Gentilezza
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Un racconto di Asimov, “La parola chiave”,  parla di gentilezza necessaria anche ad una enorme macchina automatica (ma forse, a detta di uno dei personaggi, ormai umanizzata) e penso a quanta utopia contenga il mondo di questo breve testo di fantascienza distopica.
L’unico valore che oggi mi arriva da giovani e meno giovani è un ossimorico, arrogante, e aggiungerei distopico, nichilismo; non c’è traccia di gentilezza in mezzo a questa vita automatizzata.
È periodo di Natale, il periodo di Christmas Carol di Dickens nei miei ricordi.
Ma il mondo delle fiabe natalizie tradizionali e dei simboli si è dissolto da tempo, liquefatto dalla frenesia abbagliante delle occasioni di svago da una routine sempre più opprimente, specie dopo due anni di pandemia.

La metafora che sento di frequente proprio di questi tempi è quella del criceto che gira nella ruota ed è sicuramente efficace per parlare di vita automatica e automatismi.
E mi chiedo: cosa stiamo consegnando al nostro futuro; cosa stiamo comunicando a chi a quattordici o anche diciotto anni vuole – forse – vedere davanti a sé il mondo come vita, come proiezione, come sogno, come utopia dove conta ancora la junghiana libido, la forza vitale, magari anche consapevolmente diretta?
Dove sono gentilezza, sensibilità e anima? Cosa abbiamo fatto della comunicazione vera nel nostro egotico gioco di divi social?(Anche da boomer o generazione X, sì.)

E mi torna in mente che la sensibilità è anima, è genio personale; e torno ad Asimov che fa funzionare l’enorme Multivac con la parola chiave “per favore”, perché niente è scontato, niente è dovuto nemmeno per e da una macchina.

L’anima che Asimov consegnava alla macchina l’abbiamo davvero venduta o perduta oggi, perduta in nome di un eterno apparire ologrammi di un mondo sempre connesso, acceso fuori ma spento dentro. E intanto le nuove generazioni, fatte di belle luci, si annebbiano fra il disagio nichilistico del vuoto e la paura costante del giudizio di questo politically correct, fra la corsa al primato di qualsiasi genere – anche il peggiore purché se ne parli – e l’ansia sociale.
Il Canto di Natale è vuoto, caro il mio Dickens, e la selva del mondo distopico si affolla di disagio. Basta forse riscoprire una parola chiave di gentilezza per aprire la porta di nuovo alla forza del Sogno? Voglio credere ad Asimov.

Chiara Bentivegna

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Chiara Bentivegna vive e lavora a Pisa come docente di lettere negli Istituti Secondari Superiori. Diplomatasi attrice presso la Scuola Triennale di Avviamento al Teatro "Umberto Spadaro" del Teatro Stabile di Catania è laureata in Lettere. Numerosi gli stage frequentati nel corso di questi anni soprattutto con l'Odin Teatret. Ha conseguito il master in Comunicazione Linguaggi Non Verbali - psicomotricità, musicoterapia, performance - presso l'Università Cà Foscari di Venezia. Svariate le produzioni teatrali a cui ha preso parte nel corso di questi anni, anche come regista. Ha pubblicato presso la casa editrice Libroitaliano - Editrice Letteraria Internazionale il volume dal titolo "Il canto XVI del Purgatorio: Storia della critica", e di recente, "Cinquantadue settimane e frammenti dell'anima", una raccolta di haiku non del tutto convenzionali, per l'editore Kimerik. Ha lavorato come documentalista presso il CBD (Centro Biblioteche e Documentazione) dell'Ateneo di Catania dal 1999 al 2004 e collaborato con la rivista Burioni. Ha scritto per "Animazione ed Espressione - Tempo sereno" dell'Editrice La Scuola. Oltre a svolgere la professione di docente di Lettere, insegna recitazione presso la scuola di musical ArtesTre. Chiara Bentivegna https://www.facebook.com/haikueretici/ https://www.instagram.com/chiara.benti/ https://www.kimerik.it/Autori.asp?Azione=Dettaglio&Id=11934