Anna Profumi, scrittrice e book blogger, presenta il suo ultimo romanzo, “Il Dubbio”

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«Questo è un romanzo che affronta una tematica molto frequente, l’incomunicabilità nella coppia e tutte le conseguenze ad essa connesse. Chi leggerà questo libro si sentirà in qualche modo coinvolto in una serie di problematiche, e da qui nasce il dubbio che inevitabilmente si insinua nella nostra quotidianità, scoperchiando molti altarini, molti scheletri nell’armadio»

Intervista di Andrea Giostra.

Ciao Anna, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito.

Ciao Andrea, grazie per avermi dato la possibilità di parlare un po’ di me nel corso di questa intervista.

Hai recentemente pubblicato per Monetti Editore il tuo ultimo romanzo dal titolo “Il Dubbio”. Ci racconti come nasce questo progetto editoriale?

Come tutti i miei precedenti libri, questa storia nasce sull’onda dell’ispirazione, quell’inspiegabile lucina che si accende nella mente e che ci fa dire di punto in bianco: “Proviamo a buttare giù due righe e una trama che abbia un filo ed un nesso logico. I nomi ed i ruoli dei personaggi seguono a ruota, a mano a mano che le idee prendono forma e si concretizzano”. Mi sono ispirata a una delle tante storie di cui veniamo a conoscenza anche se, naturalmente, luoghi, fatti e persone sono stati opportunamente cambiati.

Cosa puoi dirci di questo romanzo? Di cosa parla e dove è ambientato?

Il racconto è attuale, una storia dei giorni nostri, e narra di uno di quegli incontri che avvengono quotidianamente su Facebook, in chat, la realtà virtuale che ha ormai trasformato la nostra vita, dove dialoghi e confidenze avvengono in rete tra due sconosciuti. Sconosciuti che iniziano quasi per gioco a parlarsi, scambiarsi numeri di telefono, incontrarsi e trovarsi loro malgrado coinvolti in una storia d’amore assolutamente inaspettata. Come molti miei romanzi, anche questa trama è ambientata a Genova, la città dove vivo da moltissimi anni.

Qual è il messaggio che vuoi che arrivi a chi lo leggerà? Cosa troverà il lettore leggendo questo romanzo?

Questo è un romanzo che affronta una tematica molto frequente, l’incomunicabilità nella coppia e tutte le conseguenze ad essa connesse. Chi leggerà questo libro si sentirà in qualche modo coinvolto in una serie di problematiche, e da qui nasce il dubbio che inevitabilmente si insinua nella nostra quotidianità, scoperchiando molti altarini, molti scheletri nell’armadio. Anche coppie con un consolidato vissuto alle spalle, possono trovarsi improvvisamente spiazzate: vengono a mancare alcune certezze, si logora la fiducia e la stima reciproca, ci si scopre soli e vulnerabili davanti all’ignoto. Giusto il tempo di un desiderio rimasto sopito per anni che improvvisamente ci trascina nel fondo di una vita che non riconosciamo più, che non ci appartiene, che non amiamo più.

Una domanda difficile Anna: Perché i nostri lettori dovrebbero comprare il tuo libro? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria a comprarlo.

Andrea, mi riallaccio al discorso di prima. La vulnerabilità dell’individuo moderno è ormai risaputa. Troppo spesso si resta schiacciati in un meccanismo infernale, in una serie di ingranaggi dai quali è difficile riemergere. La società moderna è spietata, non esiste più il rapporto tempo/persona, tutto viaggia alla velocità della luce. In pochi minuti ci si trova davanti a realtà e situazioni del tutto impreviste ed imprevedibili e si è costretti a prendere decisioni che possono cambiare il corso della nostra esistenza. I protagonisti del mio racconto vivono le loro paure, il vuoto dei silenzi che dilatano lo spazio, rinnegano il loro vissuto, si sentono soli davanti alle proprie responsabilità, estranei perfino con sé stessi. Annaspano, come pesci attaccati all’amo, in un ultimo disperato sussulto, senza possibilità di salvezza alcuna, se non quella individuale che si fa strada attraverso un lento percorso di rinascita. Sta solo a noi saper sciogliere i dubbi che ci tormentano e prendere, con la lucidità necessaria, le decisioni che riteniamo più giuste. Ecco che improvvisamente anche i desideri più reconditi, quei sogni lungamente tenuti chiusi nel fondo di un cassetto, prendono forma e magari si realizzano! Questo in poche parole è ciò che accade a Chiara, la protagonista femminile del mio libro, che si dibatte tra il sentimento di affetto e di fedeltà per il marito e la storia parallela che inizia a vivere con l’altro, una storia che a poco alla volta assumerà contorni sempre più chiari ed incisivi.

Hai in programma degli appuntamenti pubblici dove presenterai il tuo romanzo? Se sì, li vuoi elencare ai nostri lettori perché possano venire a trovarti?

A breve sarò a Roma. Esattamente il 22 Novembre 2019 presenterò alle ore 18:00, “Il Dubbio”, presso la Casa dello Scrittore FUIS, Lungotevere dei Mellini n. 33. Mi auguro di incontrare molti amici romani che già conosco e chi vorrà semplicemente ascoltarmi. La presentazione sarà condotta dall’amico e scrittore Bruno Brundisini, moderatore nel mio gruppo culturale sul web, Il Caffé Degli Artisti.

La maggior parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colonna sonora mentre fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987). Pensi che “Il Dubbio” sia in grado di innescare nel lettore quelle sensazioni di cui parla Kubrick? E se sì, quali sono secondo te?

 La trama, a mio avviso, potrebbe essere adattata facilmente a sceneggiatura per una trasposizione cinematografica. Il testo è scorrevole, fatto principalmente di dialoghi fitti e serrati. I protagonisti sono quasi sempre in primo piano, la cinepresa potrebbe cogliere le espressioni dei loro volti a seconda delle emozioni e del dramma interiore che stanno vivendo. Immagino due attori giovani, anche alle prime armi, che sviscerano con parole e gesti appropriati i loro conflitti interiori. Genova è spesso il set di molte pellicole. La bellezza del suo mare, i suoi litorali, la parte vecchia della città si scontra con gli edifici più moderni, sedi di banche ed uffici commerciali, l’habitat dove si muovono Chiara, Piero suo marito, e infine Marco, il medico che guarisce le anime ancora prima del corpo. Intravedo la sua sagoma in camice bianco aggirarsi silenziosa lungo i corridori dell’ospedale cittadino, mentre Chiara si interroga su ciò che le sta accadendo. La protagonista conduce una vita tranquilla anche se monotona, vive in una bella casa, è sposata da anni, tutto sembra scorrere sui binari della normalità, eppure l’impalcatura crolla improvvisamente quando Piero viene licenziato dopo anni di lavoro in ufficio, e precipita in una lenta ed inesorabile depressione. Da qui in poi iniziano i veri problemi della coppia e la loro crisi coniugale. Non vado oltre per non raccontarvi tutta la trama del libro!

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Tu cosa ne pensi in proposito? Cosa deve avere una storia per “funzionare” nel lettore?

Una storia per funzionare deve essere innanzi tutto credibile, e soprattutto attuale. Viviamo in un mondo dove la tecnologia ha preso il sopravvento, e volenti o nolenti, dobbiamo adattarci a ritmi che spesso distruggono il bisogno di confrontarci, di dialogare, e di spaziare con la fantasia. Quindi chi scrive deve adattarsi a certe prerogative, facendo presa sulla curiosità del lettore. Ho sempre sostenuto che bisogna “emozionare” a qualunque livello e a qualsiasi longitudine. Non è sempre facile indubbiamente. Captare le sensazioni e trasformarle in parole, in frasi di senso compiuto e coinvolgere il pubblico con trame plausibili ed avvincenti. I voli pindarici sinceramente lasciano il tempo che trovano. Il mondo della grande editoria è spesso inavvicinabile per gli autori emergenti, categoria alla quale mi pregio di appartenere. Bisogna avere tanta passione, spirito di adattamento e di sacrificio, studiare e leggere in continuazione, senza lasciarsi condizionare dagli eventuali insuccessi. Sbagliare aiuta a migliorare e migliorarsi. Si cresce, apprezzando le critiche per farne buon uso in futuro.

Secondo te è più importante la scrittura (come è scritta) oppure la storia (cosa racconta) perché abbia maggiore effetto ed efficacia narrativa nel lettore, volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

Scrittura (testo scritto) e storia (trama) viaggiano a mio avviso di pari passo. Bisogna imparare a scrivere per saper narrare, creando un mix perfetto tra i due elementi. Molto spesso mi imbatto in trame interessanti, ma scritte malissimo dal punto di vista ortografico, o viceversa, leggo storie che non hanno un filo logico ma utilizzano un lessicale di buon livello.

Per finire un’ultima domanda. Penso che la letteratura italiana degli ultimi 50 60 anni sia davvero in grande decadenza e vesta i panni di una formidabile mediocrità. Le grandi case editrici non rischiano e pubblicano esclusivamente “omogeneizzati” che non si differenziano in niente da altre storie e da altri modi di scriverle di altri autori del nostro tempo. Su questo sono d’accordo con Bukowski che in una intervista del 1975 disse queste parole: «Quello che sto cercando di dire e che la letteratura è stata un grande imbroglio … un gioco scialbo, stupido e pretenzioso che mancava di umanesimo: Ci sono delle eccezioni… ma sentivo che comunque era un imbroglio perpetuato nei secoli. Apri un libro e ti addormentavi, pura noia studiata a tavolino: Sembrava un maledetto imbroglio. Così ho pensato: chiudiamo e ripuliamo il verso – poter stendere un verso semplice come fosse una corda di bucato, e a prenderci emozioni – humor, felicità – senza ingombri: Il verso semplice, fluente, e al tempo stesso sfruttare questo verso semplice per appenderci tutte queste cose – le risate, le tragedie, il bus che passa con il rosso. Tutto. È l’abilità di dire una cosa profonda in modo semplice: E hanno sempre fatto il contrario: Hanno detto… che cosa? Non so cosa abbia detto: È stato molto scoraggiante: Così ho provato – detto in questo modo suona molto sacro – ma ho provato a portare alla luce quello che credevo sbagliato in questo gioco. E, cazzo, ho avuto anche grandi aiuti – J. G. Salinger e tutta questa banda che siete con noi intorno al tavolo stasera. Ok! Questo è più o meno tutto» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Tu cosa ne pensi delle parole di Buk? Qual è lo stato di salute della letteratura contemporanea italiana? Ci sono secondo te autori che andrebbero valorizzati e che invece rimangono conosciuti da pochi perché le grandi case editrici non li considerano così come le grandi distribuzioni?

Fondamentalmente mi trovo in sintonia con il ragionamento del grande Buk, impossibile non dargli ragione! Sappiamo purtroppo che in Italia si scrive molto e si legge troppo poco. È un’analisi spietata quella che si registra periodicamente nel nostro paese. Siamo il fanalino di coda in Europa, sempre troppo impegnati a fare dell’altro, piuttosto che occupare il nostro tempo libero e le nostre risorse con un buon libro tra le mani. Chiaramente, in questo contesto, si evince l’enorme difficoltà degli autori nel trovare una casa editrice di prestigio, disponibile soprattutto ad investire sul capitale umano, garantendo una distribuzione capillare a livello nazionale. Senza questa, infatti, è molto difficile riuscire a vendere libri! Si ricorre sempre più spesso all’auto pubblicazione perché i costi ed i vincoli richiesti dagli editori sono assolutamente proibitivi. Gli scrittori della mia giovinezza, sono universalmente famosi, e rimangono a mio avviso un lontano retaggio. Il loro livello narrativo è praticamente irraggiungibile. Ma è cambiato il mondo, è cambiata la società e conseguentemente sono cambiati i gusti e le scelte dei lettori. Il parco degli autori che vanno per la maggiore in Italia è abbastanza ampio, anche se le mie preferenze sono per una ristretta cerchia. Che dire? E’una lotta impari. Nani contro giganti, Davide contro Golia, ma forse il novello Italo Calvino o la futura Elsa Morante sono proprio dietro l’angolo ed aspettano solo l’occasione propizia per emergere e donarci nuovamente la bellezza di pagine letterarie di grande spessore.

Anna Profumi:

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“Il Dubbio”

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Andrea Giostra

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