Nel 1624, a seguito del ritrovamento sul Monte Pellegrino delle reliquie di Santa Rosalia, Padre Giuseppe Bonfante, sacerdote miracolato dalla Santuzza, fondò in suo onore un conservatorio di fanciulle.
L’anno successivo, presso la parrocchia di S. Giovanni dei Tartari, vi fondò un pio istituto chiamato di “Vita” che fu ampliato da un’altra fondazione di monache benedettine. Attraverso una bolla papale di Urbano VIII del 1634 fu ordinato alle fanciulle, che intanto erano state indirizzate alla vita claustrale dallo stesso Bonfante, di portare una croce di tela bianca che “riproduceva la venerata reliquia della argentea ritrovata tra le ossa della Santa (attaccata alla cassa toracica), donata da P. Giordano Cascini gesuita al fondatore Bonfante”.
Due anni dopo fu costruito il cenobio utilizzando alcuni edifici che si trovavano nei pressi della chiesetta tra cui una struttura sita nel rione Trappetazzo (o Ritiro di San Pietro) e concessa al Bonfante dal cardinal Giannettino Doria.
Nel 1675 l’arcivescovo Lonzano ordinò che la Madre suor Maria della Croce Sitajolo lasciasse il monastero della Concezione del Capo per diventare badessa in Santa Rosalia.
Un rifacimento totale della chiesa fu attuato nel 1700 per volere dell’arcivescovo De Bazan che diede avvio alla realizzazione di una chiesa molto più ampia e sfarzosa cui lavori durarono un decennio.
Fu progettata dal crocifero Giacomo Amato e si affacciava su una piazzetta alberata. Era a navata unica con un coro in gelosia in ferro battuto. Presentava un altare in marmo decorato con pietre semipreziose e con fregi e statuette in bronzo dorato. La pala d’altare dell’Immacolata fu realizzata da Mariano Rossi mentre nelle due cappelle laterali erano presenti opere del Serenario (a destra “San Nicola di Bari” e a sinistra “Incoronazione di Santa Rosalia” attribuito, con molta incertezza, a Gioacchino Martorana). Nella volta era presenta un imponente affresco incorniciato da stucchi della “Gloria di San Benedetto” mentre sotto l’altare di Santa Rosalia vi era una pregevole statua della stessa giacente.
Che fine fece questa opera d’arte monumentale? Nel 1885 fu approvato dall’Amministrazione il “Piano Giarrusso” che prevedeva , oltre al ripristino della situazione igienico-sanitaria dei cosiddetti “catoi” monolocali con cortile privi di pavimentazione, anche l’apertura di una nuova arteria che collegasse la stazione centrale con il porto: il progetto consisteva nella realizzazione di quattro strade perpendicolari agli assi esistenti in modo da creare ampie zone luminose e arieggiate.
Per realizzare il taglio di via Roma fu fatta una semplice riga sulla pianta della città e tutto ciò che si trovava su quella riga fu distrutto. Tra queste “vittime eccellenti” vi fu la chiesa di Santa Rosalia che nel 1922 venne rasa al suolo.
Prima della demolizione la chiesa venne spogliata dei suoi arredi e, secondo Giacomo Cangialosi, il portale fu conservato allo Spasimo, l’altare al Regina Pacis, la statua di Santa Rosalia è attualmente esposta nella nuova chiesa a lei dedicata sita in via Marchese Ugo, il crocifisso ligneo si trova presso la chiesa di San Giovanni Apostolo al Cep mentre l’affresco della volta e la tela dell’Incoronazione di Santa Rosalia sono esposti rispettivamente all’Abatellis e al SS. Salvatore in corso Vittorio Emanuele.
Tutte le opere d’arte, tra cui due paliotti in corallo, sono attualmente conservate al Mudipa.
Giusy Pellegrino