Cari Lettori,
alla luce dell’interessante analisi del caso di Antonio De Marco, pubblicata qualche giorno fa, ho voluto, a titolo di approfondimento, porre alla Dott.ssa Sionis, ulteriori quesiti di approfondimento, di cui vi faccio partecipi.
Mirko Avesani: “Dottoressa Sionis, l’articolo della scorsa settimana, in cui ha ipotizzato che il De Marco possa essere un serial killer in pectore, descrivendo puntualmente le sue probabili istanze interiori pre-omicidio, durante e dopo l’azione delittuosa, ha interessato un gran numero di lettori e, successivamente alla Sua disamina, anche gli organi di informazione hanno iniziato ad ipotizzare che il giovane potrebbe avere le caratteristiche di un assassino seriale in fieri.
Alla luce degli stralci relativi agli interrogatori resi noti ieri dai mass media, notiamo che effettivamente Lei abbia individuato i nuclei centrali di natura intrapsichica che avrebbero determinato, favorito e non ostacolato l’efferato duplice omicidio.
In particolar modo, la Sua ipotesi è in linea con quanto dichiarato dall’indagato, quando sostiene che l’azione omicidiaria sia stata preceduta da una intensa fantasia sul delitto, da Lei definita “fase aurorale”, nonché risultano confermate le sue supposizioni circa la necessità di gestire il “controllo” e il “potere”. Il termine “controllo” è stato utilizzato numerose volte dal De Marco per definire il suo stato d’animo e la sua condotta criminale.
In considerazione di ciò, quali altri elementi ritiene degni di nota investigativa in ordine all’esame del profilo criminale?”
Elisabetta Sionis: “Effettivamente, la mia analisi è derivata dalla mera osservazione delle condotte dell’assassino e dall’esame dei pochi dati resi noti sino alla scorsa settimana che, tra le altre cose, riguardavano il vademecum parzialmente smarrito. Oggi, grazie agli stralci estratti dalle 70 pagine dell’interrogatorio è possibile effettuare ulteriori ipotesi e confermare che il modus operandi del De Marco, verosimilmente, soddisfa i criteri diagnostici e prognostici del profilo criminologico dell’assassino seriale (in pectore).
L’apparente assenza di un movente è essa stessa un elemento che si incastona e descrive il complesso mosaico della sua peculiare personalità. Il movente è intrapsichico e passionale e l’acting out è stato preceduto da una florida ideazione e fantasticheria (fase aurorale): egli ha sognato ad occhi aperti per giorni il suo progetto di morte e lo ha assaporato nei minimi dettagli. Ha coltivato l’idea con minuziosa attenzione e meticolosa ricerca di tutti i particolari che non solo gli avrebbero dovuto permettere la concretizzazione del suo desiderio, ma gli avrebbero dovuto garantire l’impunità, dopo aver firmato il massacro.
L’azione delittuosa è stata dettata da una compulsione ad agire la fantasia mortale, mentre la modalità omicidiaria rivela la forte pulsione sessuale attraverso il sadico esercizio del potere come fonte di compensazione e riscatto sociale.
Quando dichiara: “a volte riuscivo a fermare i miei pensieri, sia quelli autolesionistici che quelli MAGARI rivolti agli altri, quel giorno no”, non sta facendo altro che confermare l’incessante attività fantasmagorica che ha preceduto il delitto, nonché la compulsione ad agire. La dicotomia del controllo/dis-controllo è un elemento di grande interesse crimino-dinamico e crimino-genetico. Egli, difatti, nel medesimo momento in cui non è riuscito a controllare la pulsione distruttiva (coazione), ha esercitato il proprio controllo-potere giungendo alla perversione estrema dell’omicidio per godimento (lust murder).
Non è improbabile che tracce anche importanti della sua intensa vita immaginaria, riconducibili a fantasie di dominio, sadismo e omicidio possano essere rinvenute nei suoi dispositivi, anche attraverso l’analisi dei dump (qualora dovesse aver rimosso determinati contenuti). Egli potrebbe aver dato vita a degli avatar con i quali potrebbe aver agito virtualmente torture e sperimentato tecniche di uccisione (anche attraverso la fruizione passiva di filmati o immagini) che prevedono un supplizio prolungato nel tempo, nella morbosa ricerca di alimentare e soddisfare la pressante ideazione mortale.
Il coltello da caccia identifica la percezione che ha di sé l’assassino (un cacciatore di uomini) e descrive la pulsione sessuale gravemente distruttiva che ha stimolato e guidato la crudele e sadica condotta.
Nel tentativo di definire le motivazioni che lo hanno indotto a compiere il barbaro delitto, infatti, ha ipotizzato di aver agito “ forse per mettere in atto un gesto eclatante o forse per dare dolore agli altri”. La formula dubitativa utilizzata è chiaramente uno schermo di protezione al quale ricorre per non essere soverchiato dall’inevitabile etichettamento che si auto-applicherebbe se dovesse ammettere che si tratti di due dei palesi motivi che gli hanno permesso di mettere in atto la mattanza.
Con le espressioni: “un gesto eclatante” e “dare dolore agli altri” (ossia non solo alle vittime, ma anche ai familiari, oltre che incutere terrore nella popolazione), De Marco conferma di aver agito su spinta edonistica e sadica. Il sadismo è una perversione sessuale, ergo, il movente è passionale.
Le vittime, con alta probabilità, sono mere sostitute del vero oggetto della sua rabbia e compulsione e, come ho avuto modo di spiegare nel precedente articolo, non è improbabile che De Marco abbia voluto eliminare una parte di sé che non accetta e, forse, disprezza.”
Mirko Avesani: “Dottoressa Sionis, nei giorni scorsi, in alcune testate si riportava l’ipotesi secondo la quale il movente sarebbe da ricercarsi nell’invidia e taluni escluderebbero l’eventualità che egli possa essere un omosessuale ego-distonico, come pare avesse avuto modo di osservare anche il coinquilino. L’ipotesi del movente passionale di matrice omosessuale (ego-distonica) sembra essere stata scartata da alcuni in considerazione del fatto che De Marco abbia consumato un rapporto sessuale con una escort. Concorda con questa ricostruzione?”
Elisabetta Sionis: “Escludo il movente dell’invidia per i motivi che ho diffusamente descritto nel precedente articolo ed in questo. Per quanto attiene la ricostruzione che escluderebbe l’ipotesi di una non accettazione della (probabile) omosessualità sulla base del rapporto mercenario avuto con la prostituta, ritengo che sia una considerazione del tutto scollegata da quanto riportato dalla letteratura scientifica. Senza addentrarmi in citazioni accademiche, è sufficiente osservare gli spaccati di vita quotidiana che spesso ci vengono riferiti dai mass media, per renderci conto che avere rapporti sessuali (in questo caso eterosessuali) non definisce un soggetto come eterosessuale. Diversi uomini omosessuali sono sposati, hanno figli e agiscono clandestinamente la loro intimità, forse perché prigionieri di un pregiudizio sociale dal quale non riescono a svincolarsi.”
Mirko Avesani: “Pare che De Marco abbia chiesto alla biblioteca del carcere un testo sacro per pregare. Ritiene sia indice di pentimento?”
Elisabetta Sionis: “Francamente, per quanto questa valutazione meriterebbe una osservazione de visu del soggetto, attraverso il colloquio clinico, suppongo che al momento anche eventuali verbalizzazioni di pentimento non siano espressioni di genuina resipiscenza, quanto derivino dalla necessità di ripristinare quell’aspetto di luce che fino ad oggi costituiva la facciata che tutti conoscevano. In realtà, sono giunta a questa considerazione in seguito ad alcune sue dichiarazioni rivelate dagli organi di informazione, in cui si legge che avrebbe espresso vergogna per il fatto che attualmente i suoi compagni di corso e tutte le persone che si erano fatte una positiva idea su di lui, oggi la hanno certamente mutata.
In definitiva, mi pare maggiormente preoccupato per le implicazioni penali (in previsione della condanna) e di immagine sociale, piuttosto che per quelle etico-morali superiori. Come ho già avuto modo di dire, ritengo che sia un soggetto alquanto pericoloso per la società e che sia altamente probabile che possa reiterare reati della stessa specie, ecco perché valuto di fondamentale importanza che sia sottoposto ad accertamenti psichiatrico-forensi. Bisogna, inoltre, essere lungimiranti, dato che sappiamo come “il fine pena mai” sia ormai aleatorio e valutare che se, in futuro, astrattamente dovesse poter accedere ai benefici di Legge, non possa prescidere da un attuale (e rinnovato nel tempo) accertamento della pericolosità sociale.
Per ora De Marco resta un efferato assassino con un pugnale in una mano e la Bibbia nell’altra.”
Articolo redatto con la collaborazione della Dott.ssa Elisabetta Sionis, Criminologo clinico esperto in psicologia giuridica, che ringraziamo per la collaborazione.