Trasgressione o autocondanna in nome di quel che non è più?

Opera simboleggiante il dolore dell’imposta(si) separazione. L’inquadratura con specchio è finalizzata all’autoriconoscimento. Esposta nel 2014 a Roma – Ambasciata Araba d’Egitto – e contestualmente pubblicata su catalogo Acca Edizioni.
“E’ un amore impossibile” – Sesto Aurelio Properzio, Assisi, circa 47 a.C. – Roma, 14 a.C.
“E’un amore impossibile”- mi dici.
“E’ un amore impossibile”- ti dico.
Ma scopri che sorridi se mi guardi,
e scopro che sorrido se ti vedo.
“Di notte”- tu confessi- “io ti penso… Ti penso giorno e notte e mi domando se stai pensando a me mentre ti penso. La società, le regole, i doveri… ma tremi quando stringo le tue mani.”
“Meglio felici o meglio allineati?”Ti chiedo. E il tuo sorriso accende il giorno, cambiando veste ad ogni mio pensiero.
“Questo amore è possibile” – ti dico.
“Questo amore è possibile”- mi dici.
Carissimi Amici, con questa trasgressione tipica del poeta Sesto Aurelio Properzio, desidero affrontare il tema della repressione del sentimento in virtù della razionalità e delle convenzioni sociali.
Nulla succede per caso e, per Legge Universale, attraiamo persone ed eventi energeticamente in sintonia con i nostri pensieri ed il nostro stato d’animo, sempre e comunque atti alla nostra evoluzione.
Un altro “Lui”, un’altra “Lei”, o vite parallele in onore di un legame pregresso, costituente (solo) un affetto importante?
Accettare dunque il nuovo Amore, scevro da etichette, aspettative e preclusioni o reprimere il prezioso sentimento, rifiutando il meraviglioso dono che la vita ci offre, in ottemperanza a ciò che non è più?
Mi sono posta queste domande guardando il mare, quasi a voler percepire le sue rispose, riflettendo sul fatto che spesso ci preoccupiamo del domani, aggrappati a quel che era ieri, privandoci di godere appieno del “qui ed ora”.
Chi si ritiene in diritto di giudicare se l’amore descritto da Sesto Aurelio Properzio è “possibile” o “impossibile”, dunque socialmente accettabile o deprecabile?
È forse giusto condannare se stessi, precludendoci di amare, per onorare – solo formalmente! – scelte pregresse?
Credo che ognuno di noi debba comportarsi in base alla propria etica personale, secondo quelle regole intime, non scritte, ma fortemente percepite. Permettere a princìpi “collettivamente imposti”, il sopravvento sulla nostra vita, significa tradire se stessi.
Un abbraccio!
Daniela Cavallini