Chiunque può insultarci. Nessuno ha il potere di offenderci! Insulto ed offesa differiscono profondamente.
Amiche ed Amici carissimi, nel linguaggio comune, i termini “insulto” ed “offesa” sono molto spesso considerati sinonimi. In realtà la differenza è fondamentale: l’insulto assume un’accezione generica, espressa con un più o meno volgare epiteto, mentre l’offesa va a colpire nell’intimo la persona.
Se, ad esempio, apostrofo colui che mi ha tagliato la strada con una cosiddetta parolaccia lo insulto, ma se lo schernisco enfatizzando un suo difetto fisico o faccio riferimento ad un aspetto doloroso della sua vita lo offendo.
Perché asserisco che chiunque può insultarci? Lapalissiano: non possiamo privare alcuno della parola concessagli quale dono naturale democratico!
Ma questo non vale anche per l’offesa? Verbalmente sì. Ma, ribadisco, solo verbalmente. Qui entra in gioco la soggettività. L’offesa può – o meno – raggiungere l’obiettivo altrui di procurarci dolore: la sensazione dipende dalla nostra percezione, dall’importanza conferita alla persona, dal valore attribuito all’espressione rivoltaci. Va da sé che, anche chi s’ingegna nella ricerca dell’accezione più mortificante, può ottenere un risultato davvero deludente. Come sosteneva lo Psicologo canadese Eric Berne – autore dell’analisi transazionale – le percezioni dipendono dalle nostre credenze, ovvero dal nostro vissuto, che Egli definisce il “copione della vita”.
Se amiamo e stimiamo noi stessi, accettando anche le inevitabili debolezze e mancanze come parte del nostro “patrimonio personale”, siamo inscalfibili.
Ricordiamoci che poiché solo noi deteniamo la padronanza dei nostri pensieri, spetta dunque solo a noi conferire il potere di ferirci a chicchessia.
Un metodo che offre validi risultati al fine “autoprotettivo”, consiste nell’oggettivizzare la sgradevole affermazione rivoltaci e contestualizzarla. Tuttavia, raramente (mai!!) scusarla.
Non credo al consumato concetto riassumibile in “l’ha detto in un momento di rabbia, non lo pensa veramente”: no, sono convinta che nel classico “momento di rabbia”, si afferma quello che si pensa, ma in tono ributtante. Persino per gli stolti resta valida l’ovvietà di dire ciò che si pensa. Se non si pensa nei confronti di una persona qualsiasi bassezza le imputiamo, non ci sovviene alla mente e, dunque, tanto meno alle labbra.
Infine, per quanto l’incresciosa asserzione possa amaramente aderire alla realtà, se decidiamo che il “mittente” non detiene alcun potere su di noi e, soprattutto, se l’ingiuria rivoltaci fa parte del nostro “bagaglio accettato”, potrà infastidirci, ma mai offenderci.
Un abbraccio
Daniela Cavallini