Siamo circondati da immagini, e i social oggi inneggiano ancora di più a questa cultura dirigendo il nostro sguardo e la nostra mente.
Sfogliando i social ci si imbatte spesso tra immagini di donne, e scatta l’idea giudicante, a volte sessista, a volte ipocritamente tale – quando a muoversi contro la bellezza di un corpo femminile è proprio una donna. –
Abbiamo parlato di corpi femminili, di bellezza, di cattivo gusto con un fotografo, Lorenzo Di Lucchio, che tra i vari generi di ritratto, si è specializzato anche nella Nude Art e nella fotografia boudoir dove la nudità è implicita, suggestiva.
Ma cosa significa per te, Lorenzo, fotografare il nudo?
– Le donne sono il soggetto per eccellenza dell’Arte, e io amo fotografare i corpi femminili, senza un’idea standardizzata di bellezza. Amo tutto ciò che è femminile. Amo la donna, la rispetto nel suo esprimere se stessa e cerco di far risaltare il femminino, non solo la femminilità.-
Che tipo di rapporto c’è tra un fotografo e la sua modella?
– Tra il fotografo e la sua modella, che spesso per me è la donna comune prima ancora che la modella, c’è un’atmosfera magica che può nascere solo dall’affidarsi reciproco, dalla fiducia. –
Tu fotografi donne già belle, non è difficile…
– Al contrario! Non è facile che una donna si svesta, non è facile che si senta bella, non è facile che voglia mostrare la propria bellezza e femminilità, spesso non ci crede o più spesso crede sia necessario nasconderla.
Che ne pensi del fatto che molti giudichino sessista il fatto di vedere nel corpo della donna qualcosa di bello e desiderabile?
Il nostro sessismo è retaggio culturale; tutto ciò che suscita desiderio diventa per cultura vergogna.
Ed è per questo che la relazione fotografo modella deve essere confidenza, complicità e, prima di tutto, fiducia: una fiducia che il fotografo non può e non deve tradire.
Quando fotografo una donna voglio che lei si piaccia e preferisco non sia una modella professionista ma una donna comune, che riscopra la sua bellezza. Lavoro con la luce, con le scene di interni ma quello che mi importa è lo sguardo.
Quando lavoro mi concentro sulla comunicazione, sullo sguardo: solo occhi negli occhi nasce la complicità, nasce la comunicazione implicita. Gli occhi dicono cose che vanno oltre la fisicità del nudo, gli sguardi sono spirito incarnato ed è quello che mi interessa arrivi da una foto e che quello sguardo si fermi nel tempo e fermi il tempo.
Credo che la fotografia riproduca e sia la nostra immagine nel tempo e che fermi il ricordo nel frammento di un’immagine, e quando dico nostri intendo non solo il ricordo del soggetto della foto, ma anche il mio ricordo di fotografo. –
Le tue foto cercano il non detto, lo sguardo, con cosa ami lavorare? Cosa significano per te gli occhi?
– Mi interessa il nudo comunicativo e non comunicare con il nudo. Che il corpo sia nudo o in lingerie o che si tratti di una nudità implicita come nel boudoir, il nudo è solo una condizione materiale, che diventa volgarità se non c’è la nudità dello sguardo. Il corpo e lo sguardo devono essere sinceri, coordinati tra loro, il corpo si priva di pudore e torna alla sua naturalezza solo quando è lo sguardo ad essere nudo. Non è un caso che mi sia occupato anche di una cosa che mi ha fortemente impressionato quando l’ho sentita: una canzone scritta con gli occhi.
Come sai vivo a Sanremo e mi capita ovviamente di frequentare l’ambiente del Festival. Quando ho sentito che c’era un artista, un ragazzo malato di SLA, Omar Turati che la Fondazione Lucio Dalla portava a Sanremo come autore di una canzone con gli artisti di Area Sanremo, non ho potuto non aderire al progetto. Fra l’altro si trattava di un progetto che da buddhista, non potevo non considerare come un’opportunità donata dall’Universo: mettere, come già gli artisti di Area Sanremo, il mio talento a disposizione della ricerca che aiuta i malati di SLA (sindrome laterale amiotrofica), e questo è stato possibile a Marcello Balestra direttore artistico della Lucio Dalla Fondation, che ha creduto nelle mie potenzialità
Ho visto concretizzato quello che ho sempre pensato possibile e cioè che gli occhi possono parlare in maniera sintattica e diretta, e se c’è una macchina a tradurre in parole ci troviamo davanti ad un testo di rara verità e bellezza come “Siamo tutti remi”, di cui ho voluto assolutamente girare il video come regista e direttore della fotografia, cercando di riprendere le emozioni che sentivo dietro le voci dei giovani artisti che hanno cantato il brano, musicato da Giuseppe Giuffrida e arrangiato da un altro amico di Dalla, Beppe D’Onghia. La canzone inserita anche nel programma di “A casa di Lucio”, la tre giorni organizzata dalla Fondazione Lucio Dalla per ricordarlo a tre anni dalla scomparsa, è stata sponsorizzata al 65° Festival di Sanremo da Carlo Conti, nel 2015, e il video ha ricevuto diverse menzioni della critica. –
Parliamo un po’ di te, cosa che avremmo dovuto fare subito, ma so che, come me, non ami molto le presentazioni. In fondo cosa siamo lo dice non solo quello che facciamo, ma forse anche chi incontriamo nella vita.

-È quello che ho sempre pensato. Ho scoperto l’arte della fotografia, all’età di 16 anni con la mia prima Nikon FE2, scattavo foto solo per curiosità e per divertimento. Poi questa passione è cresciuta con me. Fu Silvano Agosti, regista, sceneggiatore, montatore cinematografico, autore di documentari e lungometraggi ma soprattutto Autore, che incontrai per caso su un treno e che, vedendo le mie foto, mi indirizzò al ritratto. Da paesaggi cominciai ad appassionarmi ai visi, agli sguardi, ai corpi, a tutto ciò che è lasciare traccia di comunicazione corporea. Dall’età di 22 anni poi ho iniziato a lavorare a Milano come professionista, spostandomi poi in giro per il mondo, USA, Europa, Asia, Russia. Nel 1997 ho conosciuto Helmut Newton a Montecarlo, non lontano dalla mia città Sanremo, e abbiamo avuto la prima collaborazione; mi ha ispirato molto del mio modo di vedere la fotografia.
Successivamente ho conosciuto anche David Hamilton e abbiamo avuto una collaborazione anche a Saint Tropez. Il suo stile rimane il mio preferito.
Oggi lavoro come freelance, faccio diversi tipi di stili, esperimenti sempre, Boudoir, Nude art, nature morte, paesaggi, ritratti e altro ancora… Non finire mai con la fantasia. Sempre con la mia Nikon D850. Nel mio lavoro ho incontrato molti personaggi famosi del mondo dello spettacolo e di altri settori. E per parlarti di una donna con la quale c’è un rapporto di grande complicità lavorativa, ti parlo di Antonella Salvucci, attrice, conduttrice televisiva, lei è una delle bellezze naturali con cui questa complicità espressiva e questa fiducia reciproca, che è proprio affidamento, rinasce ad ogni scatto –

Se volessi lasciarci uno slogan?
– Te l’ho detto. Se siamo la nostra memoria, il ritratto fotografico ci rappresenta: “la tua immagine nel tempo, i ricordi nella tua immagine”, e in quel “tua” ci sono anch’io. –
