“Mi assumo la responsabilità”: una promessa costruttiva o uno dei tanti slogan? | di Daniela Cavallini

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Amiche ed Amici carissimi, un’espressione molto diffusa, ma svilita nel significato: “mi assumo la responsabilità”.

Alcuni esempi del citato svilimento riguardano il mondo del lavoro, laddove, magari nell’ambito delle riunioni, un collaboratore o un manager, a sostegno della propria idea, offre in garanzia “l’assumersi la responsabilità” in caso di errore. Lo stesso dicasi per coloro che segnalano una persona fidata per lo svolgimento di qualsivoglia attività, colf comprese “ah è una persona fidatissima, mi assumo io la responsabilità”. Anche a livello sentimentale, l’ormai nota espressione “tu non c’entri nulla, ti lascio perché il problema sono io e me ne assumo la responsabilità”… se non fosse causa di dolore… farebbe sorridere con sufficienza.

Dichiarare l’assunzione di responsabilità significa accettare – non subire – la legge causa/effetto, ma non risparmiare le conseguenze altrui.

In senso aulico, assumersi la responsabilità delle proprie scelte ed azioni significa consapevolizzare sé stessi del potere di controllare la propria vita. In altre parole, affrontare ogni evento, consapevoli di averlo consciamente o inconsciamente attratto, senza colpevolizzare gli altri, per i nostri stati fisici, emotivi, ecc.

Nel momento in cui affermiamo di “stare male” a causa di Tizio che ci ha detto o fatto, stiamo cedendo a costui il nostro potere e, dunque, disconoscendo la nostra responsabilità oltre al controllo sui nostri pensieri.

Ma, torniamo agli esempi pratici sopracitati.

Come può, dunque, un manager asserire di assumersi la responsabilità circa le conseguenze in caso di errata strategia aziendale, che potrebbe porre a repentaglio posti di lavoro? Mi pare ovvio che, quale massima conseguenza, egli dovrà accettare il suo licenziamento, ma quale responsabilità può assumersi per quello altrui? Provvederà forse egli stesso al mantenimento delle sventurate famiglie?

Certo, riconducendomi al criterio di attrazione potrei asserire che gli eventuali “licenziati” si sono attratti un capo simile, ma a livello pratico mi sembra un’affermazione azzardata.

Ho chiesto ad un conoscente la segnalazione di una colf referenziata e, questi, mi ha risposto “ne conosco una, fidatissima, mi assumo personalmente la responsabilità”. Significa che se la colf rubasse in casa mia, lui mi risarcirebbe? Improbabile!

Il/la partner che afferma “ti lascio, ma tu non c’entri, mi assumo la responsabilità”, significa che affronterà e lenirà  le conseguenze del dolore del partner? Più probabile che si congedi e segua la sua strada, com’è ovvio che sia.

Con queste mie considerazioni spero di indurre ad una maggiore riflessione sia coloro che “dell’assumersi la responsabilità” ne hanno costituito un abusato slogan perlopiù esplicitante la sua astrattezza – che ambisce a  “profumare di buono” – sia gli interlocutori che, quantomeno con fine cautelativo, verifichino la consistenza della decantata manifestazione.

Un abbraccio!

 Daniela Cavallini