L’espressione “ex-voto” deriva dalla locuzione latina ex voto suspecto che significa “secondo promessa fatta” o “da promessa fatta”. Solitamente viene utilizzata per indicare un oggetto dato in dono ad una divinità, o nel caso della religiosità cristiana, a Dio, alla Madonna o ai santi in particolare “protettori” per una grazia ricevuta indicata dall’anagramma P.G.R..
Sono in gran numero presenti in chiese e santuari sottoforma di riproduzioni di arti, cuori statue, gioielli o abiti oppure di quadretti dipinti con soggetto la scena del miracolo. L’utilizzo degli ex-voto era già in uso in età preistorica: l’uomo primitivo realizzava piccole immagini scolpite nella pietra per aggraziarsi le divinità che identificava nella natura. Tale pratica continuò anche in età classica: in Grecia potevano essere di due tipi, ikesia (voto propiziatorio) e karisterion (per grazia ricevuta) mentre a Roma erano ex voto propiziatori e congratulari.
Una delle prime testimonianze relativa all’uso di offrire doni votivi alla divinità ci è data da Erodoto narrando lo scampato pericolo di Arione dai Corinzi grazie ad un delfino.
Con il Cristianesimo essi vennero realizzati con vari materiali (gesso, piombo, argento, ecc.) e forme (molte di queste rappresentavano l’arto o l’organo guarito dal santo/a a cui si era fatto il voto).
Tra il Quattrocento e l’Ottocento assunsero la forma di tavolette votive in cui venivano rappresentati alla base il miracolo e nella parte alta il santo che lo ha compiuto.
L’ex-voto veniva quindi realizzato in risposta ad un “voto”, da vovere, ossia un obbligo liberamente assunto con la divinità oppure anche desiderio ardente che può essere tradotto come promessa alla divinità o come atto di religione e stabilisce una relazione tra l’umano e la divinità.
Erano di due tipologie:
– Per richiedere una grazia e solitamente sono rappresentazioni di parti del corpo o di figure umane.
– Per grazia ricevuta e in questo caso possono essere rappresentazioni iconografiche come tavolette votive o oggetti preziosi.
Tutto ciò fa parte della cosiddetta arte popolare, cui origine risalirebbe alla divisione in classi della società che “ha prodotto, sia pure non in termini di replica automatica, un’analoga articolazione della cultura” e “accanto a un’arte colta si è generata un’arte popolare”, creando serie difficoltà a chi tenta un approccio epistemologico.
Gli ex-voto quindi come “prodotto” dell’arte popolare possono essere o “primati” (dipinti o plasmati a cera o in argento) oppure “secondari” (quando hanno in origine funzione diversa e solo dopo mutati in oggetti “votivi”).
Sia gli ex-voto sia le immaginette votive venivano creati da artisti anonimi che, prima di divenire dei veri e propri professionisti del campo, compivano un tirocinio in bottega dove apprendevano tutte quelle norme utili per il successo futuro.
I rapporti tra umano e divino passano per questi oggetti fautori della diffusione del culto relativo alla potenza divina di riferimento. Questi si posero in antitesi con lo spirito della religione ortodossa venendo tacitamente tollerati dalla religione cristiana, dagli ordini religiosi e dalle confraternite che ne favorirono la produzione e la diffusione per incentivare il culto e trasmetterne un messaggio religioso.
Per questo venivano distribuite in quantità maggiore in occasione della ricorrenza del santo/a patrono/a oppure durante le cerimonie religiose a loro dedicate.
La loro diffusione fu sostenuta da Sant’Ignazio di Loyola perché da essi scaturivano potenzialità didattiche, tanto da definirli la “Bibbia dei poveri” (appese come ex voto davanti al Monastero benedettino di Monserrat le sue armi davanti alla statua della Madonna nera).
Giusy Pellegrino