“La donna che ama troppo”, “L’uomo che soffoca”, “L’amante”, “L’abbandono” | di Daniela Cavallini

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Una quadrilogia di Novelle siciliane dedicata alle incomprensioni di coppia: Innamoramento, amore, passione, tradimento, solitudine, rinascita!

Pagina Facebook ufficiale della raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti”:
https://www.facebook.com/MastrAntria/

Amiche ed Amici carissimi, dall’inedita raccolta di Novelle sicilianeMastr’Antria e altri racconti” di Andrea Giostra, traggo ispirazione per affrontare il complesso tema delle relazioni di coppia. Con l’autorizzazione dell’Autore, correlo alcune mie considerazioni e riporto pedissequamente alcuni paragrafi delle citate novelle.

La raccolta, scritta da Andrea Giostra – che vi ricordo essere Psicologo Clinico e Criminologo – , rappresenta la fotografia di una parte di realtà; motivo per cui il suo successo non conosce flessioni ed anche l’ambiente teatrale sta manifestando continuo e crescente interesse.

A tal proposito, spero di farvi cosa gradita nell’inserire le avvincenti letture, a cura di attori e attrici italiani, professionisti di chiara fama, i cui link delle recite e interpretazioni troverete a piè di pagina di questo articoli, nei link di YouTube.

“Martina”: una donna che ama “troppo”

Uno dei temi più dibattuti: la Donna che ama troppo, allontana l’uomo. La protagonista della storia è Martina.

Chi è Martina? Martina è una giovane donna, bella, ricca, professionista di alto profilo, che vive in una famiglia agiata ed amorevole, che ha tanti amici, ma… da sempre soffre per amore, concatenando una serie di delusioni, dovute soprattutto a due aspetti: la dipendenza affettiva e le proiezioni dei suoi desideri su uomini in realtà totalmente all’opposto.

Attraverso il tono ed i comportamenti propri della donna innamorata – Martina – l’autore pone in risalto alcuni comportamenti che presagiscono un effetto inesorabilmente demolitore di una storia d’amore, benché agiti nell’intento costruttivo di un’unione armoniosa.

Riporto, qui di seguito, alcuni punti salienti del racconto, enfatizzando il comportamento di Martina, antitetico al suo stesso obiettivo: vivere per sempre con il suo amato Mariano. Mariano è un manager, proveniente da importante famiglia siciliana, molto sensibile al fascino femminile, tuttavia incapace di amare o, meglio, non corrispondente a quel modello di amore che implica l’accettazione dell’inevitabile monotonia – propria della quotidianità – all’interno della coppia.

Ma, torniamo a Martina che, vivendo distante da Mariano, dopo solo alcuni fine settimana trascorsi a casa di lui, decide di trasferirsi stabilmente e di intraprendere quella che per lei è la magica unione “per sempre”, mentre per lui è un legame che lo porta ad allontanarsi da Martina.

Questo scrive Martina dopo un solo giorno di distanza da Mariano:

«Caro Mariano, ti scrivo dopo l’ultima volta che sono venuta a trovarti nella tua città. È passato solo un giorno, lo so. Sono una donna sentimentale, romantica, sensibile, e tu questo l’hai ben compreso. Ti amo con tutta me stessa, visceralmente e senza freni.»

Ecco che Martina, manifestandosi così precipitosa, a mio parere, commette due errori: priva Mariano dello stimolo di conquistarla – fondamentale per l’ego maschile – e contemporaneamente lo fa sentire “intrappolato”.

«Non sono più io. Sono io che mi proteggo dentro il tuo corpo, dentro la tua anima, dentro il tuo respiro, dentro la tua vita che in quegli attimi è anche la mia. Mi dà anche fragilità, è vero, preoccupante vulnerabilità.»

Tipica manifestazione di dipendenza affettiva. Martina, prosegue il suo scritto intriso di dipendenza affettiva e, come se non bastasse, investendo Mariano di un’enorme responsabilità peraltro celatamente ricattatoria –  che lo annichilisce:

«È il mio uomo, l’uomo che amo che dovrà proteggermi da questa mia vulnerabilità, da questa mia fragilità. Non mi tradire, ti prego. Non tradire il mio essermi abbandonata a te, Mariano. Mi uccideresti, sappilo.»

Ora Martina, mostra insicurezza, “ricordando” a Mariano le sue stesse parole, a voler sottolineare che egli stesso l’ha “autorizzata” alla decisione presa arbitrariamente:

«Questo mio modo di esprimere il mio amore per te ti ha colpito, ti ha fatto amare di più come mai prima, ti ha fatto vivere nuove dimensioni. Mi hai detto tutto questo, ricordi?»

Qui, non posso esimermi dal pensare che se solo Mariano osasse esprimere la pur minima perplessità, verrebbe tacciato come il peggiore dei maschi insensibili, altrimenti noto con i coloriti epiteti che tutti ben conosciamo.

Giungiamo all’ammissione – da parte di Martina – delle cosiddette “proiezioni” ed “aspettative”. Infatti, rivela:

«Ho amato uomini che mi avevano fatto vedere il cielo azzurro e mi hanno portato nelle tenebre più oscure. Ero io che proiettavo su questi uomini le mie aspettative. Ma loro non avevano nulla di quello che cercavo, mi sono innamorata dei miei desideri, delle mie aspettative, di quello che avrei voluto nel mio uomo, più che di quello che questi uomini avevano da darmi.»

Infine, Martina, non lascia scelta al suo uomo – se non quella estrema dell’abbandono –  imponendogli con violenza, una violenza mascherata da amorevolezza mista a teatrante prostrazione, la sua inderogabile decisione:

«Sei padrone assoluto dei miei sensi e della mia mente. Soffro tantissimo per la nostra forzata lontananza. Ed è per questo che ho deciso di lasciare la mia casa, il mio lavoro, la mia famiglia, per venire a stare con te. Venerdì sarò con te per sempre. Come voglio. Come ho voluto da quando mi hai amata per la prima volta. Come ti ho promesso. Come mi hai promesso. Come ci siamo promessi. Prenderemo casa insieme e vivremo fino alla fine dei nostri giorni.»

E così Mariano… si sente in trappola!

Come sopra descritto, Mariano rappresenta l’immagine del “Principe azzurro” dei giorni nostri: un affascinante manager, discendente da un’importante famiglia siciliana. In poche parole, “bello, ricco, con una brillante carriera”. Tuttavia, tenendo fede alla Legge Universale che, attraverso le forze equilibratrici, non consente a nessuno di noi l’essere scevro da un fardello avverso, Mariano, risente della sua instabilità sentimentale. Infatti, pur attratto dalla bella e ricca Martina, nel leggere la sua mail intrisa d’amore e, soprattutto di progettualità imminente per la loro convivenza, non solo non prova alcun entusiasmo, ma si sente disorientato… sotto pressione.

«Mariano Vicari finì di leggere la mail che Martina gli aveva inviato, si distese sulla poltrona presidenziale poggiando entrambi i piedi sulla scrivania di faggio, poggiò la nuca sulle palme delle sua mani intrecciate dietro la testa, chiuse gli occhi e inspirò aria profondamente.»

Probabilmente un po’ per debolezza o forse nell’intento di dare stabilità alla sua vita sentimentale, Mariano accetta (subisce?) di andare a vivere con Martina. Ma…

«Erano passati già due anni da quando Martina si era trasferita da Mariano. Erano passati due anni e Mariano non sentiva più nessun ardore per Martina. Facevano l’amore una volta a settimana. Come se fosse comandato. Come se fosse un obbligo scritto. Come se fosse un contratto da rispettare per mantenere l’impegno assunto di vivere sotto lo stesso tetto, dormire sotto le stesse lenzuola, mangiare sullo stesso tavolo. Era diventata così quella relazione.»

Partendo dal presupposto che all’agognato “per sempre” sia più realistico e sano pensare “finché siamo felici”, è evidente che la scelta di un’unione con carente convinzione, sia maggiormente destinata all’insuccesso. E la monotonia instauratasi tra Martina e Mariano ne è la prova. È possibile che se Martina non fosse stata precipitosa nel “bruciare le tappe” e avesse lasciato più spazio a Mariano, lui non avrebbe perso l’interesse nei suoi confronti; magari non avrebbero suggellato con la convivenza la loro relazione, ma forse avrebbero accresciuto il loro amore. Non tutti siamo in grado di accettare la quotidianità della vita di coppia e questo aspetto, delicato e soggettivo, non deve essere considerato una colpa immorale.

“Finché siamo felici” è la mia personale versione del più retorico “scegliersi ogni giorno”. Questo non significa inneggiare alla superficialità o alle avventure meramente sessuali. Il “per sempre” inteso come unione indissolubile o matrimonio, imprime costrizione, in netta antitesi con la libertà di vivere l’amore con gioia.

Ricordo che proprio leggendo la mail “amorevolmente prevaricante” di Martina, Mariano, fino a quel momento attratto da Martina, ha avvertito stupore, perplessità mista ad oppressione e desiderio di fuga. Lapalissiano, quanto Il fatto che Mariano abbia accondisceso all’unione, imponendosi di reprimere le sue sensazioni, sia stato deleterio.

«Avrebbe voluto un figlio Mariano. Una figlia. Ci avevano provato. Non era arrivato. Era il maggiore dei figli, e sua mamma la domenica a pranzo, quando raramente andava a trovare i sui genitori da solo senza Martina che magari era andata a Ragusa Ibla per il fine settimana, glielo ricordava: “Ma quann’è n’cam’ha fari addivintari nonna, Mariano? Sessant’anni avemu io e to’ padri! Ci pensi a chistu?”. Glielo diceva con tono imperioso, ma con il sorriso sulle labbra. Non era seria, ma non era neanche scherzosa. Glielo diceva. In modo diretto ed efficace. E Mariano si sentiva colpito subitaneo.»

Perché i genitori non evitano queste insopportabili ingerenze? E ho detto tutto.

«Cos’era che lo legava a quella donna? Sentiva che gli mancava qualcosa per completarsi, per accettarsi per quello che era, per come era stato allevato, per come era stato educato, per la sua cultura insomma, la cultura di paese dell’entroterra ennese. Forse era tutto questo che l’aveva allontanato da Martina. Forse erano quei fallimenti che gli avevano spento la passione per la sua donna. Era diventato tutto routine. Tutto quotidianità. Tutto prevedibile. Monotono. Ripetitivo. I figli forse avrebbero riacceso quel legame. I figli forse avrebbero potuto dare nuova linfa a quella relazione. O forse no?»

Personalmente non credo che i figli possano riaccendere una passione spenta, tuttalpiù consolidare l’affetto verso la mamma dei bambini, ma è molto diverso…

«O forse non aveva mai amato Martina? Era bella, è vero. Ma non è la bellezza che può fare innamorare per sempre un uomo. Non è certamente la bellezza che fa nascere l’amore, che fa scattare la passione che si trasforma in legame eterno che solo l’amore può assicurare. Non poteva essere la condizione di donna di famiglia benestante, ricca. Di figlia unica che avrebbe ereditato una fortuna. Non poteva essere solo quello, e se ne stava rendendo conto. Se ne era reso conto… Da quando per la prima volta aveva baciato Simona sulle labbra nel suo ufficio».

Mariano conosce Simona

Mariano, affascinato da Simona – bella ragazza e brillante promessa del giornalismo – completò il colloquio, di lavoro, conclusosi con un caffè al bar e la conferma di rivedersi in ufficio dal giorno successivo e per i prossimi sei mesi.

Turbato da quel nuovo, casuale incontro, Mariano si ritrovò a rimuginare sull’ormai spento, routinario, rapporto con Martina.

E da quel bacio, ebbe più volte occasione di “rendersene conto”…

«Da quando l’aveva distesa sulla sua scrivania e Simona non aveva posto alcuna resistenza. Da quando l’aveva guardata negli occhi lucidi e tremiti e le aveva detto che si era innamorato di lei. Da quando, per rassicurarla, le aveva detto che non amava più Martina. Da quando le aveva detto che avrebbe voluto sposarla e avere dei figli con lei. Da quando le aveva detto che avrebbe voluto iniziare insieme a lei una nuova vita. Da quando le aveva detto che era una donna fantastica.»

Lapalissiano quanto Mariano, legato a Martina ormai da un flebile sentimento di affetto, fosse “ad alto rischio innamoramento”.

Bando a falsi moralismi, innamorarsi “Succede. Succede e basta”. Ancor più quando il rapporto sentimentale “stabile” è fragile e, dunque,  precario.

Simona non è una “rubamariti”. Credo fermamente che, in virtù del libero arbitrio che tutti noi deteniamo, “nessuno rubi nessuno a nessuno”.

Tuttavia, Mariano, come la maggior parte degli esseri umani  – ritengo irrilevante il genere – vive nel tormento percependosi un mentitore e traditore verso Martina, verso Simona e verso se stesso, da quando…

«…Da quando nel suo ufficio, all’imbrunire di un cielo cupo di settembre, aveva tradito Martina con Simona. Da quando aveva mentito a Martina. Da quando, quel pomeriggio scuro, aveva mentito a Simona che era rimasta immobile distesa sulla quella fredda scrivania di faggio per oltre un’ora. Da quando aveva mentito a sé stesso. Da quando aveva tradito. Tradito Martina. Tradito Simona. Tradito sé stesso.»

Questa lotta interiore vissuta da Mariano, possiamo interpretarla alla stregua di un’opportunistica mancanza di volontà nel prendere una decisione fra le due donne – tenere il classico piede in due scarpe – oppure ricondurla al macerarsi nel parallelismo delle due storie, nell’intento – o meglio – nell’illusione di ovviare la fatidica decisione. Una decisione dolorosa che inevitabilmente oltre a sé stesso, farà soffrire una delle due donne. Solo un maschio grezzo e privo di sentimenti lascia la compagna “a cuor leggero”… la fine della storia non significa la perdita dell’affetto, del rispetto e di tutto quello che è stato.

Decidere la condanna altrui è molto difficile. Ma anche autoinfliggersi di abbandonare Simona, la donna che gli è accanto da mesi con amore e che soprattutto lui ama, è struggente ed ingiusto sia verso di lei che verso sé stesso.

Come spesso avviene, anche in questo caso, è una delle due donne a risolvere la limbistica situazione. È dunque Simona, determinata a porre fine alla sua posizione di amante, che con una lettera traboccante d’amore, esorta Mariano alla scelta definitiva.

La lettera di Simona è molto bella, dolce, eppur un efficace richiamo per Mariano. Lei si mostra sinceramente innamorata, ma risoluta nel non protrarre oltre un ruolo – l’amante – che non le si confà.

Riporto, qui di seguito, la lettera – in versione integrale – che Simona ha scritto a Mariano. Una lettera intrisa d’amore e determinazione. Uno scritto esemplarmente dignitoso.

«Mariano, ti scrivo perché ho bisogno di dirti tutto quello che ho dentro, quello che accumulo da settimane, da mesi, da quando mi hai detto che avresti lasciato Martina per stare con me, per vivere con me, per sposarti con me, per avere dei figli con me, per farti una famiglia con me. Questo mi hai detto guardandomi negli occhi. Ed io ho tremato. Ho sentito brividi. Ho tremato guardandoti negli occhi. I tuoi occhi mi sono sembrati veri, sinceri. Non voglio essere un’amante. Non lo sono mai stata. Non lo sarò mai. Non voglio che tu sia il mio amante. Non lo voglio. Voglio il mio uomo tutto per me. Solo per me. Non potrei mai condividerlo con un’altra donna. Non so come sia successo con te tutto questo. Non so come in questi mesi sia riuscita a tollerarlo. Forse perché fin dal primo momento mi hai detto che non amavi più Martina e che l’avresti lasciata. Forse per questo. Forse perché mi sono fidata di te. Ho aspettato Mariano, ma sono passati tre mesi oramai e non è successo nulla. Non hai fatto nulla. Ho abbandonato i miei sogni. Non andrò più a Londra. Non andrò più a New York. Mi hai chiesto questo, ed io l’ho fatto. Ma ho un dolore dentro. Un fortissimo dolore dentro. Come quel pomeriggio cupo nel tuo ufficio. Sto rinunciando ai miei sogni per te, Mariano. Questo devi saperlo. Ancora Martina non l’hai lasciata. Non sei venuto per stare con me per sempre. Io amo fare le cose per bene. Sto vivendo un momento assai disordinato della mia vita. Non mi riconosco più. Non sono più quella che sono sempre stata. Mi sento disorientata. Non ho più chiaro il mio futuro come l’avevo prima di quel pomeriggio bruno. Voglio il rispetto del mio uomo. Voglio che sia innamorato di me. Voglio essere la sua donna. La sola donna che ama. Una sola donna. La donna senza la quale non potrebbe vivere. La donna senza la quale non potrebbe neanche immaginare di passare il resto della sua vita. Voglio questo. Solo questo. Null’altro dal mio uomo. Ho solo ventitré anni Mariano. Sono giovane. Ho tutta la mia vita davanti a me. Ma ho già fatto tante esperienze di vita e non temo nulla. Sono stata all’estero da sola e ho imparato tanto. Ho avuto storie che mi hanno lasciato ferite profonde ma che si sono rimarginate, che hanno la sciato segni visibili, cicatrici che mi hanno però dato forza, sicurezza. Mi hanno permesso di conoscermi. Di sapere che sono in grado di cadere e di rialzarmi più forte e più resistente di prima. Ho imparato a capire che nulla dura per sempre se non c’è amore. È l’amore che lega indissolubilmente tutto. Non c’è altra forza più potente dell’amore. Se non c’è amore allora quella cosa è destinata a perire, ad estinguersi, a dissolversi, prima o poi, inevitabilmente. E allora ti chiedo se c’è amore in te. Amore per me. Amore come io lo provo per te. Credo che il mio sia amore. Me lo chiedo ogni giorno da tre mesi, Mariano. Solo per questo ti sto scrivendo questa lettera. Solo perché sento amore. Non è passione. Non è innamoramento come avevo sperato. Quelli sarebbero passati e mi avrebbero liberato da te. Li avrei aspettati passare come l’acqua in un torrente di collina. Lentamente. Li avrei vissuti, certo, come ho già fatto altre volte. Ma avrei saputo che sarebbero passati e sarei tornata ad essere me stessa senza un uomo. Libera. Con le mie passioni e la mia energia. Ma non è così, Mariano. Non mi libererò da questo legame perché è un legame d’amore. Il mio per te. Ma se non c’è il tuo per me, allora non è un legame. È un laccio sfilacciato che cerca di legarsi a un’ombra, ad un fantasma, ad una serie di scopate che mi hanno vista protagonista consapevole e complice. Si trasformerebbero in questo. Una serie di scopate. Soffrirei. Lo so. Sentirei dolore fisico all’addome, al ventre, alle gambe, al petto, al cuore, al sangue. Come quel pomeriggio grigio. Lo sentirei forte questo dolore, Mariano. Ma non voglio essere quel laccio sfilacciato che disperatamente cerca di legarsi ad un groviglio di scopate che adesso rischiano di diventare orrore, disgusto, vomito, ripugnanza. Non voglio che si trasformino in questo. Vorrei che rimanessero passione e candida energia viscerale tra due anime che si sono trovate e che si ameranno per sempre. La mia anima e la tua anima. La mia mente e la tua mente. La mia carne e la tua carne. Io e te. Io la tua donna. Tu il mio uomo. Per sempre. È questo quello che voglio. È questo quello che ti chiedo. Chiarezza, Mariano. Di essere chiaro con me. Di essere chiaro con te stesso. Di essere chiaro con la tua compagna con la quale vivi da due anni e che mi hai confessato di non amare più. È questo che voglio, un sì o un no. Adesso o mai più. Simona.»

Non vi è alcuna traccia di animosità in Simona verso Mariano, non un rinfaccio, non una recriminazione. È altresì constatabile ed apprezzabile l’assoluto riconoscimento delle proprie responsabilità, in luogo dell’accusa e della lamentela. Tuttavia, esprime rispetto ed amore anche verso sé stessa, verso i suoi sogni e, soprattutto, nel chiedere a lui chiarezza, chiarisce lei per prima la sua indisponibilità a ricoprire un ruolo che le è improprio, quello dell’amante.

La scelta di Mariano: Lasciare Martina!  “Non ti amo più. Devi andare via. Hai sette giorni di tempo”: La cinica sentenza!

Affrontiamo l’ultima fase del rapporto tra Martina e Mariano. Un rapporto già agonizzante da tempo che ora, dopo due anni, giunge dichiaratamente alla fine.

Mariano, sollecitato da Simona alla chiarezza di una decisione definitiva – qualunque essa sia – sceglie di abbandonare Martina.

Qual è la reazione di Mariano dopo aver letto la lettera di Simona? Alcuna: egli resta fedele a sé stesso! Vale a dire che il suo atteggiamento verso le donne, lo induce a manifestare lo stesso, identico comportamento. Infatti, esattamente come fece due anni prima, dopo aver letto la lettera di Martina («Mariano Vicari finì di leggere la mail che Martina gli aveva inviato, si distese sulla poltrona presidenziale poggiando entrambi i piedi sulla scrivania di faggio, poggiò la nuca sulle palme delle sue mani intrecciate dietro la testa, chiuse gli occhi e inspirò aria profondamente.»)legge quella di Simona e…

«Mariano Vicari finì di leggere la lettera scritta da Simona, si distese sulla poltrona presidenziale poggiando entrambi i piedi sulla scrivania di faggio, poggiò la nuca sulle palme delle sue mani intrecciate dietro la testa, chiuse gli occhi e inspirò aria profondamente.»

Nessuna differenza, nulla in lui è cambiato. E presto comprenderemo…

Mariano tra Martina e Simona, ha scelto Simona, tuttavia quella era in realtà un’ipotesi proiettiva che l’autore – Andrea Giostra – non ha confermato. Infatti, l’unica certezza è che Mariano lascia Martina, ma non che si unisce a Simona, come le aveva promesso. Questa, ribadisco è solo una delle tante supposizioni rimesse alla fantasia del lettore.

Mariano, nel lasciare Martina, dichiarandole di non amarla più e concedendole sette giorni di tempo per andarsene, esplode in una drammatica rivelazione:

«Lo vuoi capire che nessuna donna potrà mai scaldare il mio cuore? Lo vuoi capire? Non posso farci nulla! Sono un pezzo di ghiaccio. Ci sto male qualche volta, ma ci sono abituato oramai. Mi conosco. Non sento nulla. Dopo un tremito di passione che mi costringe a possedere quella donna, a sentirla mia, a progettare un futuro, una casa, una famiglia, dei figli. Null’altro. Non sento nulla se non questa prospettiva che se svanisce diventa inesorabile. Diventa la mia scelta per cercare un’altra via, un’altra vita, un’altra donna. E questa donna ormai non sei più tu, Martina. Non ti amo più. Non voglio più stare con te. Devi andare via. Hai sette giorni di tempo.»

«Era stata l’aridità di Mariano, la sua incapacità di legarsi affettivamente, emotivamente, emozionalmente…» prosegue l’autore.

Penso che comprendere ed ammettere il proprio stato di anoressico sentimentale, equivalga ad emettere la propria condanna a vita. Certo, le caratteristiche fisiche e l’agiatezza di Mariano, inducono i più a non concedergli neppure il diritto alla sofferenza.

Sette giorni di tempo, una scadenza terribile, ma… come hanno vissuto Martina e Mariano quei sette giorni?

L’autore li descrive con tratti che evidenziano la disperazione di lei in netto contrasto con il cinismo di lui:

«Martina aveva un groppo nella gola che non riusciva a mandare giù, che la strozzava, che le toglieva il respiro, che la faceva sentire sospesa ad un filo di canapa che a breve sapeva si sarebbe spezzato. Sette giorni di tempo per raccogliere la sua anima frantumata in tanti piccoli cocci di vetro sparsi in una piazza enorme bagnata da una pioggia acida, cercare di ricostruirla pezzo per pezzo, anche se calpestata da migliaia di scarpe che adesso vedeva estranee e che l’avevano lasciata esanime per terra tra lacrime di sangue e di disperazione.»

Dal canto suo, Mariano si è sottratto il più possibile da Martina:

«Sette giorni che Mariano rientrava a casa la sera tardi, si metteva sul divano, guardava un po’ di TV, e poi si addormentava lì per alzarsi la mattina all’alba e lasciare la casa come un fuggitivo. Sette giorni che Mariano non le rivolgeva la parola, solo il saluto strozzato del buon giorno quando andava via, e della buona notte quando rientrava a casa.»

Era stato molto duro Mariano con Martina, tanto che in quei sette giorni lei »aveva visto la sua crudeltà e il suo cinismo che l’avevano investita inaspettatamente senza darle scampo.»

Si critica la durezza di Mariano, tuttavia credo sia stato un comportamento coerente con l’irrevocabilità della sua scelta, ovvero chiudere la loro storia. Spesso, un comportamento più tenero e compassionevole rischia di essere frainteso con una reminescenza di amore propedeutica alla ripresa della storia stessa. Può dunque divenire fuorviante, induttivo di illusioni.

Invece, a questo punto, trascorsi i fatidici sette giorni in preda alla disperazione, Martina ha iniziato la fase convalescenziale, recuperando consapevolezza del proprio valore e, soprattutto, proiettata verso la sua nuova vita.

«Adesso a Martina era chiaro. In fondo aveva solo trentadue anni. In fondo era bellissima e desiderabile. In fondo si piaceva».

E, quanto alla storia con Mariano, pensò:

«Era stato un bel viaggio durato due anni. Adesso bisognava scendere da quel treno divenuto irrespirabile, puzzolente, ripugnante, e prenderne un altro pieno d’aria nuova, frizzante. Un nuovo viaggio. Sì, sarebbe stato un altro bellissimo viaggio. Erano sette giorni. Sette giorni per capire che era arrivato il momento di ricominciare una nuova vita.»

Un abbraccio

Daniela Cavallini

Daniela Cavallini e Andrea Giostra

I 5 capitoli della Novella “La stagista” letti da attrici e attori, in ordine di capitoli del racconto:

 

“Martina” | legge Chiara Modica Donà dalle Rose | scrittrice e narratrice | Capitolo del racconto “La stagista” tratto dalla raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti” | Per ascoltare clicca qui:

“Mariano” | Leggono Chiara Modica Donà dalle Rose e Paolo Massaria | “scrittrice e narratrice” Chiara, “attore” Paolo | Capitolo del racconto “La stagista” tratto dalla raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti” | Per ascoltare clicca qui:

“La scrivania” | legge Chiara Modica Donà dalle Rose | scrittrice e narratrice | Capitolo del racconto “La stagista” tratto dalla raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti” | Per ascoltare clicca qui:

“Simona” | legge Chiara Modica Donà dalle Rose | scrittrice e narratrice | Capitolo del racconto “La stagista” tratto dalla raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti” | Per ascoltare clicca qui:

“L’abbandono”… “Sette Giorni” | Leggono Emanuela Trovato e Giovanni Carta | Attori e Docenti di recitazione | Capitolo del racconto “La stagista” tratto dalla raccolta inedita “Mastr’Antria e altri racconti” | Per ascoltare clicca qui:

Andrea Giostra

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Interviste ad Andrea Giostra | Play List su Canale YouTube “Andrea Giostra FILM”: