Le Avanguardie
Il primo ventennio del XX secolo ha visto il susseguirsi di movimenti artistici di avanguardia, che attraverso i loro manifesti proponevano nuove forme pittoriche e plastiche in sintonia con il mutare dei tempi.
I movimenti di avanguardia erano formati da gruppi spesso in polemica tra loro, ma dalla critica al contrasto scaturiva una grande spinta creatività. Che si chiamassero cubisti, futuristi, espressionisti, metafisici, surrealisti, dadaisti, gli artisti di questa generazione volevano cambiare tutto. Le loro battaglie artistiche diedero una nuova impronta a tutta l’arte del Novecento.
I FAUVES
Il colore urla
Nel 1905 un gruppo di giovani pittori espose a Parigi, scatenando la contestazione del pubblico e della critica. I dipinti rappresentavano un decisivo passo verso la creazione di un nuovo linguaggio figurativo, questi artisti erano Henri Matisse, Andrè Derain, Maurice de Vlaminck, Kee Van Dongen, Raoul Dufy, dove la loro arte parve un insulto alla pittura e furono soprannominati Fauves, “i Selvaggi, Le Belve”.
Cosa scandalizzava nei loro dipinti?
I colori, che non avevano un preciso riferimento con quelli reali elle cose raffigurate; colori che i Fauves spremevano direttamente dal tubetto, intensi, brillanti, senza passaggi di tono, contrastanti; accostamenti di colori complementari che si rinforzano reciprocamente.
Il disegno sommario, tracciato direttamente con il pennello, che è solo un contorno per contenere il colore, trascurando i dettagli.
L’essenza di prospettiva aerea e di atmosfera nel paesaggio.
Henri Matisse (1869 – 1954) fu il più importante dei Fauves e il loro capogruppo, egli usò il colore nelle tonalità più intense e all’armonia cromatica subordinò tutto il resto (disegno, soggetto). Affascinato dal potere del colore, Matisse si allontanò sempre più dal contesto reale del disegno, che divenne un pretesto per esprimere le sensazioni cromatiche captate dal suo sensibilissimo occhio. La sua pittura non è descrittiva, ma la realtà, nei suoi aspetti più gioiosi, è sempre presente nelle forme-colore che sono il suo codice espressivo. La linea è la seconda importante componente delle opere di Matisse: una linea morbida, che scorre ininterrotta disegnando le figure, che delimita gli spazi e da ritmo a tutta la composizione pittorica. Nei dipinti di paesaggio, i pittori fauves stravolgono i colori naturali o ne accentuano fortemente l’intensità cromatica. Nel paesaggio di Andrè Derain (Curva a L’Estaque, 1880 – 1954) dipinge gli alberi rossi e blu, le foglie di un giallo puro; questi stessi colori accesi si riflettono nell’acqua.
Un altro importante esponente della corrente dei Fauves fu Kees Van Dongen (1887 – 1968); proveniente dall’Olanda, si stabilì a Parigi e partecipò alla ricerca sul colore dei Fauves; la sua tavolozza è fatta di colori violenti e luminosi.
Fu un pittore prestigioso dei protagonisti della vita mondana parigina: cantanti, ballerine, gran dame del bel mondo, di un’epoca raffinata e brillante, che precedette la prima guerra mondiale. Egli trattò questi soggetti in modo ironico e talvolta caricaturale.
L’ESPRESSIONISMO
Una generazione di arrabbiati
Dresda, 1905: nasce il movimento espressionista, che è stato una delle avanguardie più importanti del Novecento. Era inizialmente costituito da quattro studenti di architettura, che condividevano una grande passione per la pittura e uno stile di vita anticonformista: Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938), che aveva 25 anni ed era il più anziano, Erich Heckel (1883 – 1970), Karl Schmidt-Rottluff (1884-1976), Fritz Bleyl (1880 – 1976).
I quattro amici chiamarono il loro gruppo Die Brücke (Il Ponte) e nel 1906 pubblicarono il loro programma, che era quello di ignorare la tradizione pittorica accademica e di iniziare una nuova arte, libera dalle convenzioni e rispondente all’ansia di libertà e indipendenza che animava la loro giovinezza. Nel 1906 entrano nel gruppo Emil Nolde (1867 – 1956), un pittore già affermato, e Max Pechstein (1881 – 1955).
Modelli di riferimento
Gli artisti espressionisti, anche se dotati di creatività, guardarono ai grandi innovatori della pittura della generazione precedente: Van Gogh, Gauguin e al norvegese Munch, le opere dei quali furono esposte da Dresda in quegli anni. La pittura di Edvard Munch (1863-1944) è carica di una forte espressività e comunica un senso di angoscia. Questo grande artista nordico interpretava anticipatamente le inquietudini di una generazione che avrebbe vissuto gli orrori della grande guerra e le sue drammatiche conseguenze. Osservando il dipinto più noto di Munch, “Il grido”, siamo colpiti dall’immagine in primo piano, sintesi espressiva della disperazione.
Anche nel paesaggio dal cielo sanguinoso, solcato da linee ondulate, pare che risuoni la voce umana. Gli espressionisti si ispirano anche alla scultura “tribale”, che fu uno dei modelli di riferimento delle avanguardie.
La realtà interiorizzata
Gli artisti de “Il Ponte” affrontarono in modo nuovo i due soggetti dominanti della pittura: la figura umana e il paesaggio.
Il colore è il mezzo espressivo primario, puro e violento con forte contrasto di tinte complementari. Il segno lineare è energico, nero e spigoloso. Sono evidenziati con forza no la bellezza dei volti ma la loro espressività e capacità di comunicare un turbamento interiore. La tecnica pittorica è piuttosto sommaria, con grandi zone di colore piatto.
Se i Fauves erano chiamati dalla critica “i selvaggi, le belve” gli espressionisti furono definiti “i cannibali”. Essi si ribellarono a tutte le convenzioni tanto nella vita privata e pubblica quanto nell’arte.
Gli espressionisti si dedicarono appassionatamente all’arte grafica, soprattutto alla xilografia (intaglio nella matrice di legno) con la quale ottennero un segno fortemente espressivo in sintonia con il loro programma estetico rivoluzionario.
L’Espressionismo e il cinema
La forte carica emozionale dell’espressionismo investì anche la cinematografia, che negli anni che seguirono la fine della grande guerra realizzò grandi capolavori, i più famosi sono Nosferatu il vampiro (1922) e il gabinetto del dott. Caligari (1920). Anche il cinema registra effetti di chiaroscuro violento, accentuato dalla pellicola in bianco e nero, strutture diagonali e prospettive disorientanti nelle scenografie: Espressività forzata nella recinzione, perché i film erano “muti”, cioè senza “parlato”. Tutta la potenza comunicativa era affidata all’espressione e alla gestualità.
Architettura tra realtà e finzione
Alla rivoluzione pittorica espressionista non si affiancò un’eguale cultura architettonica. Tuttavia nell’opera di alcuni architetti tedeschi, fra il 1910 e il 1920 si osserva una tensione e una libertà delle forme spaziali contraria alla tradizione classicheggiante germanica. Il maggior rappresentante dell’architettura espressionista fu Erich Mendelssohn (1887–1953), che creò con la torre Einstein 1920, il capolavoro del movimento.
Questo singolare edificio costruito a Potsdam, in Germania, è una torre-osservatorio per lo studio dello spettro solare in base alla teoria della relatività di Albert Einstein.
Con le superfici arrotondate e l’assenza di spigoli, questa costruzione assomiglia a una gigantesca scultura.
E’ nella finzione cinematografica che i modelli avveniristici urbani si sviluppano dalla fantasia degli scenografi, che erano spesso autentici architetti. Il celebre film, non parlato, “Metropoli” 1927), di Fritz Lang, prefigura un’immensa città del XXI secolo, con grattacieli, gigantesche fabbriche, strade sopraelevate.
La realtà di oggi ha raggiunto, e in alcune grandi metropoli del mondo superato, le ardite invenzioni del film.
L’arte spesso precede le realizzazioni dell’uomo, che hanno bisogno del supporto di un’altra tecnologia per essere attuate.
M° Monica Isabella Bonaventura