“Sopravvivere alla fine di un amore” | di Daniela Cavallini

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Tratto da “Un’altra carne” di Diego De Silva:

“Le separazioni vivono di lontananza.

Sono vecchiaie che vanno accompagnate per mano,gli si resta vicino ed e’ tutto quello che si può fare,un sorso d’acqua,una carezza ogni tanto.

Rendergli meno infelice la morte, aspettare che venga il momento in cui, il rumore degli estranei che ti passano accanto, diventi un suono tollerabile ed il ricordo dei giorni insieme soffochi sotto il peso del tempo.

Perché è quello che bisogna fare ingrossare e far diventare massa.

Lasciare che si dilati e chiuda quante più vie e’ possibile, in modo che il profilo che hai amato, s’intacchi almeno un poco e si confonda con quello di chiunque altro, diventando un profilo qualsiasi composto dagli stessi pezzi reperibili su mille altri corpi e non più l’irripetibile, riservata bellezza che e’ sempre stata per te.

 E l’odore suo e suo soltanto, che t’impastava la mente e appannava la vista appena lo sentivi nell’abbraccio, una mattina si ritrovi in un’essenza contenuta nel più insignificante degli oggetti, magari in una saponetta o in una stoffa , e somigliando a quella si declassi a odore come tanti e smetta finalmente di farti male.

E così tutto il resto, le mani,gli occhi, le unghie , il sesso, il rumore dei corpi insieme, i risvegli, le parole dette e negate, le coincidenze raccontate 1000 volte, ogni più prezioso dettaglio si disperda nella moltitudine indifferenziata delle cose simili, fino a morire senza proteste, facendoti dire che forse e’ stato meglio così e comportarti come se ci credessi.

 Non cercarmi, aiutami nell’unica maniera che sappiamo tutti e due.

Resta dove potrei trovarti se volessi e fida che non lo farò perché è  questo che tu vuoi.

Non commettiamo altri errori.

Ognuno nella sua solitudine cancelli ogni traccia di quello che e’ stato.

Facciamo in disparte il lavoro sporco del tempo, il peggio che avremmo mai immaginato per noi  (ma ci pensi,io cancellarti, fare finta d’ignorare che ci sono posti del mondo neanche lontani che ti comprendono, dove tu esisti e agisci; perpetrare questo delitto ai tuoi danni e ai miei, lavorare per una morte, reputare giusto un compito del genere e dedicargli la mia coerenza.

Smetti di domandarti che cosa ci ha rovinato e perché, lo sai come si comporta il dolore, non puoi parlarci, non sente ragioni e non le riconosce, ne fa carta straccia e dopo ti morde solo con più voglia.

Allora lascialo fare.

Aspetta che si stanchi.

Aspetta.”

Amiche ed Amici carissimi, per ringraziarvi del gradimento riservato al mio precedente articolo “Quando finisce un amore”(https://mobmagazine.it/blog/2020/06/07/quando-finisce-un-amore-di-daniela-cavallini/) – nel quale ho riportato varie versioni “dell’ultima scena”-, ho scelto questo pezzo di Diego De Silva perché meglio introduce, enfatizzandone lo strazio,  l’argomento di oggi: sopravvivere dopo la fine di un amore.

Ognuno, si sa, pone in essere le proprie difese, tendenzialmente riconducibili a due atteggiamenti mentali  contrapposti: alcuni esprimono un pensiero assolutista, di totale chiusura, individuando in essa la loro difesa, affermando che solo non amando mai più, potranno evitare l’immenso dolore vissuto ed altri che pur avendo sofferto, si augurano di poter rivivere un nuovo amore. A queste due tipologie comportamentali preponderanti, se ne aggiunge una terza, ovvero persone che, immediatamente dopo la fine della storia, ricercano spasmodicamente  in uno o più partner occasionali, una sorta di  anestetico.

Di fatto, credo che tra chi rifiuta l’idea di un nuovo amore e chi ricerca forsennatamente un partner sostitutivo, ricorra molta più analogia di quanto possa apparire: entrambi si difendono dal dolore narcotizzando il cuore. E’ solo il tipo di “narcotico” ad essere diverso: i primi pietrificano il cuore, sfuggendo rinunciatari di fronte alla sola ipotesi di  un nuovo amore  ed i secondi, nel vano intento  di reprimere  il dolore, comprendono con disperazione di non essere in grado di amare, ovvero di avere il cuore pietrificato. Va detto che quest’ultima categoria, agisce anche a danno di altre, ignare, persone.

Credo che il dolore vada affrontato seguendo i propri tempi, senza alcuna forzatura in nome del “bisogna reagire”. Dobbiamo metabolizzare e guarire la nostra ferita, scevri dai condizionamenti altrui.

Precorrere la ripresa equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto.

Contrariamente a quanto si tende fare, il dolore merita di essere vissuto in silenzio o confidato solo all’amico più intimo.

Nel palesare  la sofferenza, la si acuisce: ricordiamo che per legge di risonanza, tutto ciò su cui ci concentriamo, in termini di stato d’animo, pensiero, emozione e parole, attiriamo.

L’atteggiamento più costruttivo e, francamente auspicabile, è riscontrabile in chi non ricerca e non esclude un nuovo amore, rimanendo in una condizione attendista e di “apertura”, orientata ad accogliere quanto la vita riserverà.

Un abbraccio!

Daniela Cavallini