Rudy Laurinavicius, la pittura come canto solitario nel silenzio | Intervista di Linda Randazzo.

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«Forse ora ci rendiamo conto di tutto ciò che contiene questa parola: “Vedere”. La visione non è una certa modalità del pensiero, o presenza a sé: è il mezzo che mi è dato per essere assente da me stesso, per assistere dall’ interno alla fissione dell’ Essere, al termine della quale soltanto mi richiudo su di me». (Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, 1960).

Rudy Laurinavicius è un artista siciliano/boliviano, nato a Palermo nel 1979. Comincia i suoi studi artistici all’Istituto d’Arte di Monreale per poi proseguirli in Sudamerica, in Bolivia). Torna in Sicilia e consegue il titolo di Scenografo all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Collabora a grandi eventi come scenografo, progettista, realizzatore. Rudy è un light designer, lavora per alcuni anni sul set televisivo di Agrodolce e al Teatro Biondo di Palermo.

A un tratto, (come da copione per molti grandi artisti della storia dell’ arte), nel 2017, a causa di alcuni problemi di salute, lascia le attività teatrali e si dedica completamente alla Pittura.

È sorprendente constatare come l’istanza prima della pittura sia molto spesso quella di dedicarsi a un’attività dell’anima o creativa, che consenta di dilatare e raccontare in modo profondamente poetico la propria “solitudine”. La pittura di Laurinavicius è per me come una metafora e narrazione dell’uscita dal “mondo”.

Laurinavicius pratica la pittura come se non avesse mai studiato arte, come se non fosse interessato alla mondanità delle vetrine luccicanti dell’arte contemporanea, del mercato e di ogni velleità narcisista propria di molti artisti di oggi. È questo che mi colpisce della sua intensa, solitaria e romantica produzione pittorica; in effetti la sua formazione è completa ed eclettica, e il suo cuore sta in mezzo a due continenti. Nel suo atteggiamento non vedo nulla per cui a buon diritto potrebbe sentirsi un grande artista. Eppure, sento nella sua pittura qualcosa di unico. Il suo atteggiamento nei confronti dell’essere pittore è veramente umile, come quello di un mistico che giornalmente tesse la trama astratta della propria preghiera.

Trovo che questo atteggiamento totalmente anacronistico per un artista contemporaneo, abbia in sé non solo qualcosa di estremamente affascinante, ma anche qualcosa che possa riportare la pittura a quel suo nucleo primario, che è quello di produrre le immagini della realtà da un punto di vista profondamente soggettivo. Questa è una mia personalissima opinione.

Sembra che al guardare le tele di Laurinavicius, si possa ascoltare lo stesso silenzio in cui è assorto lui, mentre scruta il vasellame dell’antica casa dei nonni ormai deserta. Nelle sue tele una semplice teiera o un mazzo di fiori diventano un pretesto per interrogarsi su come poter usare un colore piuttosto che un altro. Le piccole cose del quotidiano diventano potenziali poesie in pittura. Laurinavicius procede come un pittore puro e si interroga come un fenomenologo su fatti banali, sulla semplice visione di un viso o di un paesaggio. Poi procede a raccontarci il processo stesso della sua visione: ce lo restituisce con colori a olio, pastelli sensuali e drammatici carboncini. Nella pittura di Laurinavicius così semplice, c’è l’interrogazione stessa sulla presenza visiva delle cose del mondo. Una domanda sottesa: come è possibile che queste cose esistano e come è possibile che io le veda, così come le vedo? È semplice e profondamente filosofico questo interrogativo del pittore. Ravvedo in questo il problema della rappresentazione che tanto ha tormentato i pittori del secolo scorso, sempre protesi tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo, tra impressionismo ed espressionismo. In questa schizofrenia poetica, ognuno di loro ha prodotto i suoi capolavori.

Laurinavicius traduce in luci, colori, pennellate, fiori, gatti, ritratti, ciò che ha appuntato della sua visione; la sua pittura è come un diario privato, in cui si racconta il resoconto del viaggio del suo occhio pittorico.

Ecco che un chiaro di luna sul mare siciliano di Menfi, ha un potere profondissimo di evocazione. Mi sento trasportata in quel momento di stupore in cui il pittore è proteso e solo, umano, finito verso l’infinito… di quell’infinito cosmico ci fa dono come di un segreto privato si fa dono ad un amico.

«Ho intrapreso un percorso di ricerca artistica nell’ambito del figurativo, abbracciando ed esplorando le sue sfaccettature: dal paesaggio alla ritrattistica, fino alle nature morte. Nulla è più di quanto io possa esprimere in quel che faccio, tutto nel mio lavoro è il tentativo di scrollarmi dalle sovrastrutture, per restituire la poetica di un’immagine che possa essere condivisa.»

Rudy Laurinavicius_Opera

Caro Rudy, il tuo nome ci dice che hai nella tua formazione e nella tua cultura, la presenza di due anime distinte ; parlaci dei tuoi studi boliviani e di come questi abbiano influito nell’ arricchimento della tua arte. Sono molto curiosa di sapere quali siano le differenze tra l’approccio alle arti in Europa e quello del Sud America.

Inizio citando Walt Whitman il quale asseriva che in lui vi erano “moltitudini”. In questa affermazione mi rivedo e mi riconosco. Ho cominciato gli studi artistici all’istituto d’arte di Monreale, per poi doverli interrompere a causa del fatto che la mia famiglia è dovuta emigrare (per problemi economici), in Bolivia, esattamente a Santa Cruz de la Sierra, paese d’origine di mio padre. Lì ho proseguito gli studi artistici, imbattendomi a 14 anni in un clima fervente: ho avuto la possibilità di frequentare esimi Maestri che con spirito di resistenza partigiana mantenevano vivo e vitale il contesto artistico. Alcuni tra questi: Ronald Roa che è stato per me Maestro e guida… altri come Lorgio Vaca, Tito Kuramotto, Marcelo Callaù. Ero “dislocato” in un’altra cultura ma riuscire ad allinearmi a quel contesto mi ha indubbiamente formato culturalmente, artisticamente e nel carattere. Terminati gli studi superiori, ritornai a Palermo e cominciai gli studi all’Accademia di Belle Arti, frequentai il corso di Scenografia. Era il 1997 e allora l’Accademia manteneva ancora uno spirito pienamente vocazionale, mi sembrò un privilegio poterne usufruire. Laboratori, biblioteche, pinacoteche, gipsoteche. Venivo dalla Bolivia, dove studiare Arte era una forma di resistenza e dove se volevi disegnare a carboncino, dovevi prima imparare a frabricarlo.

Perché hai scelto di ritornare in Europa?

Finiti gli studi superiori in Bolivia volevo riappropriarmi del luogo delle mie origini: Palermo, che sentivo mi fosse stato sottratto.

So che tra il 2018 e il 2019 hai scelto di aprire uno spazio d’arte chiamato “La Palestra dell’Arte” e di spostarti in un posto molto periferico per quanto riguarda l’ arte contemporanea. Parlaci del tuo progetto.

“La Palestra dell’Arte” è nata da un’improvvisa circostanza: la mia condizione di salute sì è aggravata pericolosamente. Ciò mi ha costretto a non poter più lavorare da scenografo. Trasferito a Menfi in solitudine, nella vecchia casa dei miei nonni materni, mi sono imposto una disciplina da “atleta” che mi permettesse di non annichilire il mio sentimento dell’Arte; così nasce questa esperienza che ad oggi mi tiene vivo.

Adesso che hai spostato di nuovo la tua residenza, che cosa è rimasto della tua idea della Palestra dell’Arte?

Adesso vivo tra la Sicilia e la Lombardia. “La Palestra dell’Arte” è nata anche con il proposito di aprire uno spazio laboratoriale condiviso; ad oggi non sono riuscito a concretizzare, rimane però vivo il concept di base: ovvero approcciarsi alla produzione dell’Arte così come farebbe un atleta con il proprio fisico. L’Arte e il fare Arte sono, e non possono non essere che sani, e di conseguenza la costanza, la ricerca, l’esercizio, la disciplina e la perseveranza sono fondamentali.

Nel primo periodo della tua produzione pittorica ho notato la scelta di non esporti troppo al grande pubblico ma di vivere in intimità questa pratica. Quando hai cominciato ad esporre le tue opere e che esperienza ne hai tratto dal fatto di procedere da prima in totale solitudine?

Nei percorsi di auto definizione ho scoperto di essere un misantropo demo-fobico. Ho cominciato a dipingere per non cadere nel nichilismo più totale. Nel farlo però ho trovato delle interferenze, ovvero: per chi lo fai? A cosa serve? Quanto può durare? Quanto fai ti appartiene?

Mi imbattei così in John Maynard Keynes, riconoscendo come verità ciò che asserisce rispetto all’Arte, ai sistemi dell’Arte e agli artisti. Keynes asserisce che l’artista è veicolo di un dono e ciò che produce lo vede come veicolo; sostiene che l’artista deve assolvere a un “primum vivere” per poter fare Arte e che di conseguenza, poiché non gli appartiene in quanto prodotto, deve essere proposto ad un pubblico che a sua volta provvederà al “primum vivere”. Quanto avevo trovato in Keynes rispose alle domande che mi frenavano. Quanto produco ad oggi mi appartiene nella misura in cui ne sono veicolo e questa attitudine mi permette di affrontare la mia misantropa demo-fobia . Non metto titoli alle opere esposte e vengono retro-firmate, ciò dà al fruitore la possibilità di dare una lettura che gli appartiene, di trovare il proprio racconto o di porsi le proprie domande.

Trovo le tue opere profondamente romantiche e soggettive, mi stupisce il fatto che tu esplori tutti i generi pittorici tipici della storia dell’arte senza nessuna remora o paura di sembrare un pittore d’altri tempi. Raccontaci come scegli i tuoi soggetti.

Come detto prima sono veicolo, non mi prefiggo progetti lineari perché in realtà si autogenerano. Prendo appunti fotografici, ne faccio crasi e a volte sintesi, a volte è pura dimensione onirica. Il figurativo mi sazia e compiace, reputo sia un linguaggio che si scrolla dalle dinamiche ermetiche che spesso allontanano la gente dall’Arte .Il termine Contemporaneo è un termine che definisce uno stato transitorio in divenire, il concetto di arte contemporanea credo sia pericoloso per l’arte stessa, rischia di incasellarla o peggio ancora di farne un argomento di attualità o addirittura di moda. L’Arte che mi sazia sa di universale ed eterno.

Cosa ne pensi del fatto che molti dicano che la pittura sia una lingua morta? E come vivi il fatto di essere un pittore figurativo molto riservato e schivo rispetto al sistema dell’arte contemporanea?

La pittura è Viva e Vitale. La pittura ad oggi è insostituibile, è come la scrittura: continua a raccontare. Ripeto, il figurativo mi dà la possibilità di creare poetica e racconto. Sul fatto di essere distante dai sistemi odierni dell’Arte “contemporanea” ad oggi lo reputo un obiettivo raggiunto.

Raccontaci la tua esperienza di pittore che vive soprattutto di commissioni private e dell’apprezzamento dei tuoi collezionisti. Come ti trovano gli amanti della tua arte?

Le esposizioni sono sicuramente una delle maniere ottimali per presentarsi al pubblico, tuttavia il web aiuta tanto, la pagina FB della Palestra dell’Arte e il profilo Instagram Rudy Laurinavicius sono utilissimi ai miei collezionisti, lo uso per mostrare le anteprime di quanto produco, mantengono vivo l’interesse sulla mia arte.

Per visionare il lavoro di Rudy Laurinavicius:

https://www.instagram.com/rudylaurinavicius/

https://www.facebook.com/palestradelarte/

Linda Sofia Randazzo 2021