“Spider-Man: Un nuovo universo” | di Giacomo Chiofalo

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Questa volta faremo un salto nell’incantevole mondo del cinema d’animazione, ormai divenuto un classico tra i generi; e sempre in tema di classici, tratteremo un personaggio amato da generazioni e generazioni di lettori dal 1962: Spider-Man, in un’avventura che di canonico ha ben poco!

Chi negli ultimi anni si è interessato di comics supereroistici, avrà certamente sentito parlare, o forse letto, di uno Spider-Man di un universo narrativo distaccato dalla tradizionale “continuity” di Peter Parker: Miles Morales, il protagonista di questo cine-comic dal carattere frizzante, innovativo, arguto, sapientemente bilanciato e realizzato, vincitore nel 2019 dell’Oscar al miglior film d’animazione!

 

Già dai primi minuti risulta lampante, anche letteralmente, se si vuole, una gradevole vicinanza al medium del fumetto, da cui pare trarne lo stile: grafiche1, baloon, vignette, onomatopee, tuttavia amplificati da un’animazione che li vivifica e li rinvigorisce di dinamicità, suono, doppiaggio e colore intensamente espressivi, con un tratto che apertamente ammicca ancora a quello fumettistico e capace, insieme alle altre componenti, di determinare uno spettacolo per gli occhi e le orecchie che si rinnova per  situazioni e personaggi dissimili: un tono più cupo e ansiogeno per la fuga da una minaccia terrificante e truculenta, con un sonoro che atterrisce e stordisce; uno più ruggente e accattivante per l’ingresso inaspettato di un personaggio, così come per una rivalsa gloriosa; uno più tragico per i momenti di crisi; poi, ancora, un bianco e nero ben decisi per uno Spider-Man senza mezze misure, che ha represso le proprie emozioni per non impazzire di fronte alle atrocità perpetrate dei nazisti; un tratto piacevolmente e innocuamente (o così potrebbe parere) cartoonesco per Spider-Pork –e no, non è quell’omonimo dei Simpson che si potrebbe tranquillamente trasformare in una porchetta–, che di fatto è letteralmente un cartone; e uno in pieno stile anime per una ragazzina, appunto, nipponica, pilota di un robot-ragno –non gargantuesco quanto Mazinga, ma il riferimento è a quella tradizione!

E’ notevole, e certamente scorrevole, la maniera con cui le trame dei vari personaggi s’intreccino: ciò che inizialmente sembra stare ai margini, gradualmente (e con una serie di indizi che difficilmente verranno notati e interpretati a una prima visione) converge al centro, lasciandosi alle spalle colpi di scena ben piazzati.
Questo non può che rendere la narrazione efficacemente coinvolgente, grazie anche a una gradevole alternanza di azione, tragedia e comicità: una scena risalta particolarmente per il suo duplice carattere spassoso e doloroso, in cui i dialoghi arguti (altro punto a favore del film) giocano su degli equivoci che hanno per argomento del semplice pane da servire a un tavolo!

Come qualsiasi adolescente, anche Miles affronta dei momenti di crisi, e cambia, divenendo un vero eroe; tuttavia è interessante come anche gli altri “Spider-Eroi” (gli Spider-Man di universi differenti che si ritrovano tutti in quello del protagonista) affrontino dei rinnovamenti: chi riacquista la speranza e il coraggio per riallacciare una relazione molto significativa, chi torna a credere nell’amicizia dopo uno sventurato trauma, chi è sulla buona strada per ritrovare le sue emozioni, concretizzando il suo “incipit emozionale” in un “cubo che deve ancora comprendere”, chi non cambia affatto, perché è un cartone animato!2 E poi ci sarebbe anche l’”antiesempio” di come si affronta una perdita, in pieno contrasto con quello del protagonista.

In definitiva, perfino i titoli di coda, come la scena post-credit ormai diventata tradizione, meritano la visione da parte dello spettatore!

 

 

 

 

1Persino i normali 60 FPS (Fotogrammi Per Secondo), con cui vengono realizzati i film d’animazione moderni, sono stati scalati a 30, con una minore fluidità dei movimenti come risultato, affinché si avesse l’impressione di stare scorrendo con l’occhio le vignette di un fumetto.

 

2L’unico Spider-Man che a presentarsi non narra di alcun lutto o altro evento tragico, o ancora che semplicemente abbia potuto trasmutare radicalmente la sua vita.

 

Giacomo Chiofalo:

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