Una nuova forma di Hater in rete: l’odiatore “vigliacco” | di Mirko Avesani

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La mia insegnante di lettere italiane e latine del triennio di liceo, donna di alto spessore etico, culturale, umano e cognitivo, donna mentalmente libera da stereotipi già in epoche in cui nemmeno si immaginava quanti e quali opportunità la rete ci avrebbe dato (oltre ai rischi annessi e connessi), e che per questo si professava laica, ammetteva, tuttavia, per la sua intrinseca e profonda onestà intellettuale, che il Cristianesimo, come filosofia, innestandosi sul diritto romano, aveva concorso a creare il nostro diritto occidentale. Questo “innesto” della filosofia cristiana sulla cultura giuridica classica, del resto, non era stato così artificiale ed artificioso, se consideriamo che il Sommo Poeta, nel riconoscere Viriglio come guida ne “La Divina Commedia”, attribuiva alla pietas latina (valore laico) un contenuto di significati che ben si poteva accostare a quello della carità, valore cristiano. Sono concetti, per così dire, complementari, che tanto hanno portato al diritto occidentale. Ne è un esempio l’idea di una triplice funzione della pena: risarcitoria, social preventiva ma, anche e soprattutto, riabilitativa. Si, perchè è proprio per questo connubio tra pietas e caritas, che il reo resta essere umano, titolare di diritti fondamentali che, prima del cittadino, appartengono alla persona.

E se questa essenza è all’apice della scala di valori, è chiaro che, anche il più efferato dei delitti, non può prevedere la legge del taglione.

Ecco allora il fiorire di discipline atte a capire, a sondare, ad approfondire la mente del reo, la sua capacità di intendere e/o di volere al momento di compiere il delitto, il rischio che, per patologia, lo possa reiterare, con necessità di misure cautelari associate alla pena, per proteggere reo e possibili future sue vittime, il nascere di strutture di accoglienza per il dopo pena, col compito di permettere un reinserimento sociale di chi, sbagliando, e avendo capito il proprio errore, chiede, come è giusto che sia, una seconda possibilità, dopo aver pagato il suo conto alla società civile.

Questi valori, molto belli e aulici, con lo sviluppo della rete, sono stati progressivamente e brutalmente messi da parte da un imbarbarimento che lascia stupefatti. Si dice che i social abbiano dato diritto di parola indistintamente a chiunque, ma bisogna ammettere che spesso sono i cosiddetti influencers ad aizzare commenti di pancia nei loro followers, per portarli a conclusioni estreme.

Ed ecco che emerge una nuova forma di odiatore, quello che io definirei l’odiatore “vigliacco”.

Si tratta, per lo più, di un soggetto da un profilo molto poco interessante, una personalità mediocre che, forse anche per questo, non essendo riuscita ad emergere nella vita, e mimetizzandosi nel sottobosco della vita comune ed insignificante che vive, cova un intrinseco rancore (magari contro chi ha avuto più fortuna di lui) che sente il bisogno di sfogare a causa di questa sua dolorosa condizione.

Solo che non lo sfoga come i consueti odiatori “naive”, in forma libera e caotica. No, lui è più furbo, lui si deve camuffare per restare, all’apparenza di chi legge, una persona sorretta da “sani principi”.

Ecco, allora, che l’odiatore vigliacco, accuratamente cerca e seleziona, magari in branco con i suoi simili, i casi di cronaca nera che hanno sconvolto l’opinione pubblica, per inserire, lì, la propria indignazione, in modo da avere un facile “paracadute” qualora i suoi eccessi dovessero sconvolgere altri lettori e portarlo ad avere qualche problema con la giustizia. E’ in questo contesto che, finalmente, egli può vomitare il suo bisogno di odiare, forte di una copertura derivante da una indignazione che, di per sè, sarebbe legittima verso il grave fatto realmente successo. Tuttavia,  anzichè restare nel limite della civile, lecita e legittima indignazione, egli sfoga un odio che va oltre l’indignazione,  mostrando preoccupanti segni di una personalità socialmente pericolosa.

Ho letto di persone che, per indignarsi verso un reato, sì grave, hanno inneggiato a reati ben più gravi, come la riapertura di forni e delle camere a gas per i rei, con beneplacito degli influencers sotto i cui post stavano commentando.

Non è indice di mentalità sana ed equilibrata, sapendo che quei mezzi ci portano alla memoria altri fatti per cui ancora oggi proviamo indignazione e ribrezzo e che ci auguriamo di non vedere più in azione. Inoltre, sono indice di profonda ignoranza, ben sapendo che, con questi inni, essi fanno una vera e propria apologia di reato.

Ho addirittura  letto di influencers che hanno fatto passare per goliardia una vera e propria apologia di reato. In quel pericoloso circolo vizioso che impedisce, alla fine, di capire chi abbia iniziato e chi abbia proseguito.

La situazione sui social è diventata preoccupante, con gruppi che vengono aperti ad hoc per (apparentemente) commentare e dissertare di cronaca giudiziaria, mentre, nei fatti, sono un punto di ritrovo per persone che hanno bisogno di denigrare, insultare, augurare le peggiori punizioni e, soprattutto, tenere viva la gogna contro altri. La prova della malafede è la loro incapacità a rettificare quando, il presunto reo, massacrato per anni, viene assolto.  Senza contare gli scontri che si creano in rete, spesso, tra fazioni che usano i fatti di cronaca come, allo stadio, i tifosi usano le squadre per darsele di santa ragione.

Come allo stadio, il tifo sano (se di tifo sano si può parlare in casi di cronaca dove, invece, si dovrebbe parlare di ricerca della verità, con rispetto verso le idee altrui e delle parti in causa, alla luce della pietas latina) viene sostituito dal bisogno di odiare.

Ma, nel caso del nostro odiatore vigliacco, questo odio, deve passare sotto le mentite spoglie di una indignazione per un caso di cronaca nera che abbia sconvolto la pubblica opinione per…salvare la faccia.

E’ una nuova tipologia di odiatore, che meriterà sicuramente degli approfondimenti in ambito neuropsichiatrico, perchè pare sempre essere più diffusa, ponendo il “vigliacco di turno” al riparo da azioni penali, nel momento in cui, giunto all’attenzione dell’autorità giudiziaria, abilmente consigliato dai suoi legali, invochi, come elemento soggettivo, una “finta” buona fede, ovvero un “fintamente spontaneo” (nei fatti calcolato) moto di indignazione verso un caso che lo avrebbe particolarmente colpito.

Ricordo di un odiatore vigliacco che, venuto a sapere della possibilità di essere querelato da un sieropositivo per commenti spregevoli (sulla piattaforma Facebook) sul suo stato di salute (aveva generalizzato sui sieropositivi, considerandoli tutti alla stregua di pervertiti che si erano cercati quella situazione), con possibilità di (GIUSTA E SACROSANTA) costituzione di parte civile da parte di ANLAIDS, nel “farsela letteralmente sotto”, addirittura telefonò ad una amica chiedendoLe se potesse aiutarla a sostenere che gli avevano rubato il telefono. Ecco, in quel caso, questo odiatore, nel farsi prendere la mano contro una persona che detestava in particolare, e nell’usare la sua malattia come arma di offesa, si era tardivamente accorto di aver denigrato una intera categoria di persone oneste, che nemmeno conosceva, e delle quali non poteva nemmeno sapere le diverse modalità di contagio. A quel punto, per paura di “perdere casa”, isolato dal branco e messo davanti alle proprie singole responsabilità, il “leone da tastiera” iniziò a piagnucolare. La morte prematura, per altre ragioni (un cancro), della persona offesa, che non aveva fatto in tempo a sporgere querela, lo salvò, e lui tornò, incurante della lezione che avrebbe dovuto ricavare da questa esperienza, a fare l’odiatore vigliacco.

Mi chiedo se queste non siano persone meritevoli di indagini cliniche, posto che, questo modus operandi, se divenuto routinario, potrebbe deragliare dalla violenza verbale a quella fisica.

Sarà un altro campo di frontiera da analizzare da parte delle neuroscienze forensi.