“Commodore 64” | di Luciana Carioti

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Era una tiepida mattina di primavera, quando ancora ciascuna delle stagioni si riconosceva per le sue effettive peculiarità. Correva l’anno 1983 e dopo la scuola, come al solito, si andava a casa della nonna per un aiutino con gli esercizi di matematica.

Mio fratello e mio cugino, un po’ più grandicelli e fra loro quasi coetanei, quel giorno mi avevano preceduta. Li trovai infatti già lì, intenti ad armeggiare con il primo computer della loro vita, il mitico “Commodore 64”. Un gioiellino niente male che era costato a mio zio una coda interminabile nell’unico negozio della città dove era riuscito finalmente a trovarlo.

Dopo averlo scartato con notevole entusiasmo, i due “fortunati” lo avevano accuratamente posizionato sul tavolo della stanza da pranzo della nonna, un contesto decisamente inconsueto per un “aggeggio di alta tecnologia”. Osservai l’alieno di colore grigio con il piccolo arcobaleno stilizzato vicino alla scritta “Commodore 64” che sembrava guardarmi altezzoso mentre sistemavo in un altro angolo del tavolo tutto l’occorrente per i miei studi con la segreta speranza di essere invitata a provarlo.

Ma è abbastanza notoria quella sorta di odiosa indifferenza nei confronti dei fratelli più piccoli, per cui non fecero assolutamente caso a me se non per dimostrarmi il fastidio creato dall’invasione del mio piccolo armamentario scolastico. Così, “gentilmente” invitata a sloggiare, trovai mio malgrado un angolo nella stanzetta di fronte, da dove continuavo ad intravederli assorti nella lettura del lungo manuale d’uso, avvolti in un insolito silenzio spezzato di tanto in tanto dal leggero rumore della tastiera.

Passarono così tutto il pomeriggio fino a notte fonda, fin quando riuscirono ad utilizzarlo con più dimestichezza. Naturalmente il giorno seguente fu il loro primo pensiero per cui subito dopo la scuola ripresero, questa volta in scioltezza e con maestria, ad adoperarlo in tutte le sue funzioni.

Era un mercoledì e nel pomeriggio subito dopo pranzo come tutti i giorni dispari, la signorina Maria, una giovane donna dall’aspetto trasognato, veniva a dare un aiuto per le faccende domestiche. Nostra nonna la considerava ormai parte della famiglia e spesso rimaneva a cena con noi, deliziandoci con la sua mitica crema di latte mentre ci riempiva la testa con qualche episodio riguardante le innumerevoli vicissitudini amorose con l’allora fidanzato Gaspare.

Maria era abbastanza carina, portava i capelli neri raccolti in una pratica coda di cavallo che svolazzava al ritmo delle sue ramazzate, aveva gli occhi nerissimi e la pelle olivastra, una brava ragazza certo, purtroppo aveva il difetto di credere nella cartomanzia per cui tutte le volte che sintonizzava i canali tv sulla solita trasmissione della tipa che leggeva i tarocchi, la nonna, da fervente cattolica qual era, la rimproverava duramente minacciando di allontanarla.

Quel mercoledì Maria aveva pianto, gli occhi gonfi ed il viso disfatto erano la dimostrazione dell’ennesima lite con il suo Gaspare e tutti e tre ci guardammo con mesta rassegnazione, consapevoli di dover rinunciare all’idea della tanto attesa crema di latte.

Dopo aver ricacciato indietro le lacrime Maria iniziò la sua giornata lavorativa. Inizialmente non fece caso al nuovo strano elemento che spiccava dall’alto della tavola da pranzo, ma dopo qualche minuto si fermò ed indicandolo con il piumino da spolvero  che reggeva come una spada esclamò: “E quello cos’è?”

“Maria non farci caso è dei ragazzi. Lo utilizzano per studiare” rispose prontamente la nonna. “Forza abbiamo tanto da fare!”. Così  dopo avergli dato un’ulteriore occhiata ravvicinata, con gli occhiali poggiati sulla punta del naso, la ragazza fece una smorfia curiosa e si allontanò continuando il suo lavoro. Ma Maria aveva anche un altro difetto, era molto curiosa. Per cui di tanto in tanto, tra una spolverata e l’altra, sentendoci osservati la scoprivamo sbirciare con attenzione ogni nostro minimo movimento.

Così dopo un repentino lampo di genio, ci guardammo tutti e tre sorridendo maliziosamente e decidemmo di mettere in atto uno stratagemma che forse ci avrebbe garantito anche stavolta la nostra merenda con la crema di latte. Ormai ferratissimi nell’uso del Commodore 64, mio cugino e mio fratello programmarono una serie di brevi domande con altrettanto brevi ed adeguate risposte da sottoporre alla povera ed ingenua Maria.

Naturalmente l’argomento principale era il suo Gaspare.

Approfittando di una distrazione della nonna e incuriosita dal nostro studiato entusiasmo nel definire piuttosto marcatamente il computer come una specie di Oracolo, Maria senza volerlo agevolò il nostro machiavellico sotterfugio perché si avvicinò e disse: “Ma questo coso risponde alle domande sul futuro?”

“Si Maria. E indovina tutto! E’ pazzesco!” rispose mio fratello con tono serio e deciso.

“Davvero?” Si voltò indietro per accertarsi di poter agire indisturbata e si sedette accanto a noi sussurrando:

“No, non ci credo. Posso fare una domanda?”

“Certo Maria. Tutte quelle che vuoi”

Si leccò le labbra e chiese: “Qual è il mio nome?”

Mio cugino digitò prontamente la domanda e immediatamente comparve la scritta: “Maria”

Era esterrefatta e con la bocca semiaperta, una luce si accese nei suoi grandi occhi neri, così sì mise ancora più comoda e continuò a fare una serie di domande ricevendone puntualmente tutte le risposte.

Fece le domande più disparate fino ad arrivare naturalmente al suo destino con Gaspare, all’eventualità da parte di quest’ultimo di un tradimento nei suoi confronti ed alla possibilità di un futuro insieme. Maria era felice. Aveva ricevuto  tutte le risposte che voleva sentirsi dire e in un certo senso anche se inizialmente mi sembrò una vera e propria carognata mi resi conto che riuscimmo a farle finire la giornata con un umore decisamente diverso, ma soprattutto che noi tre riuscimmo finalmente a gustare la deliziosa crema di latte con i pezzetti di cioccolata che Maria ci preparava solo quando era felice.

E’ proprio vero! La tecnologia fa miracoli!

Luciana Carioti