Il film: “Diabolik” (1968) di Mario Bava | Colonna sonora di Ennio Morricone

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“Diabolik” è un film del 1968, tratto dalla serie di fumetti delle sorelle Giussani, con la regia di Mario Bava. Cast composto da Claudio Gora, Adolfo Celi, Lucia Modugno, Michel Piccoli, Renzo Palmer, Caterina Boratto. La colonna sonora è scritta da Ennio Morricone.

Per vedere il film integrale, clicca qui:

https://fb.watch/aulWVvYZIf/

“Diabolik” (1968) di Mario Bava

PRESENTAZIONE:

«Dopo il furto di dieci milioni da parte di Diabolik (che ha sottratto la cifra sotto il naso dell’ispettore Ginko ed è fuggito dalla polizia grazie all’aiuto della fidanzata Eva Kant), il ministro degli interni annuncia nuove strette per combattere il crimine. A farne le spese è il boss Valmont, che si allea con Ginko per catturare Diabolik. Valmont rapisce Eva e costringe Diabolik a pagare un riscatto, ma questi raggiunge la sua amata e uccide il nemico. Nel frattempo il governo mette una taglia su Diabolik, il quale come risposta fa esplodere i palazzi del fisco, provocando una crisi economica risolvibile solo con la fusione di un grande lingotto dalle riserve auree. Naturalmente il lingotto sarà preda di Diabolik, che così facendo, però, attirerà Ginko nel suo rifugio…»

Ennio Morricone

APPROFONDIMENTI:

Questo articolo è un estratto da “Le Regine del Terrore, le ragazze della Milano bene che inventarono Diabolik”, la nuova edizione del saggio di Davide Barzi sulle sorelle Giussani, pubblicato il 27 giugno 2019 per Nona Arte/Editoriale Cosmo.

“Le Regine del Terrore, le ragazze della Milano bene che inventarono Diabolik”

Agosto 1962. In Inghilterra, il ventiduenne John Lennon e il ventenne Paul McCartney decidono di sbarazzarsi di Pete Best, batterista del loro piccolo gruppo musicale di belle speranze. Lo sostituiscono con Richard Starkey, che dal 1959 si fa chiamare Ringo Starr. Nel giro di una manciata di settimane, i promettenti Beatles firmeranno un contratto discografico con la Parlophone e pubblicheranno il loro primo singolo a 45 giri, Love Me Do.

In Italia, Angela Giussani sta invece cercando di mettere insieme i fili di pensieri che da diverso tempo le passano per la testa. Big-Ben, nonostante tutti gli sforzi fatti sia nella confezione sia nella promozione, non si è rivelato un successo. Prova a riflettere sui punti di forza, ma anche sulle debolezze di quell’esperienza editoriale, per farne tesoro e cercare di rilanciare con una testata che vada più incontro ai gusti del pubblico. Ci pensa ogni momento. È probabile che non ne abbia coscienza, ma la fusione tra lavoro e vita comincia a farsi più forte, i due campi a volte diventano indistinguibili. È un meccanismo abbastanza usuale per gli scrittori, che in ogni momento della loro vita coltivano e affinano idee, anche (soprattutto) quando non le stanno redigendo in scritti destinati alla pubblicazione.

Lei, però, scrittrice non è. O almeno non ci ha mai pensato sul serio. Certo, ha grande stima di sé e possiede molti talenti, ma quella della narratrice non è la sua forma mentis. Fedele alle origini elvetiche da parte di madre, è una donna molto pratica, poco avvezza ai voli pindarici, agli sregolati guizzi creativi. Ed è precisa, quasi meccanica in alcuni gesti, come il riordino preciso e puntuale della propria scrivania prima di chiudere l’ufficio la sera e magari recarsi a qualche serata mondana.

Le serate mondane, tuttavia, stanno per finire. Ciò che sta per succedere travolgerà Angela, come una specie di valanga certo benefica e gratificante, ma di quelle che cambiano inesorabilmente la vita, che ne stravolgono i ritmi, che ne determinano le scelte.

Lungi dall’avere coscienza di ciò che è solo a un piccolo passo avanti a lei, sistema alcune cose in ufficio, pur se con ritmi rilassati, controlla l’avanzamento dei lavori del successivo numero di Big-Ben e poi chiude tutto, spegne la luce ed esce, pronta per l’ennesima piacevole gita, stavolta in direzione Saronno, per andare a trovare gli zii.

La partenza, come sempre, è dalla Stazione Cadorna.

Milano, negli anni Sessanta. Angela in piazza Cadorna: un luogo importante per la sua vita, privata e professionale.

La stazione, le rivendite della stazione, la vita di fronte alla stazione. È un pensiero ossessivo, che però fatica a prendere forma.

La popolarità del treno, in Italia, ha vissuto poche settimane prima un crollo verticale; il 31 maggio, infatti, a Voghera, in provincia di Pavia, uno scontro tra un convoglio merci proveniente da Milano e un treno viaggiatori diretto in Liguria ha dato vita al più terribile disastro ferroviario del dopoguerra: sessantatré morti e quaranta feriti.

La conseguenza è che si vedono ben poche persone sui treni. Forse è la paura, ma certo anche la stagione. Buona parte dei milanesi è in vacanza. Con l’inizio del mese successivo, paura o no, i treni torneranno a saturarsi di pendolari come nel resto dell’anno.

I pendolari, già. Angela vive una situazione di certo invidiabile: la sua abitazione e l’ufficio sono nello stesso palazzo, le basta salire qualche decina di gradini e si trova sul luogo di lavoro. C’è però gente che dalla provincia si riversa quotidianamente a Milano per recarsi in azienda. O viceversa. Molte persone dedicano almeno un’ora al giorno ai viaggi da e per il lavoro. Passano questo tempo in treno. Alcuni riposano, soprattutto a fine giornata. Qualcuno fa due chiacchiere con il vicino di posto. Qualcun altro probabilmente si annoia. Stratega di marketing prima ancora che questo diventi una scienza a cui le aziende si affideranno in maniera fideistica, la maggiore delle Giussani intuisce che quello dei pendolari è un target dalle grandi potenzialità. Qualcosa da leggere, il cui tempo di fruizione equivalga all’incirca al tempo del viaggio, potrebbe essere un’idea su cui investire denaro ed energie.

Un quotidiano? Idea da scartare a priori: le Giussani non dispongono della struttura editoriale adatta, e poi forse un operaio a fine giornata desidera una lettura d’evasione, più leggera. Cerca probabilmente una storia che inizi e si concluda tra la stazione di partenza e quella d’arrivo. L’ipotesi di una collana di romanzi viene quindi ugualmente esclusa: tempi di utilizzo troppo lunghi. Certo, i fumetti sembrano ancora la soluzione migliore, eppure con Big-Ben non ha funzionato. Pare che gli unici lettori davvero affezionati alla testata siano i disegnatori, che dalle tavole di John Cullen Murphy riprendono (eufemismo per “copiano”) le anatomie ben fatte.

Per il resto, pubblico scarso e tiepidino. Cosa c’è di sbagliato? Magari le dimensioni. 17×24 centimetri non è certo una misura ingombrante, eppure le collane di case editrici come la Araldo utilizzano un maneggevolissimo e pratico formato striscia, a cui se ne sta affiancando un altro, alto il triplo, solo di poco più piccolo rispetto a quello di Big-Ben. Si tratta però di albi con molte pagine. Big-Ben si ferma a quarantotto più copertina, forse troppo poco per una “lettura da viaggio”. Bisogna quindi ipotizzare un albo piccolo e pratico, nuovo, senza scimmiottare quel che già c’è sul mercato, ma magari prendendo esempio da alcune delle pubblicazioni librarie della CEA. Non la striscia, troppo piccola, non il formato giornale, troppo grande, ma qualcosa che si avvicini a un libro tascabile.

Dodici centimetri per diciassette. Centoventotto pagine più copertina. E, per offrire un prodotto a un prezzo non esageratamente alto – dati anche i costi di produzione comunque più elevati di quelli dell’acquisizione dei diritti e della traduzione – bianco e nero anziché colore. Infine, per creare comunque una sorta di “effetto colore”, l’utilizzo del retino, così efficace e convincente nelle vignette di Murphy.

Disegno originale di Brenno Fiumali per la copertina di Diabolik n° 1, Il Re del Terrore.

Definito il contenitore, è ora di ragionare sul contenuto. «Nello scompartimento di un treno Angela Giussani, almeno così si racconta, trova una copia in formato tascabile, piuttosto malconcia, di un romanzo con protagonista Fantômas». Già, si racconta. Perché le leggende talvolta nascono anche da un’esigenza di semplificazione di concetti che – se presentati nella loro lenta e graduale evoluzione – potrebbero apparire ben poco leggendari. Qualcun altro sostiene che quei romanzi li abbia portati alla moglie Sansoni, di ritorno da Parigi. Altri ancora giurano che Angela abbia saputo di un giornale francese in crisi di vendite che è riuscito a invertire il trend pubblicando in appendice storie di Fantômas.

Per Brenno Fiumali, invece, la Giussani si rende conto che è più genericamente il concetto di maschera ad avere pagato di recente, quindi spinge per riproporlo; racconta così, a proposito di Big-Ben: «Le vendite non andavano molto bene, le rese erano corpose. Con le rese di Big Ben Bolt facemmo, come d’uso, dei ricopertinati e ne distribuimmo due numeri con nuove copertine appositamente realizzate. Una rappresentava una scena western, l’altra rappresentava un incappucciato, un uomo con una maschera che lasciava intravedere solo gli occhi. Ebbene, la raccolta con la copertina dell’incappucciato – le cui storie, detto per inciso, non si differenziavano sostanzialmente dalle altre – vendette quasi il doppio. Questo fece riflettere Angela Giussani: i lettori avevano preferito il mistero. Da questo nacque Diabolik? Non posso dirlo con certezza, ma non è un caso che poco dopo sia stato lanciato il primo eroe mascherato, capostipite dei fumetti neri».

Ad ogni modo di feuilleton, o romanzo d’appendice, si parla da tempo. Se ne discute in casa Sansoni, in casa Giussani, in casa Rachelli. Ma lo si fa in maniera vaga, generica, come si ragiona di mille altre cose. È però ad Angela che va addebitata l’intuizione di desumere alcuni stilemi narrativi da personaggi di romanzi francesi e portarli nel fumetto, creando così un protagonista che rompa completamente con la tradizione degli eroi duri e puri del fumetto italiano.

Genitori e insegnanti, nei primi anni Sessanta, sono in buona parte d’accordo sullo scarso valore educativo del fumetto. Anche per questo, probabilmente, l’albo a striscia gode ancora di così tanta fortuna: i ragazzi possono nasconderlo, evitando di far sapere alla mamma e alla maestra che leggono “quella roba” anziché i libri. Eppure, nel giro di un paio d’anni, dal 1963 al 1965, gli adulti si troveranno in qualche modo a rimpiangere i vecchi personaggi, decisamente più tranquillizzanti per la morale comune del “ciclone nero” che si sarebbe abbattuto sulle edicole italiane.

Nel formato striscia escono le avventure di Capitan Miki, sedicenne arruolato nei Nevada Rangers, e quelle del biondo trapper protagonista de Il grande Blek. A queste due testate di grande successo pubblicate dalla Editrice Dardo rispondono le Edizioni Araldo con l’intramontabile ranger Tex Willer e con il neonato Zagor. Il western, insomma, la fa da padrone. E gli eroi senza macchia e senza paura, pure. Altra costante, il fatto che entrambi questi editori di successo sono di Milano, così come la Mondadori, che manda in edicola settimanalmente Topolino. E la provenienza geografica si rivela davvero l’unica costante, il solo misero punto in comune tra tutte le proposte a fumetti già presenti nelle edicole e ciò che ha in mente Angela. Un azzardo bello e buono: un titolare di testata cattivo, malvagio, un ladro e un assassino, per di più vincente.

Uno come Fantômas.

L’edizione trovata da Angela sul treno potrebbe essere quella data alle stampe nel 1954 dalla Società Editrice Pagotto nella collana I Grandi Azzurri.

L’edizione trovata da Angela sul treno potrebbe essere quella data alle stampe nel 1954 dalla Società Editrice Pagotto nella collana I Grandi Azzurri.

Angela freme all’idea di provare quell’avventura. Probabilmente non perde troppo tempo nell’approfondita analisi di tutto il ciclo degli scrittori francesi, ma certo ne desume quelli che sembrano essere gli elementi di forza, per poi riproporli adeguandoli al mezzo e al formato da lei scelti. Intanto trova decisamente più interessante, o comunque vincente, l’aspetto della detection, che ritiene debba essere preponderante in un albo a fumetti che duri lo spazio di un viaggio.

L’aspetto sentimentale e amoroso, almeno all’inizio, è abbastanza marginale nelle storie su cui sta ragionando la maggiore delle sorelle Giussani, mentre quello da “saga familiare” lo rimarrà sempre e comunque. Fantômas, per esempio, ha una figlia, e con il tempo si scoprirà parente stretto di un altro coprotagonista della serie, ma per Angela si tratta di elementi da romanzo d’appendice, poco adatti alle storie tese e dinamiche che ha in mente. Fantômas ha poi un nemico giurato, l’ispettore Juve. E così anche il suo cattivo avrà una nemesi costante. Pure lui un ispettore.

Definita la figura dell’antieroe, è il momento di trovare un nome abbastanza evocativo. Angela e Luciana, in un’intervista, dichiarano di essersi ispirate al similare “Diabolo” (dal latino tardo diabŏlus o dal greco diábolos). Abbastanza ardita la ricostruzione secondo cui a ispirare la genesi del nome siano invece il “Diabolic” coniato da Fasan per il personaggio del suo romanzo o il “Diabolich” relativo alla cronaca nera: le sorelle Giussani non conoscono il romanzo in questione e non sono lettrici de La Stampa, il quotidiano che per vicinanza geografica ha dato maggior risalto alla vicenda di nera, mentre l’eco del delitto in questione non è stato così significativo sulla stampa meneghina.

Nel tentativo di deformare in maniera originale il termine, scremando le più improbabili possibilità, si arriva a una rosa di due candidati: “Diabolicus” o “Diabolik”.

La prima tavola originale del primo numero di Diabolik, nonché la prima volta in cui il personaggio viene nominato. Disegni di Zarcone.

INFO SUL FILM:

“Diabolik” (1968) di Mario Bava

Genere Fantastico

Italia, Francia, 1968

durata 105 minuti

Scheda IMDb

https://www.imdb.com/title/tt0062861/

Trailer Ufficiale:

Il film su YouTube