Margheria Bonfilio, Storie fantastiche, Firenze, Marzia Carocci Editore, 2022 | Le recensioni di Segnalazioni Letterarie

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Molto smilze possono apparire oggigiorno le favole (o fiabe che dir si vogliano). Ma se per i più piccini vale il detto che esse sono sempre in voga, perché non sono mai di moda (per parafrasare un vecchio brano degli Articolo 31 di J-Ax), il lettore più avveduto che si accosta ad esse può tendere a sovrapporvi sovrastrutture e considerazioni varie, grossomodo incentrate sulla perpetuità del valore di questa tipologia di narrazioni, da sempre rappresentative delle prime forme di organizzazione della fantasia (e della logica) con cui si viene a contatto; o richiamare suggestivi parallelismi tra le età evolutive delle singole esistenze e le epoche della civiltà, per cui le “storie fantastiche”, distintive dei periodi eroici e formativi della società umana, riemergono prepotentemente in momenti tumultuosi come segno di riflusso “critico” e tendenza all’irrazionale.

Perciò, senza contare già il carattere di piccola strenna riservata a figli e nipoti, pure per le “Storie fantastiche” della Bonfilio può valere quel beneficio d’inventario “regressivo” che le preserva a priori da valutazioni negative in nome dell’universalità conclamata del ritorno al “fanciullino” predicato da un po’ tutte le arti.

Simmetricamente, però, esse come detto possono ispirare l’applicazione di reminiscenze o di strumenti eruditi, quali le costanti formali stabilite nel secolo scorso dal russo Propp, riscontrabili già nella storia inaugurale “Il lago incantato”, dove compaiono tipologie di personaggi quali l’eroe, l’antagonista, gli aiutanti, il donatore.

Ma in un equilibrato intreccio di tradizione e modernità, i luoghi comuni della fiabistica e della favolistica s’incrociano agli aggiornamenti fantasiosi che, sulla scorta della sempre più prorompente civiltà visiva, hanno coinvolto in tempi recenti l’invenzione dedicata ai più piccini: è il caso dell’animazione degli oggetti che muove “Le ciabattine spaiate” (reazione all’obsolescenza programmata di molti prodotti odierni?) o il romanticismo tra suppellettili della storia d’amore tra la caffettiera Gelsomina e la teiera Aroldo (anch’esso inno alla perpetuazione delle batterie domestiche, di contro all’usa e getta dei nostri giorni?).

Ne “L’orologio a cucù” all’animazione degli oggetti si aggiunge un accenno a un passaggio tra veglia e sonno:  raddoppio di bidimensionalità che può costituire il canovaccio per futuri sviluppi della trama.

A sua volta “La bambina che non voleva diventare grande”, inscenando programmaticamente la conversione alla crescita di una fanciulla che supera, grazie alla dialettica, la Sindrome di Peter Pan, è quasi una metafora illustrativa dello scopo del libro, i cui brevi racconti – seguendo i dettami pedagogici dello psicoanalista Bettelheim – configurano indispensabili strumenti di maturazione per abituarsi alle sfide della vita e formare personalità compiute.

In definitiva queste “Storie fantastiche”, stimolando diversi piani di approccio, talvolta persino insospettabilmente ibridi, ridestano sempre un piacere primigenio della lettura. Certamente perché – al di là di ogni sovrapposizione colta e delle influenze adulte che vi si possono innestare – l’illusione di tornare bambini è un’aspirazione nemmeno troppo recondita assai diffusa, in quanto aiuta a coltivare l’utopia di poter ricominciare tutto da capo.

di Alberto Raffaelli

albertoraf2@gmail.com

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