Uno degli aspetti più suggestivi e originali del pensiero nietzschiano è la visione del tempo descritta nell’opera Così parlò Zarathustra. In particolare, la contrapposizione che pone in essere tra il “tempo lineare”, fatto di istanti in successione, ovvero edipica come afferma Vattimo, del figlio, il futuro, che uccide il padre, il passato, e la capacità o meglio Volontà dell’oltreuomo di cavalcare “l’eterno ritorno” dando un senso nuovo alla ripetizione del possibile.
“Un’aquila volteggiava in larghi circoli per l’aria, ad essa era appeso un serpente, non come una preda, ma come un amico: le stava infatti inanellato al collo”
“La teoria dell’eterno ritorno presentata nell’opera Così parlò Zarathustra(1883-1885), nel discorso su “la visione e l’enigma”. Zarathustra narra di una salita su di un ripido sentiero di montagna (=simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero), durante la quale egli, con il nano che lo segue, si trova di fronte ad una porta carraia (=simbolo dell’infinità del tempo), su cui è scritta la parola “attimo”(=il presente) e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che “nessuno ha mai percorso sino alla fine”, in quanto si perdono nell’eternità: il primo porta all’indietro (=il passato) e l’altro porta in avanti (=il futuro). Zarathustra chiede al nano se le due vie sono destinate a contraddirsi in eterno oppure no. La risposta del nano allude alla circolarità del tempo (“Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”).
Il significato profondo dell’eterno ritorno, però, non è banalmente quello del ritorno perpetuo delle medesime cose, ma è un significato più complesso. Zatathustra, in una narrazione in cui aleggia un clima onirico (una sorta di visione nella visione sullo sfondo di un desolato paesaggio lunare e di orridi macigni) racconta di aver visto un pastore che dormiva, a cui entra in bocca un serpente; Zarathustra cerca di aiutarlo ma, non riuscendoci, lo invita a mordere il serpente e così si salva e la vicenda si chiude con una risata liberatoria del pastore, ormai “trasformato e circonfuso di luce”. Qual è il significato di ciò?
Il serpente che si morde la coda simboleggia il tempo concepito come ciclico e che in un primo tempo può essere concepito come qualcosa di soffocante:l’idea che tutto ritorni è insostenibile poiché nessuno vorrebbe ripetere all’infinito la propria vita, in quanto la nostra vita non è così perfetta da aspirare ad essere desiderata per l’eternità. Il morso del serpente sta a significare che è vero che la dottrina dell’eterno ritorno può essere soffocante, ma solo per chi ha un’esperienza di vita non pienamente realizzata. L’oltreuomo, invece, che sa vivere pienamente la sua esistenza può per davvero desiderare di riviverla in eterno e tagliar la testa al serpente vuol dire spezzare il circolo del tempo che ritorna su se stesso e inserirsi in questo circolo.
Collocarsi nell’ottica dell’eterno ritorno vuol dire rifiutare una concezione lineare del tempo come catena di momenti, in cui ciascuno ha senso solo in funzione degli altri, quasi che ogni attimo fosse un figlio che divora il padre (=il momento che lo precede), essendo destinato a sua volta ad essere divorato dal proprio figlio (=il momento che lo segue), secondo un processo che Gianni Vattimo ha denominato “struttura edipica del tempo” (carattere essenziale di questa temporalità è che ogni momento del tempo non ha il suo senso dentro di sé, ma in altro: nei momenti che lo precedono e lo seguono; e che, anche per questo, ogni attimo tende ad impadronirsi del senso annullando gli altri, in un succedersi in cui si verifica una lotta analoga a quella che divide i figli dai padri).
Una dottrina del tempo di questo tipo ha come presupposto la mancanza di felicità esistenziale, poiché nessun momento vissuto ha davvero in se medesimo una pienezza di significato.
Viceversa, credere nell’eterno ritorno significa ritenere che il senso dell’essere non stia fuori dell’essere, in un oltre irraggiungibile, ma nell’essere stesso e disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso.”
Roberta Bramante