Una volta nonna Rosa sbrogliò la sua lingua in una piacevole quanto confidenziale conversazione. Mi cuntò la fuitina con nonno Carmelo esprimendosi con dovizia di particolari. Fino ad allora muta fu soltanto per pudore.
Ella conobbe il nonno all’età di quattordici anni, troppo picciridda. Lui venti anni. Palese differenza fra i due al punto da procurare loro molte contrarietà da parte delle rispettive famiglie.
I picciotti Rosa e Carmelo non godendo dell’approvazione dei genitori s’incontravano ogni tanto ammucciuni. In paese già qualcuno li aveva adocchiato: nenti fari ca nenti si sapi, ovvero qualunque cosa tu faccia si saprà, esclamò nonna sorridendomi maliziosamente.
Erano molto innamorati e fucusi comu vurcanu di l’Etna. Famelici di abbandonarsi liberamente a questa vampa di passiuni che ardeva inesorabile nei loro corpi. Ragion per cui misero in atto la fuitina.
Nonna Rosa aveva detto alla madre, nonna Brizzida (Brigida),che si sarebbe allontanata da casa per qualche ora con una futile scusa. Calò la sera e la picciridda non era rincasata allorché Brigida, forse per quel tipico intuito materno,cominciò ad esagitarsi.Affacciò nel baglio adiacente la palazzina dove abitava e comu ‘na foddi si misi a vanniari: “chi vriogna,Rosa mia sinni fuiu cu Carmelu!Sunnu ‘ngusciata,haju lu cori scricchiatu e l’arma sfardata di duluri. Lu sangu amaru comu lu feli m’addivintò.Ominicchio e quaquaraqua iè iddu. Sapi Diu ‘nzoccu cci dissi a Rosa mia.Sdisangatu,sdisonoratu”.
Nonna Brizzida urlava imperterrita a squarciagola maledicendo ‘u picciottu, a detta sua unico artefice della fuga. Le sue grida richiamarono la curiosità della gente al punto che nel giro di pochi attimi tutto il quartiere seppe.
Le comari del vicinato colsero l’occasione pi fari curtigghiu avvicinandosi a lei nel tentativo di sedarne l’ animo profondamente turbato. Invano. Più passava il tempo più Brizzida di raggia s’addumava:” Carmelu a Rosa mia cunsumò,a ‘nnucenza cci livò. Ominicchio e senza russuri.Fitusu.Chi vriogna.Signuruzzu miu,Patruzzu di tuttu lu munnu,facitili turnari”.
Successe il viva Maria e a schifiu finiu, per dirla tutta!
Brizzida avrebbe voluto che Rosa sua si fosse maritata illibata sì da festeggiare questo giorno in pompa magna.
Ascoltavo con attenzione nonna Rosa percependo quanto questo ricordo fosse ancora nitido nella sua memoria. Nonostante i lunghi anni trascorsi coglievo tanta amarezza nelle sue parole per il dispiacere che aveva procurato ai genitori.
I due giovani nascosti in un vecchio casolare abbandonato nelle campagne adiacenti Terra d’Acanto dopo alcuni giorni fecero ritorno. A dire il vero un amico loro, al corrente della fuitina, avvisò i picciotti d’arricugghirisi rintra. ’U dannu ormai era stato compiuto e nonna rimase incinta!
Ben presto tutti si quietarono con un veloce matrimonio riparatore nella chiesa Madre del paese, officiato da don Tonino, sì da mettere a tacere le malelingue e ridare onore alle famiglie.
Nonna Rosa tenne a precisarmi che questo matrimonio non fu soltanto riparatore ma d’amore. Un grande amore da cui ebbe inizio la sua vita coniugale insieme al nonno.La mia storia, le mie radici.
Rossana Lo Giudice