Ho guardato con piacere il film indiano “La tigre bianca” di Ramin Bahrani dopo aver letto la recensione di Andrea Giostra, e l’ho trovato straordinario come avevo letto nelle sue righe. Ecco alcune mie riflessioni riguardo il ruolo del protagonista Balram Halwai e la sua storia.
Già da quando è bambino emerge la grande differenza fra le sue ambizioni e quelle della sua famiglia: Balram nasce e cresce con un tessuto connettivo denso e pronto a una grande trasformazione; la sua pelle è pronta a diventare il mantello di una tigre bianca, ma perché ciò accada è necessario tirar fuori le unghie.
La silente spaccatura che si evidenzia fra ciò che Balram pensa e desidera e cosa la sua famiglia si aspetta da lui avranno, durante la storia, un ruolo determinante.
Il Padrone che tiene sotto scacco il suo villaggio si reca presso la sua famiglia per ritirare il denaro che estorce regolarmente. Durante una di quelle visite Balram scopre che i debiti del padre verso il Padrone gli impediranno di poter frequentare la scuola, nonostante fosse stabilito che possedesse le doti adatte per sviluppare la sua cultura.
Quel giorno il destino di Balram devia: il suo braccio si trova ammanettato al chiosco del padre malato, dove lui cresce lavorando nel retro spaccando sassi.
Lo strozzino un giorno ritorna e con lui sono presenti entrambi i suoi due figli: uno è detestabile come il padre, l’altro, che si chiama Ashok, cresciuto negli Stati Uniti e ritornato in India per seguire le orme di famiglia, affascina con i suoi modi affabili il giovane Balram che farà di tutto per diventare il suo autista.
Una volta ottenuto il posto, nel tempo, da fedele servitore si avvicina alla psicologia contorta dei suoi padroni e nel tentativo di comprenderla si trova coinvolto nell’incidente d’auto, mortale, causato dalla moglie ubriaca di Ashok ai danni di una bambina.
Per servire i suoi padroni si offre di coprire l’accaduto, ma la famiglia di Ashok desidera la certezza del suo silenzio e lo obbliga a firmare una dichiarazione in cui lui si fa carico totalmente della responsabilità dell’incidente.
Non appena scrive il suo nome sul contratto che condannerà a morte sia la sua famiglia che quella di Ashok, la sua anima gli si rivolta contro e, quando ha ben chiaro che un’altra manetta è scattata sull’unico suo polso libero, si trova inchiodato a una croce che non vuole portare.
Credo che questo sia un punto nodale dell’intera vicenda. È da qui in poi che Balram costruisce la sua resurrezione e, poiché non nasce come un Cristo, le strade che percorrerà per risorgere sono fatte di polvere e sangue, onestà e corruzione, cinismo e fede, sincerità e menzogna, allo stesso tempo.
Balram è irreversibilmente diviso in due: è legato alla sua famiglia e al suo villaggio e ha venduto l’anima alla famiglia dei suoi padroni. Sullo sfondo le pretese in denaro da parte della nonna e la scadenza di un matrimonio combinato, ma indesiderato, che si avvicina, saturano il suo livello di sopportazione; il gioco si compie e Balram agisce per liberare la sua vita.
Paragonandola a quella dei polli in una stia che abituati alla prigione accolgono il loro destino senza ribellarsi, mi permette di ipotizzare che la trasformazione di Balram avvenga con la lucidità di un’aquila che conduce in vetta la preda e la porta nel suo nido per poi sbranarla.
Ma il titolo del film vuole mostrare quanto sia raro che un indiano di bassa casta possa rivoltarsi contro un sistema, e non tener conto della possibilità che il proprio popolo possa ribellarsi è un grave errore per la famiglia di Ashok, che muore per mano di Balram che lo colpisce alla schiena, forse per non doverlo guardare in volto mentre compie la scelta di liberarsi dal suo stato di povertà e schiavitù.
Quando Ashok è a terra morente, disarmato da quella boria che gli permetteva di decidere del futuro altrui, allora Balram lo volta e gli recide la carotide con il coccio di bottiglia che ha scelto di impugnare per farsi giustizia.
Quel taglio, per mio conto, sentenzia il momento preciso in cui Balram stacca i contatti con la nonna e il suo villaggio. Lì, in quel preciso momento, Balram è solo Balram, ed è solo.
La successiva decisione di prendere il nome dell’uomo che ha ucciso, per crearsi una nuova identità, è strategica da un lato perché ha la finalità scaramantica e simbolica di garantirgli il successo economico e l’appartenenza di casta che vuole raggiungere ma, nel ricordargli permanentemente il crimine che ha commesso, lo pone di fronte alla quotidiana scelta di decidere quale uomo essere.
Balram agisce in nome di Ashok mantenendo l’onore dell’uomo povero che fu.
Questa storia è straordinaria in molti dei suoi passaggi; non so quanto fedele il regista Ramin Baharani sia stato nei confronti del romanzo di Aravind Adiga da cui è tratta, ma ho la percezione che abbia fatto il possibile per rispettarne ogni suo particolare trasponendola cinematograficamente.
Negli occhi di Balram diventato Ashok vedo comunque l’arguzia di un’aquila e mi riservo il tempo per comprendere la sacralità che La tigre bianca, scelta per il titolo, ha per il popolo indiano.
Il film mostra che quando sono presenti tutti gli elementi per agire l’uomo agisce. Il cambiamento richiede reazione, cambio di direzione e deve essere sostenuto e catalizzato da eventi straordinari. La miscela per la rinascita è come sempre multifocale.
Trama da Coming Soon:
«La Tigre Bianca, film diretto da Ramin Bahrani, racconta la storia di Balram Halwai (Adarsh Gourav), un povero ragazzo indiano, che dal suo umile villaggio viene ingaggiato come servo di Ashok (Rajkumar Rao) e Pinky (Priyanka Chopra). I due ricchi signori sono da poco tornati dall’America e alla ricerca di un autista. È così che Balram, cresciuto con l’idea di diventare un servo perfetto, si propone a loro. Peccato che il suo padrone, Ashok, inizi col tempo a manifestare un atteggiamento sempre più arrogante nei confronti dell’autista, fino a quando una notte non lo tradisce, incolpandolo di un incidente commesso da lui stesso. È da questo momento che Balram, sul punto di perdere ogni cosa, decide di cambiare, ribellarsi alla servitù dei suoi padroni e ascendere egli stesso al ruolo di padrone con il nome “La Tigre Bianca”…»
“La tigre bianca” su Netflix
https://www.netflix.com/it/title/80202877
Scheda IMDb
https://www.imdb.com/title/tt6571548/
Trailer su YouTube
Caterina Civallero