“Becco pieno” è un’opera assolutamente indicativa dei nostri tempi: lo stile sincopato, adatto alla compulsiva cinematicità odierna, e gli intrecci di voci plurimediatici vi strutturano lo scorrimento continuo – ormai pienamente esecutivo anche in letteratura – tra le modalità colloquiali tradizionali e quelle della Rete: e proprio tale flusso indistinto di modalità comunicative fisiche e social costituisce il perno della scrittura, unicum conversevole la cui articolazione rappresenta uno degli elementi più incisivi e dinamici della narrazione.
Già nella forma consiste perciò parte del messaggio del romanzo, il cui senso è però ovviamente completato dai contenuti veicolati attraverso questo network. Al di là della consuetudine con schermi e devices, nella scanzonata (“ultrasensibile” e “tripolare” sono due tra gli aggettivi con cui si autodefinisce) protagonista Graziella risalta comunque un marcato bisogno di affettività, che oltre al surrogato rappresentato dagli animali domestici assume tratti talvolta persino di una sessualità ai limiti della ninfomania, a emblematizzare i meccanismi comportamentali di una società ormai “tecnoliquida” nelle sue strutturazioni interpersonali e collettive (si vedano l’assai frequente mancanza di famiglie tradizionali e la sostanziale sfiducia nella scuola). Tra i pochissimi punti fermi per lei c’è il figlio (però sballottolato in balìa degli eventi).
Il libro, travolgendo ritmi e modus vivendi compassati, raduna con costipata efficacia diversi segni dei tempi. Nella “deriva fusionale” che è la vita di questa donna indipendente (?) spiccano continui riferimenti gastronomici e al gourmet: Graziella è implicata nella ristorazione, e abbondano ricette e preparazioni varie (ritorno in primo piano, e spettacolarizzato, di uno dei bisogni primari). E ci sono poi i corsi di creative writing (scrivendo la protagonista trova i momenti di riflessività più distesa), il buddismo, i centri olistici, i tarocchi, studi universitari sulla gentilezza, il coaching motivazionale come input per incrementare la crescita personale: elementi tutti riconducibili a una visione modernizzata e “à la page” dell’esistenza.
Certo, come sine qua non di una siffatta sarabanda c’è un fattore C, quell’avvenenza – oggigiorno ancor più regina del mondo – che rende Graziella a tratti pure arrogante: ma è proprio questo reagente ad animare il caleidoscopio di un milieu benestante qualsiasi (che la vicenda sia nello specifico di collocazione torinese è riconducibile alla biografia dell’autore; ma si sarebbe potuta ambientare in qualsiasi altro non-luogo), dandone un esaustivo spaccato psico-sociologico.
Si potrebbero – ma non lo facciamo, beninteso – muovere obiezioni di carattere persino etico a un romanzo siffatto, manifesto dei nostri giorni e d’indifferentismo rispetto a certi valori, che però con altrettanta evidenza abbina sistematicamente materialità e bisogni spirituali, imprenditoria e meditazione, corteggiatori in serie e adozione a distanza.
Appare invece più pertinente sottolineare come queste pagine mostrino la vita “vera” di un 2022 qualsiasi, illustrandola con tranches incalzanti. Infatti un importante dato stilistico di “Becco pieno” è la conferma di come sempre più spesso la narrativa del terzo millennio conduca le analiticità e l’introspezione attraverso situazioni di costante connessione on line, condite di sfilze di brand ed etichettature varie, nonché demarcativi grafici.
Le piccole grandi storie del quotidiano oggi sono espresse tramite chat, like, gif e smiles, e gli scrittori ricorrono a commenti social e iconcine ormai elevate a una dignità e densità espressive simili a quelle delle forme discorsive tradizionali, connotando così le trame di un iperbolico effetto realistico.
E a chi imputasse a “Becco pieno” tonalità e profili eccessivamente epidermici, si potrebbe ribattere con Hofmannsthal che “la profondità va nascosta. Dove? Alla superficie”.
(Alberto Raffaelli)
Il libro:
Carlo De Rossi, “Becco pieno”, Torino, Pathos Edizioni, 2022
Carlo De Rossi:
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Alberto Raffaelli
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