LA PREVENZIONE DEL SUICIDIO ATTRAVERSO UNO STUDIO DEI SUOI FATTORI DI RISCHIO: DOVERE DI UN PAESE COSIDDETTO “CIVILE”. UNA REVISIONE AGGIORNATA DELLA LETTERATURA SCIENTIFICA.

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Cari amici, sappiamo che prevenire è meglio che curare. Questo vale anche per quel sottile male di vivere, tanto impercettibile quanto assai pericoloso, che porta le persone a decidere di porre fine alla loro vita.

Ogni anno, circa 800.000 persone muoiono di suicidio. Detto in altre parole, ogni 40 secondi qualcuno decide di uccidersi. Il tasso annuale globale viene stimato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità essere sui 10.7 per 100.000 individui, con variazioni per età, gruppo sociale e paesi (1).

Il problema è stato ritenuto significativo anche dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali che, nella sua quinta versione (DSM 5), inserisce il “suicidio” accanto al “disturbo comportamentale suicidario” e al “disturbo comportamentale non suicidiario (NSSI” (2)

Una revisione della letteratura scientifica, eseguita dal prof. Bachmann nel 2018 (3),  ha fatto il punto della situazione, per cercare di capire se e come sia possibile mettere in atto delle politiche efficaci di prevenzione di quella che pare essere una “epidemia silenziosa”, di cui non si parla a sufficienza.

Diventa, invece, importante parlarne anche in termini di epidemiologia e statistica, oltre che di demografia e psicologia sociale, in quanto molti suicidi sono causati da comportamenti criminali di persone che, se la morte fosse adeguatamente indagata, almeno in Italia, potrebbero rispondere del reato di istigazione al suicidio.

Stiamo parlando di comportamenti costantemente mirati a denigrare una persona, attraverso una pervicace e perversa manipolazione di alcuni fatti, al fine non solo di nascondere la globale personalità della vittima, ma di far emergere un artefattato quadro negativo della stessa che, alla lunga, arriva ad essere così minata dagli attacchi da ritenere la morte un “atto di forza necessario” per dimostrare il possesso di quella dignità che veniva costantemente messa in discussione da soggetti agenti in branco.

Il fenomeno dei social, oggi, ha acuito questo problema, motivo per cui non è male che un ricercatore come Bachmann abbia messo mano alla letteratura scientifica per fare il punto della situazione.

Ci permettiamo di farne una succinta traduzione riassuntiva, ritenendo utile fermarci a riflettere sul problema.

Partiamo dalla Epidemiologia.

Distribuzione nel mondo.

Il primo concetto da scolpire in testa è che il suicidio è un fenomeno mondiale. Come tale, è stato oggetto di attenzione dal parte della WHO sin dal 1950, a soli due anni dalla sua fondazione (4)

I dati ad oggi certi sono che, globalmente, i suicidi sono la seconda causa di morte prematura in soggetti tra i 15 e i 29 anni (preceduti solo dagli incidenti stradali) e la terza nel gruppo tra i 15 e i 44 anni (5).

Un dato statistico, emerso nel 2015, rileva che nella vasta maggioranza, ovvero nel 78%, i suicidi avvengono nei paesi a basso-medio reddito (LMIC) (WHO 2015).

Il tasso globale, come indicato nella figura 1, ammonta a 1.4%, variando dallo 0.5% delle regioni africane all’1.9% delle regioni del Sud Est Asiatico (6)

Figura 1

 

Età.

Negli adolescenti e nei giovani adulti tra I 15 e I 29 anni di età, la morte per suicidicio raggiunge il suo picco. Negli studi non viene ancora considerata l’età fino ai 10 anni, ma nel gruppo tra i 10 e i 14 anni è la terza causa di morte, diventando la seconda, da questa età in poi, fino ai 34 anni. Presi complessivamente, in numeri assoluti, i suicidi sono molto più frequenti tra i giovani che tra gli anziani, ma gli stessi numeri, posti in relazione a gruppi di età (ovvero il rapporto numero di suicidi in quel gruppo di età/numero di popolazione complessiva in quel gruppo di età), indicano che i suicidi sono fino a 8 volte più alti negli anziani (5) In effetti, secondo i dati WHO, bambini e adolescenti fino a 15 anni mostrano il più basso tasso globale di suicidi, che costantemente aumenta da quel momento in poi fino all’età di 70 e più anni (WHO 2014).

Genere.

Il tasso globale di suicidi di 10.7 per 100.000 persone, comprende un rapporto maschi/femmine di 1.7. Perciò, gli uomini si suicidano quasi il doppio rispetto alle donne (7). Confrontando questa media con quella di 183 paesi, nel 2015, questo rapporto varia da 0.8 del Bangladesh e della Cina al 12.2 di St. Vincent e Grenadines. (figura 2)

Figura 2

Questo è un dato da considerare, alla luce di quanto abbiamo detto sul reato di istigazione al suicidio, in quanto molte volte, il suicidio maschile è legato a momenti difficili come i fallimenti matrimoniali/relazionali. E’, quindi, un dato che andrebbe messo in relazione  al reato di femminicidio, per lo meno dal punto di vista statistico. Non a caso, si parla di “maschicidio silenzioso” (è uscito un libro, così intitolato, scritto, non a caso, da una donna intellettualmente onesta) perché, una volta trovato morto, l’uomo viene dimenticato e di lui si parla solo in termini statistici. Una corretta analisi del femminicidio, invece, dovrebbe passare dal tasso di suicidi (doppio per l’uomo).

Variabili socio-economiche

Alcune variabili influenzano fortemente il tasso di suicidi, essendo dei forti fattori di rischio (8).

Diversi gruppi di variabili sono stati identificati:

  1. Parametri demografici: età, genere, etnia, e parametri ad essi correlati
  2. Status sociale: basso reddito, diseguaglianza sociale, disoccupazione, bassa educazione, e bassa rete di supporto sociale
  3. Cambiamenti sociali: urbanizzazione o variazioni improvvise di reddito
  4. Problemi di vicinato: alloggio inadeguato, affollamento, violenza
  5. Incidenze ambientali: cambiamenti climatici, catastrofi naturali, guerre, conflitti, migrazioni

Gruppi speciali

Certi gruppi meritano una menzione particolare perchè sono ad altissimo rischio di suicidio: polizia, vigili del fuoco e altri lavori in prima linea (9) come quelli dell’esercito (10.11), persone in carcere o in ospedali di alta sicurezza (12), minori (13), senzatetto (14), rifugiati e richiedenti asilo (15,16). Risultati divergenti, invece, emergono per i tassi di suicidio tra i migranti, per alcuni studi in aumento (17.18), per altri stabile (19), o in diminuzione (20).

Sucidio e malattia mentale

Le malattie psichiatriche pesano per una grande maggioranza dei suicide e dei tentative di suicidio, in quanto i numeri sono almeno 10 volte maggiori rispetto alla popolazione generale. La percentuale riportata di suicidi in questo contesto varia tra il 60% e il 98% di tutti i suicidi (5, 21,22,23,24). La restante parte, per la maggioranza, è dovuta a problemi finanziari, di relazione e crisi corrispondente. Comunque, altre cause sono la discriminazione (25), la violenza (26,27,28), la paura e il terrore, la guerra (29,30,31).

 

PREVENZIONE.

Questa la parte che a noi interessa maggiormente.

I Paesi e le Comunità possono influenzare in positivo il calo dei tassi di suicidio, con misure di prevenzione primaria e secondaria. In paesi come Germania, Giappone, Korea, il caso è stato ottenuto con misure di prevenzione indirizzate a gruppi a rischio (32) tra gli anni 1990 e 2010 (33,34): Dal 2000, strategie di prevenzione nazionale sono state messe in atto in 28 paesi. Queste includono prevenzione primaria e secondaria in Europa (13 programmi), nelle Americhe (8 programmi), nell’Est Pacifico (5 programmi), nel Sud Est Asiatico (2 programmi). Nessun programma è in atto in Africa e nell’Est del Mediterraneo (4).

Prevenzione Primaria.

E’ la più importante perché mira ad evitare il primo tentativo di suicidio, individuando in tempo le persone a rischio. In questa forma di prevenzione, la sorveglianza è la base primaria. Ricordiamo, in tal senso, uno studio molto importante: ““European Multicentre Study on Suicidal Behaviour and Suicide Prevention” (MONSUE) (35). Lo studio suggerisce l’importanza di un Ente preposto alla sorveglianza sanitaria con studi epidemiologici aggiornati, di fasce di popolazione a rischio, individuate a priori, in modo da poter intervenire quando un disagio si renda manifesto in un soggetto.

 

Prevenzione Secondaria.

E’ quella forma di prevenzione che deve essere attuata in soggetti che hanno già tentato il suicidio e sono stati salvati. Per loro vi sono meno problemi di individuazione dei disagi, in quanto dovrebbero diventare oggetto di sorveglianza a partire dalla dimissione ospedaliera.

Un gran numero di tentati suicidi (22-88%) cercano aiuto subito dopo il tentativo, recandosi ad un ospedale o venendo portati in ospedale da chi li ha salvati (36). E’ in questo setting che la maggioranza dei tentati suicidi può essere salvata da successivi, fatali, tentativi. Ogni operatore della salute, sia fisica che mentale, dovrebbe essere allenato a lavorare su questi soggetti, per lo meno per quanto concerne la capacità di individuarne i gravi segni suggestivi di una possibile recidiva, così da poterli indirizzare nel contesto di cura adeguato (35,37).

 

Speriamo di aver dato un contributo per aiutare a capire meglio la serietà del problema e l’importanza di un investimento, da parte del Sistema Sanitario Nazionale, sulle misure di prevenzione che il mondo scientifico suggerisce.

 

Bibliografia

1.WHO Mental Health. Prevention of Suicidal Behaviours: A Task for All. Available online: http://www.who.int/mental_health/prevention/suicide/background (accessed on 15 October 2017).

2.American Psychiatric Association. DSM-5, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th ed.; American Psychiatric Publishing: Arlington, VA, USA, 2013.

  1. Bachmann. Epidemiology of Suicide and the Psychiatric Perspective. Int. J. Environ. Res. Public Health, 2018; 15(7): 1425
  2. WHO. Preventing Suicide: A Global Imperative; WHO, Ed.; World Health Organization: Geneva, Switzerland, 2014; pp. 7, 20, 40.
  3. Bertolote, J.M.; Fleischmann, A. A global perspective in the epidemiology of suicide. Suicidology 2002, 7, 6–8.
  4. Värnik, P. Suicide in the world. Int. J. Environ. Res. Public Health 2012, 9, 760–771.
  5. WHO Figure: Age-Standardized Suicide Rates: Male: Female Ratio (Per 100,000)Available online: http://www.who.int/gho/mental_health/suicide_rates_male_female/en/ (accessed on 10 October 2017).
  6. Patel, V.; Chisholm, D.; Parikh, R.; Charlson, F.J.; Degenhardt, L.; Dua, T.; Ferrari, A.J.; Hyman, S.; Laxminarayan, R.; Levin, C.; et al. Global Priorities for Addressing the Burden of Mental, Neurological, and Substance Use Disorders. In Mental, Neurological, and Substance Use Disorders: Disease Control Priorities, Third Edition; Patel, V., Chisholm, D., Dua, T., Laxminarayan, R., Medina-Mora, M.E., Eds.; The International Bank for Reconstruction and Development/The World Bank: Washington, DC, USA, 2016; Volume 4.

9 Milner, A.; Witt, K.; Maheen, H.; LaMontagne, A.D. Suicide among emergency and protective service workers: A retrospective mortality study in Australia, 2001 to 2012. Work 2017, 57, 281–287.

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31 Oron Ostre, I. Wars and suicides in Israel, 1948–2006. Int. J. Environ. Res. Public Health 2012, 9, 1927–1938.

32 Hegerl, U.; Mergl, R.; Havers, I.; Schmidtke, A.; Lehfeld, H.; Niklewski, G.; Althaus, D. Sustainable effects on suicidality were found for the Nuremberg alliance against depression. Eur. Arch. Psychiatry Clin. Neurosci. 2010, 260, 401–406.

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36 Bertolote, J.M.; Fleischmann, A.; De Leo, D.; Bolhari, J.; Botega, N.; De Silva, D.; Tran Thi Thanh, H.; Phillips, M.; Schlebusch, L.; Varnik, A.; et al. Suicide attempts, plans, and ideation in culturally diverse sites: The WHO SUPRE-MISS community survey. Psychol. Med. 2005, 35, 1457–1465.

37 WHO. Practice Manual for Establishing and Maintaining Surveillance Systems for Suicide Attempts and Self-Harm; World Health Organization: Geneva, Switzerland, 2016.