“L’Autunno è una seconda primavera in cui ogni foglia è un fiore” (Albert Camus) | di Mariangela Rodilosso

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“Nessuna bellezza di primavera, nessuna bellezza estiva ha la grazia che ho visto in un volto autunnale.” (John Donne)

La malinconica bellezza dell’autunno diviene poesia nei cieli tersi, nell’aria frizzante, e nel limpido sole che riscalda delicatamente la terra. Un brivido percorre la terra brulla e nuda mentre le sere d’autunno scendono dolcemente. L’aria profuma di mosto, di sidro, di caldarroste, e di terra bagnata appena arata. Sontuosi colori ricoprono boschi, montagne e campi. Maestosi tappeti di foglie, simili a degli arazzi fiamminghi, avvolgono la natura con spettacolari colori. Il giallo ocra, il rosso carmino, il bronzo, ed il rame di questi paesaggi spargono una gioia sommessa che ogni anno desta meraviglia e stupore.

Gli ultimi echi all’estate si perdono nel mare ormai divenuto malinconico, scontroso, e nelle spiagge tristemente spopolate. La quiete e la pace di boschi ambrati e di sentieri solitari di campagna fiocamente illuminati rievoca i concerti di Richard Strauss per la maestosa e possente visione di una armonia superiore. Settembre, per molti, è il tempo dell’addio. Addio ai sapori ed ai profumi del mare, ai colori estivi, ed ai cocktails dalle atmosfere tropicali. È comunque amaro e dolce deporre i cappelli di paglia, gli accessori, e vestiti dalle tonalità accese come immaginarie fiori d’ibiscus e le fantasie esotiche dei quadri di Paul Gauguin. Adesso ci resta il conforto d’aspettare pazientemente la prossima estate che verrà a trovarci. Questa lunga attesa la renderà ancor più desiderabile. C’è poi un piacere notevole nel ritornare a vivere la nostra casa come nido e rifugio. È dolce il calore delle prime cioccolate, delle sciarpe morbidissime, dei maglioni di cashmere, delle zuppe bollenti, e delle serate trascorse ad ammirare la pioggia. Una pioggia che sembra consolare, cullare, e lenire le frustrazioni del presente. Il suo suono sembra chiamarci fuori per farci ballare come bambini euforici d’ indossare gli impermeabili e gli stivali.

Dunque, questa natura così magnanima di prodigi e di piccoli “miracoli” quotidiani ci fa dono di funghi selvatici, di castagne, e di uva prelibata. È come se gli dèi volessero ricordare agli uomini che ogni tempo ha una sua bellezza irripetibile e che sarebbe da ingrati no rendersi conto di ciò.

Inoltre, quando si ritorna alla vita di tutti i giorni, ci sono l’ entusiasmo per il nuovo anno scolastico, l’emozione del ritrovare gli amici di sempre, ed i primi freddi che ci fanno cadere tra le braccia di Morfeo con delizioso abbandono. Come nel concerto di Antonio Vivaldi dedicato a tale stagione, la magia dei riflessi dei boschi nei laghi e nei fiumi crea degli affreschi in cui creature reali e immaginarie come folletti delle fiabe che si ridestano.

Le foglie, simbolo per eccellenza di questo periodo incantatore, sembrano animate da un “genius loci.” Esse si posano in modo leggiadro sul suolo e appaiono accarezzare la terra come in preghiera.

Se osserviamo attentamente l’orizzonte, possiamo scorgere tutto lo splendore delle prime luci dei mattini autunnali, delle brume, e di paesaggi che sembrano rievocare le brughiere del romanzo inglese Cime Tempestose con la loro selvaggia, romantica, e desolata bellezza.  Siepi di more ed alberi che iniziano a spogliarsi ci narrano storie senza tempo e ci rammentano che la suprema bellezza della natura è regno dell’ evanescenza e del mutamento irreversibile. Queste immagini fanno pensare alle Nature morte del Seicento in cui fiori, frutta, e simboli della fragilità umana, con i loro colori austeri, cupi, e bruniti, divengono manifesto che tutto è “vanitas vanitatum, omnia vanitas.”

Nel fluire e nell’ eterno divenire di tutte le cose, rimane comunque l’ eleganza intramontabile dell’ autunno che si veste di toni incandescenti con l’ arancione delle zucche, i fiori autunnali, ed i vigneti che rievocano immagini di un mondo contadino sbiadito come una fotografia d’epoca.

Nell’ambito della pittura, il dipinto omonimo di Alfons Mucha afferra tutto il fascino romantico della stagione. Alfons Mucha fu un pittore emblematico dell’Art Nouveau francese. Egli diede forma e vita all’autunno nelle meravigliose sembianze di una donna che fa pensare alle chanteuses del Moulin Rouge e alle “femmes fatates” degli altri leggendari locali notturni parigini. La donna compare con i capelli inghirlandati da crisantemi, fiori iconici di questa stagione.  La sua beltà angelica è allo stesso tempo accattivante e seducente. Il viso languido rievoca i ritratti di bellezze preraffaelliane. Gli elementi stilizzati ed i motivi floreali richiamano le stampe giapponesi, molto in voga durante la Belle Époque, e l’oro sfavillante richiama i magnifici mosaici bizantini.  Le linee curve ed ondulate ispirate alle forme sinuose del mondo vegetale danno corpo ad un mondo onirico, ornato, e altamente raffinato che esprime il culto della bellezza.

Quell’oro, profusamente utilizzato nell’arte Liberty, nonostante sia stato simbolo di opulenza e di sfarzo, rimane pur sempre un segno premonitore di una imminente decadenza. Così, anche l’oro luccicante dell’autunno diviene preludio dell’inverno.  Esso sbiadirà come tutte le cose per quella legge impietosa secondo la quale l’età aurea non può durare in eterno.

La poesie “Les feuilles mortes” e “L’autumne”, incarnano in modo emblematico il fascino oscuro e struggente di questo tempo incantevole.

 

“Le foglie morte cadono a mucchi…

come i ricordi ed i rimpianti

e il vento del nord porta via tutto nella piu’ fredda notte

che dimentica.” ( Jacques Prevert)

 

“I lunghi singulti dei violini d’autunno

mi lacerano il cuore

d’un languore monotono.

E mi abbandono al triste vento

Che mi trasporta di qua e di là simile ad una foglia morta.” (Paul Verlaine)

 

In queste liriche, la natura autunnale appare come lo specchio ed il coro delle tragedie greche nell’eco dei tormenti esistenziali dell’ uomo nel riportare alla memoria gli ardori giovanili dei primi grandi amori svaniti. A proposito del vento impetuoso autunnale, penso poi  all’Ode to the West Wind composta da Percy B. Shelly. In questa sublime iconica poesia, l’animo umano, avvilito e sconvolto, vorrebbe divenire cetra degli zefiri per vibrare all’unisono con questi, per divenirne parte e per fuggire dalle angosce del reale.

Infine, l’autunno ha molteplici anime e sfaccettature che sono espresse dalla bellezza suprema di una natura sontuosa e regale, ma la tempo stesso impermanente come i suoi  rami avvizziti, scarni, e le sue foglie morte. Il suo tesoro e le sue  promesse più preziose, poi, rimangono comunque  il tempo e lo spazio che ci permettono di rimuovere e di liberarci di tutto ciò che non ci fa espandere nella nostra crescita spirituale. Questo tempo di transizione è infatti l’humus che reca in sé quei germogli interiori che sbocceranno finalmente a primavera.  L’autunno, allora, non è più solamente una stagione ma uno stato d’animo come aveva già intuito Frederic Nietzsche.

Mariangela Rodilosso