Luisa Sisti, scrittrice | INTERVISTA

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«Quando scrivo seguo le idee, le schematizzo, poi le ribalto, ne verifico la coerenza, ci lavoro a lungo con la ragione e con tutto l’animo, ma non “di pancia”; spesso mi commuovo, ho pianto nello scrivere più di una scena. Non racconto me stessa: sono di volta in volta un personaggio, più personaggi, entro ed esco dall’animo di ciascuno, adatto il mio pensiero e il mio linguaggio al personaggio che sto interpretando. Annullo Luisa per essere tante altre persone. Questa, sì, è un’esperienza meravigliosa.» Luisa Sisti

Luisa Sisti

Ciao Luisa, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale scrittrice?

Grazie a te per l’interesse! La definizione “scrittrice” credo sia esagerata. Scrivo per passione, non ho mai seguito corsi di scrittura e – del resto – gli unici corsi alla mia epoca erano quelli universitari. Nel lavoro ho portato la mia capacità, fondando nel 1999 una rivista istituzionale che, oggi, è un network gestito da esperti di comunicazione. In età matura ho avuto il coraggio di espormi con un romanzo (“La vita silente”, 2016) e dedicarmi alla lunga stesura de “I giorni e l’amore” (2019) in cui ho intrecciato le vicende dei personaggi (di pura fantasia) con la storia, con la poesia occitanica, con la musica, sperimentando la coralità delle voci in una saga familiare. La musicalità del testo il linguaggio per me è essenziale, esattamente come lo è il ritmo – dalla metrica alla pura assonanza – nelle poesie.

Chi è invece Luisa al di là della sua passione per la scrittura, per la letteratura, per la poesia e la lettura? Cosa puoi raccontarci di te e della tua quotidianità?

Me lo chiedo ogni giorno… Luisa è una sessantenne dal cuore giovane, che ha iniziato a lavorare presto per mantenere la famiglia, cercando di seguire le passioni vitali dell’intelletto, trasmesse con successo ai figli. Luisa non è facile da gestire, sia per la tendenza all’autocritica che per il temperamento solitario, esibiti in nome della Libertà. Forse bisognerebbe chiederlo a chi ha avuto la sfortuna di sopportarmi.

Qual è il tuo percorso accademico, formativo, professionale ed esperienziale che hai seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire i panni della scrittrice?

Come accennato, non mi sento una scrittrice, perché è una lunga strada e non so quanto potrò percorrerla alla mia età. Posso dire che la lettura scatenata è sempre stata, perdonate l’ossimoro, un ‘vizio virtuoso’ (terminati i compiti di scuola, divoravo libri) così come la musica, soprattutto classica; dopo la laurea in lettere (un “110” che ha riscattato le umiliazioni subite come ‘non frequentante’), ho proseguito con articoli di critica letteraria, varcando un mondo straordinario nel quale ho potuto incontrare grandi scrittori e poeti del Novecento. Ricordo le corse con il treno per partecipare a una presentazione, i permessi in ufficio, i sabati in biblioteca, le notti trascorse a studiare e scrivere. Tanto caffè. Tanta passione. Senza mai dimenticare la famiglia, che resta il fulcro della mia vita.

Come nasce la tua passione per la scrittura, per la poesia e per i libri? Chi sono stati i tuoi maestri e quali gli autori che da questo punto di vista ti hanno segnato e insegnato ad amare i libri, le storie da scrivere e raccontare, la lettura e la scrittura?

Credo sia nata con me, è naturale come respirare. I Maestri? Sono stati gli scrittori che ho letto; i musicisti, capaci di creare nuove note nel mio pensiero; la libreria dei miei genitori, grazie alla quale ho conosciuto Kafka, Hemingway, Garcia Lorca in giovane età; infine, il vecchio giradischi su cui ondeggiavano i “33 giri” con Beethoven, Chopin, Vivaldi. Poi i Maestri che ho scelto: l’amore per Cesare Pavese, Thomas Mann, Marcel Proust. Non solo classici: da quando ho conseguito il titolo di giornalista mi appassiono ai nuovi autori da recensire in un ‘circolo di lettura’ in Biblioteca. Insomma, c’è sempre da imparare. La mia regola è: “non parlare mai di ciò che non conosci”.

Ci parli del tuo libro, “I giorni e l’amore”? Come nasce, qual è l’ispirazione che l’ha generato, quale il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quali le storie che ci racconti senza ovviamente fare spoiler?

Luisa Sisti_I giorni e l’amore

L’idea di questo corposo romanzo si è fatta strada mentre scrivevo le ultime pagine de “La vita silente” (che ha infatti un finale sospeso) in quanto mi ero affezionata ai protagonisti. Tuttavia “I giorni e l’amore” ha avuto una stesura complessa, perché non mi bastava più la storia clandestina tra Guido, maturo docente di filologia romanza, e Laura, giovane giornalista. Mi ero affezionata anche agli anni Sessanta, in cui inizia e si svolge la vicenda, che si chiude nel 1989; così, al tipico “… e poi che succede?” è subentrato un “dove, come, perché, quando” e soprattutto “chi” (la regola delle “5W” : Who, What, When, Where, Why?). Il cuore mi ha condotto a interpretare Guido, il protagonista assoluto per la sua complessità umana e culturale, l’unica ‘voce narrante’ in grado di abbracciare l’intera vicenda. Percepivo la sfida ma non la sua portata: per creare Guido ho studiato, ricostruito, sofferto, viaggiato sui luoghi dopo averli descritti. Guido è il rappresentante di un intero secolo, il Novecento; nasce nel 1911 in una famiglia agiata che negli anni Trenta subisce le leggi razziali; dopo la guerra ricostruisce la sua carriera e crea un perfetto establishment che verrà sconvolto per amore. La sua evoluzione emotiva, artistica, ideologica, avviene scena dopo scena (il romanzo è costruito come una fiction, con tanto di ‘colonna sonora’ virtuale in appendice) e si intreccia con le vicende dei ‘giovani’, Laura e Goffredo, i quali incarnano – rispettivamente – la sofferta emancipazione femminile e l’impegno politico della contestazione. Guido instaura inoltre un rapporto di forte affinità con Ingrid, paleografa belga dal passato tragico, dai risvolti imprevedibili. Uno alla volta si affacciano, come in un teatro, Elda, la cugina anziana che accompagnerà Guido alla scoperta delle proprie origini; tornano le figlie già incontrate ne “La vita silente”, Flaminia e Cristina, con le loro storie; c’è Pia, la moglie abbandonata e vendicativa; infine Andrea, storico rivale in amore di Guido, che avrà un ruolo inaspettato. Il feilleuton  si snoda tra colpi di scena, lettere, poesie e pagine di riflessione.

Per tre anni, ogni sera fino a tarda notte (dopo una lunga giornata di lavoro) e i giorni festivi, ho scritto (e riscritto tre volte) questo romanzo, vivendolo come un’ossessione bellissima, ricordando e ricostruendo fedelmente le vicende storiche attraverso testi di giornali radio, polverose procedure giudiziarie, scelta e traduzione di brani di poesia medievale, affinché la fiction risultasse anche un docu-film. Le principali fonti di ispirazione – oltre la mia fantasia – sono state La meglio gioventù di M.T. Giordana e America Oggi di R. Altman nel cinema, I Buddenbrook di T. Mann nella letteratura e, nella musica, il Tristan und Isolde di R.Wagner, vero Leitmotiv di entrambi i romanzi.

Forse per questa ‘leggera complessità’, I giorni ovvero il riferimento alla Storia e lamore che trascende il sentimento tra due persone, è stato definito da un critico letterario un “classico romanzo italiano” e spero che venga apprezzato per quel che è, ovvero intrattenimento e pensiero.

Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre lo scrivevi?

Un lettore attento alle sfumature, disposto a immedesimarsi con un personaggio. Un lettore curioso di approfondire il “c’era una volta” senza nostalgia, magari utilizzando la bibliografia (letteraria, storica, musicale) pubblicata sul mio sito web integralmente, per approfondire i temi di suo interesse. Sapevo dall’inizio che il pubblico di oggi ha poco tempo, preferisce romanzi brevi e trame attuali, ma cosa c’è di più attuale della Storia?

Una domanda difficile: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “I giorni e l’amore” o gli altri tuoi libri? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarlo.

Spero di averlo già fatto rispondendo alle precedenti domande! Per distrarsi, per rivivere o vivere ex novo vicende di cui non si parla più, per “tifare” per uno o l’altro personaggio. Per riflettere sull’amore, su quel tipo di amore che ti fa maturare e ti cambia per sempre. Con molta calma, come un appuntamento serale con un amico o la nuova puntata di una serie televisiva: un capitolo alla volta.

C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare le tue opere letterarie? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?

Tante persone e tante strutture mi hanno accolto con affetto: a Bergamo, la Biblioteca “Angelo Mai” e il Centro Studi per la Resistenza, dove ho potuto ascoltare, incise su nastro, le interviste ai reduci dei campi di sterminio; a Milano, la Biblioteca “Ambrosiana” per ricerche filologiche e l’Archivio AAMOD per ricostruire le vere vicende sindacali di un’acciaieria nel periodo dell’Autunno caldo (1969); a Roma le Teche RAI e gli amici. Su tutti, un uomo straordinario, cui avevo già dedicato il romanzo, pubblicato pochi giorni prima della sua  improvvisa, tragica scomparsa.

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine”, ovvero, “leggere sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…

Cartesio è stato un genio eclettico, empirico e per questo aperto al “dialogo” e alla curiosità, quando la Scienza aveva la necessità di affrancarsi da un tardo oscurantismo religioso; Proust si situa nella nobile Décadence avviata da J.K. Huysmans con il romanzo “Á Rebours” (1884) che segna il solipsismo dell’intellettuale e che forse costituisce la base del mosaico straordinario de “La Recherche”. Per quanto abbia amato Proust come narratore sublime, sono più vicina alla “conversazione meditata” di Cartesio; al contrario, oggi gli autori emergenti danno l’impressione di “leggere sé stessi”: peccato non siano tutti Marcel Proust…

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

Sono così lontana da Bukowski che non trovo una risposta sensata. È importante il rispetto per il lettore, la storia narrata e il linguaggio coerente con i protagonisti e il contesto. No, non “butto giù”, non mi sento così geniale. Seguo le idee, le schematizzo, poi le ribalto, ne verifico la coerenza, ci lavoro a lungo con la ragione e con tutto l’animo, ma non “di pancia”; spesso mi commuovo, ho pianto nello scrivere più di una scena. Non racconto me stessa: sono di volta in volta un personaggio, più personaggi, entro ed esco dall’animo di ciascuno, adatto il mio pensiero e il mio linguaggio al personaggio che sto interpretando. Annullo Luisa per essere tante altre persone. Questa, sì, è un’esperienza meravigliosa.

«Direi che sono disgustato, o ancor meglio nauseato… C’è in giro un sacco di poesia accademica. Mi arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima energia… non hanno fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene. Questo non si applica soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve forgiarsi tra le fiamme degli stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il tipo di poesia è buona, io non ne ho vista. La teoria degli stenti e delle privazioni può essere vecchia, ma è diventata vecchia perché era buona … Il mio contributo è stato quello di rendere la poesia più libera e più semplificata, l’ho resa più umana. L’ho resa più facile da seguire per gli altri. Ho insegnato loro che si può scrivere una poesia allo stesso modo in cui si può scrivere una lettera, che una poesia può perfino intrattenere, e che non ci deve essere per forza qualcosa di sacro in essa.» (Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1, n.6, 1974, pp 1, 19, 21.). Tu da poeta cosa ne pensi in proposito? Ha ragione Bukowski a dire queste cose? Cosa è oggi la poesia per te, riprendendo il pensiero di Bukowski?

Bukowski giustifica i suoi eccessi con una visione (tardoromantica quindi incoerente con le sue scelte) di moderna scapigliatura di poeti “forgiati tra gli stenti”. In lui vedo rispecchiarsi la confusione e la presunzione dei giovani autori che usano la penna non come un fioretto (da ex schermitrice, il fioretto richiede forma ed eleganza per una stoccata vincente) ma come un lanciafiamme per urlare sé stessi e le proprie nevrosi. La poesia, per me, è sintesi accurata, è sottile sofferenza per rendere visibile ciò che è invisibile. È un dono offerto dal poeta e dunque – come dono – è sacro.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Che domanda insidiosa… “I Guermantes” di M.Proust, in cui c’è tutta la Parigi della Belle Époque: è il terzo romanzo de “La Recherche”, ma fa venire voglia di leggere i precedenti e i successivi. Avvertenze per l’uso: occorrono anni, con lunghe pause tra un romanzo e l’altro. Negli stessi anni Italo Svevo scrive “La coscienza di Zeno” in cui parla di sé, amalgamando ironia, dramma e psicoanalisi (Svevo, ovvero l’industriale triestino Ettore Schimtz, frequentò S. Freud) in una memorabile tranche de vie del mondo mitteleuropeo giunto ormai alla fine. Per ultimo ma non ultimo, Franco Faggiani e “Il  guardiano della collina dei ciliegi” (2019); Faggiani ha il dono della limpidezza e dell’efficacia, si avvale di uno stile lineare e si fa amare perché coinvolge, incuriosisce, commuove.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

Vi stupirò. Un film cult è “Mary Poppins” (1966) di W. Disney, da vedere in inglese. È geniale: temi quali la pillola anticoncezionale (il famoso “con un poco di zucchero la pillola va giù”), l’emancipazione femminile (“suffragette in marcia”) e la cannabis (sorseggiando un tè, lo zio Albert inizia a volteggiare ridendo verso il soffitto) hanno superato ogni censura. Una colonna sonora straordinaria, la fantasia al potere e un messaggio sovversivo ne fanno un capolavoro. Agli antipodi, un film che non mi stanco mai di vedere: “Morte a Venezia” (1971) di L. Visconti, in cui convergono musica (G. Mahler), letteratura (T. Mann) e una regia suprema, quasi un “estratto” di quella Décadence cui si era accennato. A conferma della mia schizofrenia, infine, propongo un capolavoro della commedia italiana: “L’Armata Brancaleone” (1966) di M. Monicelli e – in genere – tutti i suoi film, che, insieme alle opere di E. Scola, rappresentano la ragione del successo dei film italiani all’estero.

Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni culturali e professionali, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnato che puoi raccontarci?

Da due anni sono ferma, per ragioni del tutto personali. Sto collaborando – non senza difficoltà – alla nascita di un periodico di narratori emergenti; continuo a lavorare, contando i giorni che mancano alla meritata ‘quiescenza’ e quindi alla libertà di scrivere; ho rimesso mano a un romanzo ‘noir psicologico’ fermo da anni.

 Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Spero di aggiornare il sito www.luisasisti.com e la pagina Facebook; soprattutto, mi auguro di proporre presto qualcosa di nuovo.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa breve intervista?

Come prima cosa mi complimento con il redattore per le domande! Ai lettori posso soltanto dire di non seguire l’omologazione culturale, di entrare in qualche piccola libreria indipendente, di non avere paura – nelle proprie scelte – di risalire la corrente come i salmoni. I veri salmoni non si fanno pescare: sono quelli di allevamento a finire spalmati su pane e burro. E hanno tutti lo stesso sapore.

Luisa Sisti

Luisa Sisti

www.luisasisti.com

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Il libro:

Luisa Sisti, “I giorni e l’amore”, Ed. Kimerik, Patti (ME), 2019, pp. 451

Libro fuori commercio per scelta dell’Autore e dell’Editore a contratto concluso:

per richiederlo con sconto 40% e dedica dell’autore scrivere a luisasisti2160@gmail.com specificando nell’oggetto: “I giorni e l’amore”.

Andrea Giostra

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