Comprensione: voce del verbo vivere | Franca Spagnolo

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Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.

(George Bernard Shaw)

Si racconta che Dio volle fare l’uomo a sua immagine e somiglianza così prese il fango dalla terra, lo plasmò poi soffiò nelle narici un alito di vita e trasformò quella materia in anima vivente.

Avete mai provato a manipolare un pezzo d’argilla? Credo sia un’esperienza sensoriale fantastica e non perché da Artista che plasma la creta sentire tra mani la materia che proviene dalla terra riesce a farmi vivere l’istante in cui “TUTTO” ha avuto inizio… quel soffio divino lo senti scorrerti dentro come fosse torrente che bagna il fango, quel profumo misto di terra e vita al di là degli occhi fermo tra narici e gola trasforma quel contatto in un momento di pura gioia. Provate…non bisogna essere scultori per regalarsi certe emozioni.

In questo articolo desidero parlarvi di uno tra i pittori naif italiani più noti. I paesaggi dei suoi dipinti ritraggono luoghi della pianura padana e soprattutto animali esotici e selvaggi. Avete già capito di chi sto parlando? Mi riferisco al grande Antonio Ligabue.

Antonio Ligabue

Devo ammetterlo… io adoro Antonio Ligabue! Sono affascinata da ogni piccola sfumatura del suo immenso “essere”. Nato a Zurigo il 18 dicembre nel 1899, figlio di un’italiana emigrata venne dato in adozione a una famiglia tedesca che però non legittimò l’adozione. La vita di questo Artista autodidatta è contrassegnata da dolore ed emarginazione. Nel 1913 entrò in un collegio per bambini disabili dove si distinse per le doti artistiche ma anche per la cattiva condotta. Nel 1917 fu curato in una clinica psichiatrica dove rimase per alcuni mesi, qualche anno dopo venne espulso dalla Svizzera e tornò in Italia vivendo una vita da nomade continuando a esprimere la sua genialità attraverso la pittura e plasmando sculture in argilla. Lo scultore e pittore Marino Mazzacurati scoprì il talento di Ligabue – nel 1961 insieme a Giancarlo Vigorelli organizzarono un’esposizione alla Galleria La Barcaccia di Roma presentando al pubblico alcuni dipinti di Ligabue – da quel momento l’Artista venne consacrato a livello nazionale.

Molti conoscono Ligabue come pittore ma questo genio incompreso in realtà nacque come disegnatore e scultore.  Le sculture create da Ligabue sono diverse, molte delle quali sono andate perse poiché lasciate in argilla grezza senza cottura – quelle rimaste infatti, sono state salvate e fuse in bronzo.

L’Artista usava la terra del Po per le sue opere. Lui amava la materia docile, quella che attraverso le mani e la sua arte riusciva ad addomesticare dando sfogo e forma a quella pulsione che nessun genio può trattenere…la creatività.

Ligabue masticava la terra amalgamandola alla saliva per renderla omogenea – morbida, umile serva a cospetto della sua brutale innata potenza artistica. Dopo aver abbozzato la figura definiva i dettagli con la pressione delle mani colpendo la materia con i pollici e rifinendo tutto con un oggetto affilato – occhi – code – pelo. Ogni dettaglio prendeva forma percorrendo il confine sottile che separa la coscienza umana dall’animale primordiale che vive nutrendosi d’istinto.

L’opera di cui voglio parlarvi si intitola: Animali in lotta – una scultura in creta modellata da Ligabue tra il 1936 – 1942, rappresenta la lotta tra una lince e un gatto selvatico – credo sia di una bellezza e una potenza suggestiva da togliere il fiato. La rabbia, l’aggressività dei due felini sembra venir fuori da una sorta di incanto dentro cui l’Artista si è calato tirando fuori l’angoscia di un animale ferito che estrae gli artigli per difendersi. I corpi possenti le bocche spalancate, gli occhi fissi e algidi sull’avversario pronto a lanciarsi.  Dinanzi tanta magnificenza il respiro diventa affannoso come fosse quello delle belve feroci, nella tensione dei muscoli tesi affiora la potenza barbara di un’anima inquieta. Si viene rapiti dall’immagine di una lotta combattuta da chi sa che sopravvivere vuol dire mostrarsi forti anche quando il dolore è così lacerante d’averti reso debole.

Animali in lotta – Antonio Ligabue

Sono passati molti anni da quando un meraviglioso uomo di nome Antonio Ligabue nella consapevolezza del suo immenso dolore creava magnifiche sculture, disegni e dipinti che il più delle volte donava in cambio di un bicchiere di vino o un momento di attenzione, eppure ciò che è stato questo Artista, il suo immenso talento – la sua smisurata sensibilità – il suo amore, sono rimasti lì, attaccati alle sue opere che parlano di purezza, natura, colori vividi di un’esistenza passata a desiderare solo d’essere compreso.

 

«Mamma mamma!»

«Ti ho detto di non chiamarmi mamma!»

«Allora come ti devo chiamare?»

«Non chiamarmi!».

Era questa la risposta che mia madre dava a me e mio fratello tutte le volte che il buio iniziava a penetrare la sua anima. La nostra era una vita molto serena per certi aspetti…ma tra le pieghe di un vestito steso al sole in un posto dove il vento soffia sempre molto forte, in quelle pieghe, qualcosa ci rimane attaccato… una piccola foglia una scia di polvere, e allora tutte le volte che vai a raccogliere il tuo vestito devi farci i conti con quel vento. Come lo lavi il buio dell’anima? Come lo illumini? Fissando il sole per ore? No! Perdi la vista e il buio rimane […] In punta di piedi percorsi la strada fatta di luci e ombre che portava alla sua anima. Mi fermai in ogni angolo buio – tra le mani stringevo la chiave della “stanza dei fantasmi,” con quella ogni volta aprivo la porta, prendevo una lampada e proseguivo il cammino. Fui quasi stordita dal senso di amarezza che mi pervase quando ebbi coscienza del fatto che né io né mio fratello avevamo desiderato vedere cosa si celasse dietro quella stanza e che probabilmente oltre il buio avremmo scoperto quanta luce nascondesse nel profondo nostra madre.

Tratto dal racconto – “I guardiani del faro” di Franca Spagnolo

 

Comprensione: voce del verbo vivere.

 

Namasté

Franca Spagnolo

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vaso in argilla – Franca Spagnolo