzionale come quello dell’attacco di panico (DAP).

Anche la genetica ha il suo ruolo, come dimostrato da uno studio del 2009 del prof. Asberg, pubblicato su “Scandinavian Journal of Psychology” e intitolato “Emotionally controlled decision-making and a gene variant related to serotonin synthesis in women with borderline personality disorder”. Sono numerosi, in tal senso gli studi di genetica in corso. Ricordiamo, in tal senso, un lavoro del 2013, pubblicato su “Experimental Brain Research”, intitolato “Serotonergic modulation of suicidal behaviour: integrating preclinical data with clinical practice and psychotherapy”, a firma del prof. Giuseppe di Giovanni, nel quale viene riportata una problematica recettoriale (recettore per la serotonina) geneticamente determinata (ovvero una mutazione nel gene che sintetizza tale recettore). Il problema, quindi, pare essere molto più vasto, implicando non solo la (alterata) sintesi di alcuni neurotrasmettitori, ma anche la sintesi dei loro recettori, che dovrebbero incamerare tali neurotrasmettitori nelle cellule  neuronali. Uno studio precedente, del 2007, a firma del prof. Soloff, (intitolato “ 5HT2A Receptor Binding is Increased in Borderline Personality Disorder”  e pubblicato su “Biological Psychiatry”), aveva confermato il ruolo dei recettori di alcuni neurotrasmettitori.

Che il confine tra patologia neurologica organica e patologia funzionale psichiatrica sia non netto e demarcato, né demarcabile, è confermato dalla presenza delle cosiddette “sindromi psico-organiche frontali” tanto endogene quanto esogene. Un articolo del 2014, a firma del prof. Caceda, lo conferma nel momento in cui rileva la presenza di problematiche cognitive (ad espressività frontale, cortico-sottocorticale) in pazienti con severi disturbi mentali. Tale articolo (intitolato “Toward an Understanding of Decision Making in Severe Mental Illness”) è stato pubblicato su “The Journal of Neuropsychiatry”. Tra i disturbi psichiatrici analizzati da questo lavoro vi è proprio il discontrollo degli impulsi. In precedenza, la professoressa New, aveva pubblicato, in tal senso, su “Psychiatric Clinics of North America” un interessante articolo intitolato “Recent Advances in the Biological Study of Personality Disorders”, a conferma della multidisciplinarietà di tale tematica.

Un recentissimo lavoro, sempre in tal senso, ha studiato il ruolo delle neuroimmagini strutturali e funzionali su soggetti psichiatrici con tendenze suicidiarie comparati con soggetti, parimenti  affetti dalle medesime problematiche psichiatriche, ma privi di tali tendenze suicidiarie. Il lavoro, a firma del prof. Renteria, è intitolato “Neuroimaging Studies of Suicidal Behavior and Non-suicidal Self-Injury in Psychiatric Patients: A Systematic Review”ed è stato pubblicato su “Frontiers in Psychiatry”.

Una possibile spiegazione si avrà quando metodiche di neurofisiologia clinica verranno applicate in maniera approfondita ed estensiva alle problematiche cognitive. Vi sono studi promettenti in questo settore, che propongono, da tempo, di applicare lo studio dei bioritmi cerebrali ad alcune problematiche neuropsicologiche. Parliamo, ad esempio, della analisi delle (cosiddette) componenti indipendenti, ovvero di alcuni bioritmi cerebrali a cervello a riposo (ovvero in “resting state”), situazione che impedisce di alterarli. Un lavoro interessante, a tal proposito, è uscito già  nel 2013 (“Dynamic changes of ICA-derived EEG functional connectivity in the resting state”) ad opera del prof. Grunzelier. La serietà della rivista che ha pubblicato il lavoro (“Human Brain Mapping”) ci permette di sottolineare come tale pubblicazione sia da tenere in considerazione.  Lo scrivente dr. Avesani, nel corso della sua carriera di neurofisiologo clinico, ha avuto occasione di occuparsi direttamente di analisi dei bioritmi cerebrali applicati sia alle epilessie di interesse chirurgico che ai disturbi cognitivi lievi (MCI: mild cognitive impairment) a possibile carattere evolutivo in demenze.

Tornando al lavoro, pubblicato nel 2013 dal prof. Grunzelier, interessanti ne sono le conclusioni che vi riportiamo: “ Nell’analisi dei bioritmi cebrali ad occhi aperti, confrontata con quella ad occhi chiusi, l’analisi dei grafici ha rivelato due salienti networks funzionali con un una connettività fronto-parietale, un network più mediale (figura n.1), a livello di precuneo/Default Mode Netowork (MND), e uno più lateralizzato, che comprende il giro frontale medio (figura n. 2) e il lobulo parietale inferiore (figura n. 3)”. In questo studio, vengono, quindi, individuate, in soggetti sani, al variare dell’apertura/chiusura degli occhi (compito semplice che impedisce di alterare i bioritmi cerebrali, ma al contempo di attivarli), due importanti vie di connessione (o, meglio, di connettività) cerebrale, che potrebbero (ecco l’importanza di una applicazione estensiva di questi studi a soggettivi psicopatici che sconfinino nella sociopatia) essere alterati in soggetti con problemi di salute mentale. Infatti, questa la conclusione del lavoro: “Proponiamo lo studio della connettività cerebrale, mediante studio delle componenti indipendenti, come valido metodo per  evidenziare lo studio del cervello a risposo che differenzi la persona sana da quella con diversi disturbi cerebrali e  mentali”.

Alleghiamo le tre figure dei tre circuiti (figura n. 1, figura n. 2, figura n. 3), perché riteniamo siano didattiche.

Del resto, in Italia, già nel 2004, i fratelli Babiloni e il prof. Rossini, avevano ipotizzato una applicazione integrata di diverse metodiche neurofisiologiche ai disturbi nervosi e mentali, con un interessante lavoro uscito su  una rivista di ottimo profilo, come Magnetic Resonance Imaging: “Multimodal integration of EEG and fMRI data for the solution of the neurimage puzzle”. Si tratta dell’applicazione di un’altra metodica, la co-registrazione EEG-fMRI, per cui lo scrivente dr. Avesani pubblicò sulla medesima rivista, dopo aver vinto il primo premio al XIII Congresso Europeo di Neurofisiologia Clinica di Istanbul. In sostanza, pare che i circuiti che sottendono un discontrollo degli impulsi si possano, oggi, evidenziare con metodiche oggettive e non solo con batterie di test, che soffrono del limite di essere “operatore dipendente”.

Alla luce di questa vasta letteratura, emerge nettamente la prova che una compromissione del network fronto-caudale abbia ripercussioni sul controllo dei circuiti meso-limbici. Si tratta di una circuiteria che riguarda la connessione tra la corteccia frontale e i cosiddetti “nuclei della base”, un tempo considerati meri regolatori del movimento, oggi considerati parte integrante del corretto funzionamento del nostro stato mentale. Non a caso i neurotrasmettitori implicati non sono solo l’Acetilcolina (che, comunque, resta il principale neurotrasmettitore implicato nelle funzioni cognitive), ma, anche, le cosiddette monoamine (Serotonina, Noradrenalina, Adrenalina, Dopamina).  Le monoamine hanno un ruolo molto importante nel meccanismo del sonno, nella regolazione del tono dell’umore e nella funzione del sistema extrapiramidale (un deficit di dopamina a livello dei neuroni della sostanza nigra, con conseguente deficit di regolazione della via nigro-striatale, è sempre presente nel morbo di Parkinson). Data la loro azione fondamentale al livello del sistema nervoso centrale, valori anomali delle monoaminossidasi (ovvero di quegli enzimi che dovrebbero metabolizzare le monoamine) sono associati a vari disturbi psichiatrici tra i quali spicca, in primo luogo, la depressione. Per questo, gli inibitori delle monoaminossidasi (I-MAO) sono una categoria di farmaci utilizzata per aumentare la quantità di monoammine tra le quali figura la serotonina, con un effetto antidepressivo. Accanto agli I-MAO, per il trattamento della depressione, associata spesso ad altri disturbi, vi sono altri farmaci tra cui gli inibitori della ricaptazione di serotonina (chiamati SSRI) e della ricaptazione di noradreanalina (chiamati SNRI). Tra questa ampia categoria di farmaci ricordiamo la paroxetina, la sertralina e la venlafaxina. Altri disturbi correlati ad alterazioni delle MAO sono il disturbo da abuso di sostanze, il disturbo da attacco di panico (DAP), il disturbo post traumatico da strss (DPTS), il disturbo antisociale, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività e le fobie sociali.

 

MEZZI DI TUTELA A DISPOSIZIONE DEI CITTADINI (a cura di Elisabetta Sionis).

Istituito con il Decreto del Ministero dell’Interno del 31 marzo 1998, il Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni ha sede a Roma, coordina 20 compartimenti regionali e 80 sezioni territoriali e costituisce il punto di contatto dell’Italia con gli uffici di polizia dei Paesi aderenti al G8 che si occupano di crimini informatici. A livello operativo, tra i compiti di cui è investita la Polizia Postale si annoverano il contrasto della pedo-pornografia, del cyberterrorrismo, della diffusione illegale di file e dell’hacking. In particolare, il Servizio raccoglie segnalazioni, coordina le indagini sulla diffusione, in Internet o tramite altre reti di comunicazione, delle immagini di violenza sessuale sui minori e stila le black list dei siti web pedofili. Monitora la rete Internet e conduce indagini specialistiche sull’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione da parte dei gruppi antagonisti ed eversivi nazionali e stranieri. Contrasta i fenomeni della diffusione illegale di file e dell’utilizzo della rete Internet per danneggiare o per colpire, tramite la stessa, obiettivi a essa correlati. Protegge da attacchi informatici le aziende e gli enti che sostengono e garantiscono il funzionamento del Paese mediante reti e servizi informatici o telematici. Analizza ed elabora i dati relativi alle nuove frontiere del crimine informatico e si occupa dei crimini informatici legati all’e-banking e ai giochi e alle scommesse online.

La creazione di database informatici centralizzati ha permesso di risolvere gran parte di questi problemi, velocizzando ed ottimizzando tutte le operazioni di ricerca ed estrazione dati. Con le tecnologie digitali inoltre l’informazione si svincola dal supporto e, di conseguenza, diventa assai facile poter riprodurre il contenuto indipendentemente dal supporto su cui è memorizzato (sia esso un hard disk, un dvd, un usb drive o altro).

Da tutto ciò ne deriva anche una estrema facilità in termini di portabilità e trasferimento.

 

CONCLUSIONI (a cura di Mirko Avesani ed Elisabetta Sionis).

Non è irrilevante né ridondante ricordare che denunciare questi reati è mandatario, non solo per tutelare sé stessi, ma anche chi li compie.

Seppure, spesso, si tratti di soggetti affetti da diverse problematiche psichiatriche sostenute, come sopra ricordato, da una matrice organica, una diagnosi precoce (che, lo ribadiamo, spesso viene fatta in concomitanza a plurimi procedimenti penali che questi soggetti devono sostenere, dopo essere caduti più volte nelle medesime condotte) li può aiutare a ritrovare un equilibrio prima che avvenga un danno irreparabile a loro stessi e agli altri.

Sono soggetti che non perdono la capacità di intendere, ma spesso vedono scemare quella di volere, motivo per cui, compiuto il gesto penalmente rilevante, consci dell’errore compiuto, cercano di evitarne le conseguenze, cadendo, con ciò, in azioni ancora più gravi dal punto di vista penale.

Non è un caso che, scoperti sul fatto, inizino a costruire fantasiosi castelli di congiure a loro danno, accusando le vittime, in una kafkiana inversione dei ruoli, di essere i loro persecutori.

Non a caso, dopo aver compiuto diverse gesta penalmente rilevanti, sovente sviluppano una forma di querelomania, con ciò mirando ad intasare le Procure di notizie di reato insussistenti al solo fine di gettare tutto in schermaglia. Diventa, infatti, assai arduo per un Procuratore, di fronte ad una invasione di querele da ambo le parti, far luce sui fatti, anche se un elemento sarebbe assai utile, quello della timeline, ovvero della cronologia precisa dei fatti.

Alla luce di questo ultimo concetto, la cronologia dei fatti, querele precise da parte di tutte le vittime, se coordinate in maniera unitaria, potranno portare alla luce i fatti così e come avvenuti e smascherare lo stato di “bugiardo patologico” di cui sono affetti questi soggetti che, lo ribadiamo, meritano prima di tutto un aiuto.

Perché, lo sottolineiamo, presi singolarmente, e fuori dal branco, aiutati a riflettere sulle loro gesta insane, questi soggetti arrivano a capire l’insensatezza dei loro gesti e la pericolosità delle loro condotte.

Sono persone che necessitano di una psicoterapia individuale e di gruppo, associata ad una terapia farmacologica, ma queste terapie potranno essere applicate loro solo dopo una diagnosi, diagnosi che sovente avviene con le prime avvisaglie del disturbo, quando diverse notizie di reato iniziano ad accumularsi, spesso in Procure diverse, a loro carico.

Diventerebbe, quindi, assai utile che le Procure, investite di una notizia criminis, nella quale viene fatto riferimento a condotte precedentemente attuate da questi soggetti, avviassero delle indagini conoscitive atte, come una sorta di anamnesi giudiziaria, ad approfondire il profilo del querelato.

Con questo suggerimento, concludiamo la presente trattazione, nella speranza che sia risultata comprensibile anche per i non addetti ai lavori.

Sono problemi di spiccato interesse comune, che abbiamo ritenuto opportuno condividere con tutti voi.