La società siciliana tra Duecento e Trecento fu caratterizzata da una complessa struttura composta dal ceto nobiliare (milites) con un gran peso politico, dal ceto borghese (meliores), i mediocres e i populares.
Ai meliores facevano capo i mercanti e i grossi proprietari terrieri appartenenti a varie nationes arrivate sull’isola attraverso contratti di commenda e assicurazione reperibili nelle varie fonti notarili catalane e che avevano “nella chiesa e nella loggia e nel consolato il proprio centro di coagulo”.
Pietro Corrao scrive che “alla fine del Duecento, una presenza toscana capillare e diffusa interessa sia città portuali, sia moltissimi centri dell’interno dell’isola” e a Palermo raggiunse proporzioni imponenti: il gruppo più rilevante fu quello dei pisani seguito dai fiorenti e dai lucchesi.
Quest’ultimi si occuparono del commercio dei tessuti, in modo particolare della seta, che Gaspare Palermo nella sua “Guida introduttiva” descrive come un arte antica importata dalla Grecia da Re Ruggero “il quale condusse seco da prigionieri diversi operai, e tessitori di drappi di seta”.
Col tempo questi setaioli toscani si unirono in una corporazione priva di sede: in realtà presso la zona del porto, intorno alla seconda metà del Trecento, fondarono una chiesa dedicata alla loro illustre concittadina Zita ma nel 1428 l’ordine domenicano ne richiese l’affido agli eredi di Michele Trentini in quanto cercava un luogo adatto per “vivere una vita più austera”.
I mercanti lucchesi si spostarono, allora, nel cuore del mandamento Monte di Pietà in via sant’Agostino e qui, tra il 1589 e il 1597, posero le basi della chiesa del crocifisso di Lucca completata nel 1602. Il nome deriva dalla copia del cosiddetto “Volto Santo” fatta arrivare in città dai membri della corporazione dalla Cattedrale di San Martino a Lucca cui particolarità è l’immagine acherotipa, cioè non fatta da mani d’uomo, del Cristo molto venerata in tutta Europa fin dal Medioevo.
La chiesa venne posta sotto il governo di quattro consoli tutti appartenenti al mestiere della seta e ogni consolato aveva un proprio altare dedicato ad un santo: l’altare maggiore con il suddetto crocifisso fu affidato ai mercanti di drappi di seta, l’altare dedicato a Sant’Erasmo ai filatoiai e quello di San Biagio ai cardatori con opere realizzate da Giacomo Lo Verde, il quarto altare dedicato a sant’ Antonio abate fu affidato ai tintori che ne commissionarono il dipinto a Giovanni Vallelunga.
Un altra cappella era dedicata alla santa patrona della città e ospitava una pala d’altare realizzata da un giovane Pietro Novelli dove, secondo Mongitore, erano “custodite alcune reliquie di Santa Rosalia, due mole e uno scaglione attaccati ad un osso della mascella” mentre al centro della chiesa, a navata unica, vi era la sepoltura dei corporati.
Nel XIX secolo la chiesa fu sconsacrata e trasformata in scuola per i ragazzi del quartiere e, come riporta Giacomo Cangialosi, dal 1866 passò a privati, tramite un’asta, che la utilizzarono in modo improprio con danni incalcolabili che ancora si possono osservare: divenne dapprima magazzino di vendita di stoffe e nel 2011 la comunità bengalese la trasformò in moschea.
Dopo varie sollecitazioni alle autorità competenti, attualmente l’edificio versa in un grave stato di abbandono e in quanto “privato” è stato manomesso nella sua struttura originaria: la facciata tardo-cinquecentesca presenta nel portale una saracinesca, il campanile è stato inglobato in un’abitazione e non più visibile mentre dalla navata sono stati ricavati alcuni ambienti destinati ad attività commerciali.

Quel che resta della chiesa del crocifisso di Lucca rappresenta uno dei tanti scempi perpetrati al patrimonio storico, artistico e culturale della nostra città.
Giusy Pellegrino