Heart – Nontiscordardimé…|Franca Spagnolo

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L’articolo che vi propongo oggi è un po’ diverso dal solito. Nella giornata in cui si celebra l’Amore, voglio regalarvi l’emozione di una storia o forse favola d’amore con dentro l’Arte, un racconto inedito scritto da me – il titolo è Heart. Ho immaginato il momento in cui il destino di due anime si compie e… buona lettura…

 Heart – Franca Spagnolo

Lo avevo immaginato in cucina ancora assonnato con addosso una maglietta, i suoi bellissimi capelli neri scombinati come i battiti di un cuore selvaggio…irregolari, mentre si preparava il pranzo da portare con sé al lavoro. Tagliava il pane – apriva il frigorifero, prendeva l’incarto degli affettati, scartava la confezione, con le mani sollevava le fette di mortadella e le adagiava sulla prima striscia di pane, copriva con la seconda fetta e chiudeva il panino con carta d’alluminio. Io mi ero innamorata all’istante pensando a quei gesti, alla semplicità di quel pasto genuino preparato a inizio giornata quando ancora hai tutto da organizzare e il pranzo potresti ordinarlo o consumarlo direttamente al bar – in un ristorante durante la pausa dal lavoro, ma preferisci preparartelo.

Marco si cibava di semplicità, amava tutto ciò che lo riportava alle sue origini modeste perché non dimenticasse da dove arrivava. Ogni giorno pranzava con il suo panino che consumava fuori dal suo ufficio seduto su una panchina nel parco adiacente l’edificio. Amava quel momento della giornata in cui l’unica cosa che vedeva intorno a sé era il verde degli alberi, il suono della natura, e il cielo che sopra di lui gli regalava l’immagine del mondo che custodiva dentro, che pochi conoscevano… e forse neppure così profondamente.

14 febbraio ore 13 e 17 di ritorno a casa dal lavoro, decisi di fare il tragitto a piedi. Era una bellissima giornata, sembrava quasi primavera e io volevo godermi il calore di quelle ore a cavallo del primo pomeriggio. A un certo punto mi trovai davanti la facciata di un edificio dove qualcuno aveva riprodotto un’opera di Keith Haring – Heart.

Heart Keith Haring

Rimasi incantata, cercai in borsa il cellulare per scattare una foto ma si sa, noi donne nelle borse ci portiamo dietro il mondo, e quando cerchi qualcosa di fretta è come cercare l’ago nel pagliaio, perciò entrai nel grande giardino posto lateralmente al marciapiede per appoggiarmi su una panchina e recuperare nei meandri della mia casa da tracolla il cellulare.

Mi sedetti sulla prima panchina non occupata, infilai le mani in borsa e frugando per qualche minuto riuscii a trovare il telefono. Andai davanti al murale per scattare la foto. Intenta a inquadrare l’opera non mi accorsi che la tracolla della borsa era scivolata sul braccio e d’improvviso ogni cosa del mondo che nascondevo all’interno di quel pezzo di stoffa colorata, precipitò a terra spargendosi qua e là tra il viavai di gente. Alzai gli occhi al cielo recitando una di quelle frasi d’occasione poco consone alla grazia femminile ma perfettamente adeguate alla rabbia del momento.

Sentii provenire dietro le mie spalle il suono di una voce maschile che si rivolgeva a me, senza far caso a ciò che diceva quella voce mi girai di scatto per capire quale verbo avessi dovuto coniare per scaricare il fastidio che d’improvviso m’aveva assalita udendo e immaginando lo scocciatore di turno pronto a fare battute idiote. Prima di vedere che faccia avesse quella voce ne avvertii il profumo…sembrava quello del bucato appena lavato che ti fa pensare a un campo di fiori.

Un secondo…un solo secondo e fu come attraversare il cielo azzurro di quella giornata d’inverno a passeggio con la primavera. Ebbi la sensazione di essere stata ipnotizzata, ascoltavo quello sconosciuto parlare ma non capivo nulla, ero completamente estasiata dall’immagine di quell’uomo che profumava di fiori di primavera e aveva negli occhi l’infinito.

«Tieni…spero tu non sia superstiziosa, lo specchietto si è rotto!»

«No no grazie.»

«Conosci l’artista dell’opera? L’opera originale intendo. Ero seduto sulla panchina e ti ho vista fotografare il murale.»

«Si, è di  Keith Haring, un artista statunitense considerato da molti il padre della  street art

«Ah però…sei informata. Pensavo fossi una di quelle persone che se ne va in giro a fotografare opere d’arte di cui non conosce neppure il significato per postarle sui social.»

«Beh grazie…pensa che io credevo fossi un idiota e adesso scopro che lo sei.».

Lo vidi scoppiare a ridere, una risata bella, di quelle contagiose che spazzano via ogni tormento.

«Mi chiamo Marco, lavoro nel palazzo di fronte, vengo ogni giorno qui nel parco a pranzare. Mi piace stare a contatto con la natura.».

Lo guardavo, osservavo i suoi gesti. Aveva mani bellissime, carnagione ambrata. Si passava le dita fra i capelli cercando di dargli un verso, ma ogni ciuffo sembrava avere una molla che a ogni tocco lo faceva tornare nella posizione di partenza.

«Sei arrabbiata con me? Io scherzavo…ho capito subito che fossi una donna colta e intelligente. Dai sediamoci un attimo, fammi compagnia. Come ti chiami?»

«Wow, oggi il mio intuito ha fatto strike…»

«Cioè?»

«Mi ha suggerito che fossi un idiota e anche paravento. Mi chiamo Angela. Forse non sono molto intelligente e neppure tanto colta ma so distinguere il vero dal falso…direi che come dote non è male…».

Marco mi fissò, ci guardammo per un minuto…60 secondi d’interminabile scambio silenzioso.

«Angela per favore vieni con me, accomodiamoci su una panchina. Io tra un po’ devo tornare in ufficio e non ho ancora pranzato.»

«Quindi?»

«Quindi mettiamoci seduti che ti offro anche metà del mio pranzo.»

«E chi ti dice che io abbia fame? E poi sei sicuro che accetti il tuo pranzo?»

«Non tutto, ho detto metà. Quindi hai fame…volevi tutto il mio pranzo!»

«Io non volevo proprio nulla. Non accetto caramelle dagli sconosciuti.»

«Caramelle? Angela io a pranzo non mangio caramelle.».

Arrivammo davanti una panchina e ci mettemmo seduti uno di fronte l’altro:

«Ecco, ti faccio vedere cosa mi sono preparato.».

Tirò fuori dalla giacca del giubbotto una bustina, dentro la bustina una sacchetto di carta da pane con all’interno un panino avvolto nella carta d’alluminio:

«Pane e mortadella, puoi dividerlo con le tue mani se vuoi, attenta che sono un architetto e mi accorgo se le parti non sono uguali…non barare.».

Esplodemmo in una risata fragorosa – complice, una di quelle che solo due anime affini possono vivere. Strano come l’amore riesca a travolgerti e ancora più bizzarro è il modo in cui si insinua nello strato più profondo del derma per fluire in ogni parte del corpo attraverso ogni arteria. La verità è che io quell’uomo lo sentii scorrermi dentro da subito e scoprii che quel momento era l’unico che avrebbe potuto accogliere l’amore che legava le nostre anime da sempre.

Nei giorni successivi a quell’incontro, io e Marco ricordammo di esserci incrociati 20 anni prima in un pub della nostra città, ci eravamo scambiati anche qualche battuta ma non era successo niente, il destino era rimasto lì, cristallizzato in quel tempo silenzioso ad attendere il nostro ritorno. Le nostre vite avevano preso strade diverse perché l’amore sboccia nei cuori che battono con lo stesso ritmo e la vita è piena di percorsi da fare soli e in compagnia di viaggiatori che ci mostrano in quali luoghi “dobbiamo” tornare.

«Allora Angela, delizia il mio pasto parlandomi di Heart

«Scusa ma io starei mangiando… e poi se sei così esperto perché non me ne parli tu?»

«Io ti ho offerto il pranzo preparato con le mie mani, dovrai ripagarmi in qualche modo no?»

«Considerato che sono seduta qui vicino a te e ho accettato di mangiare metà del tuo pranzo perché mi hai chiesto di farti compagnia, direi che se c’è uno che deve ringraziare quello sei tu.»

«Hai ragione, ti ho chiesto io di farmi compagnia ma più ti guardo e più mi innamoro…penso che in ufficio ci tornerò domani, quindi devi ripagarmi delle ore di lavoro che perderò oggi per stare con te.»

«Io più ti ascolto e più capisco quanto deve essere faticoso vivere con una mente che partorisce cavolate gemellari senza travaglio.»

Marco scoppiò a ridere poi mi fissò e disse:

«Hai ragione a volte sono un cretino ma noi uomini siamo così…ci piace giocare.»

«Noi donne invece prendiamo tutto sul serio. Anche il gioco è una cosa seria, devi imparare le regole del gioco – barare se serve e soprattutto saper perdere. Ci avevi mai pensato al gioco considerando tutti questi aspetti?»

«Cavolo no! Quindi mi stai dicendo che se una donna gioca un uomo potrebbe non accorgersene?»

«Ti sto solo dicendo che anche il gioco ha le sue regole.»

«Certo ma ognuno ha le sue…o sbaglio?»

«Non sbagli.» Modulai il suono della voce abbassando il tono, chinai in avanti il busto protraendolo verso di lui, fui quasi vicino al suo orecchio sinistro, sussurrando dissi: «Ora taci che ti parlo di  Keith Haring.».

Lo vidi sgranare gli occhi e subito dopo scuotere la testa come avesse percepito un colpo.

«Ti ascolto…»

«Bene, mi piace che tu dica questo.»

«Cosa? Che ti ascolto?»

«Esattamente. C’è molta differenza tra ascoltare e sentire…per sentire bastano le orecchie, per ascoltare bisogna far leva su tutti gli altri sensi, un po’ come succede quando si sta davanti un’opera d’arte, non è necessario solo vederla, devi guardarla, calarti nei panni dell’artista che l’ha creata, percepire i battiti del suo cuore mentre dava forma all’opera, cercare il punto di contatto con l’anima del genio che trovi solo se riesci a trapassare la materia e ti fai abbracciare dall’energia che emana.»

Marco mi guardò disorientato poi disse:

«Oltre a metà pranzo e le ore di lavoro perse, credo tu debba pagarmi anche una seduta dallo psicologo…»

«Una seduta dallo psicologo? E perché?»

«Perché sto impazzendo davanti al tuo modo di percepire l’arte.»

«Che vuoi dire?»

«Voglio dire che sto perdendo battiti ascoltando la passione che hai dentro, tra qualche minuto il mio cuore si fermerà e riprenderà a battere solo se mi bacerai come nella famosa favola…»

«Quindi non ti serve uno psicologo ma un rianimatore? Però non sei molto esperto di favole…non hai molta memoria, era il principe a baciare la bella addormentata non la principessa a baciare il principe. Considerato che non sto dormendo e anzi sono abbastanza sveglia, direi che ti è andata male stavolta.»

«Infatti io non sono un principe e credo tu non sia una principessa, non ti vedo come Aurora la bella addormentata, sei più come la fata Malefica che fece l’incantesimo, sei pungente come l’ago che ferì la principessa…».

Ci guardammo – ricominciai a parlare:

«Keith Haring è cresciuto in mezzo all’Arte. Sapevi che il padre era un fumettista? Diciamo che l’ispirazione arrivava proprio dai personaggi che vedeva creare dal padre. Lo stile di  Haring è riconoscibile, forme essenziali, colori accesi che rimandano a un mondo di fantasia dove la vita è gioia, l’essere umano e le emozioni sono al centro dell’universo. I soggetti preferiti da questo genio sono gli “omini”, pupazzi dalle sembianze umane piuttosto semplici tanto da non poterne identificare il sesso l’età e l’etnia. A parte le mura della città, Haring dipingeva a porte aperte in un semplicissimo magazzino – lui desiderava che chiunque potesse essere partecipe della sua arte, ogni passante curioso che si fermava a osservalo e volesse offrirgli consigli su ciò che stava creando, era benvenuto.

Ebbe successo e fama nel 1982 dopo una mostra a   New York, in un secondo tempo la sua notorietà e soprattutto la sua Arte, approdò in Europa e in Italia. A Pisa realizzò un’opera molto famosa – Tuttomondo, un murale sulla parete del Convento di Sant’Antonio. Lui stesso raccontò che nei giorni in cui realizzò il disegno, alloggiava in un albergo con le finestre che si affacciavano di fronte il muro del convento e perciò anche quando riposava si divertiva a guardare le reazioni della gente che si fermava a ogni ora del giorno e della notte ad ammirare l’opera.

Heart è un’altra tra le opere più famose dell’Artista, è l’immagine di due omini che sembrano danzare mentre sorreggono un cuore grande che batte. Gli omini non hanno sesso, perciò rappresentano l’amore che non distingue genere – quello puro che si fa trasportare solo dalle emozioni. Fondo bianco come la luce, cuore rosso che irradia con i suoi battiti e figure dalle forme semplici a rappresentare l’umanità intera che prende e restituisce energia dal flusso dei raggi. Keith Haring era dichiaratamente omosessuale, nelle sue opere spesso vengono rappresentate la sofferenza e le battaglie con il mondo, riguardo la diversità di genere. Il 16 febbraio 1990 muore a causa di complicanze dovute all’AIDS, prima di morire consumato da questa malattia fondò la Keith Haring Foundation per supportare tutti i giovani colpiti come lui da questa grave patologia che a quei tempi era divenuta una vera piaga nelle vite di molti. L’amore è il sentimento più semplice che esiste e tutti hanno diritto a viverlo a prescindere dalle inclinazioni sessuali, non credi? Allora? Che ne dici della mia esposizione? Anzi…delle mie suggestioni d’Arte? Tu cosa cosa pensi dell’amore?».

Marco si alzò dalla panchina, lo vidi percorrere qualche metro e dirigersi davanti la composizione floreale istallata al centro del parco in occasione della festa di San Valentino – una specie di segnale stradale a forma di cuore che dalla base fino alla cima era interamente ricoperto da fiori coloratissimi. Sfilò dal mucchio un mazzetto di fiorellini azzurri. Tornò indietro, si mise seduto di fronte a me e disse:

«Nontiscordardimé – questi fiori simboleggiano l’amore eterno, la fedeltà e soprattutto la memoria…l’invito a non dimenticare chi amiamo e ci ama. La leggenda narra di due innamorati che raccoglievano fiorellini azzurri sulla sponda di un fiume, l’uomo scivolò e la corrente del fiume se lo portò via ma prima di essere inghiottito lanciò i fiori alla donna che amava urlando: “Nontiscordardimé!”. Angela questi sono per te. Ti amo… Buon San Valentino!»

«No va beh…idiota paravento e romantico?»

Marco prese la mia mano destra, la baciò poi disse:

«Non sono romantico, forse sono un idiota e anche un po’ paravento…lo ammetto! In questo momento l’unica cosa che voglio è baciarti. Giuro che dopo se vuoi sparisco. Baciami!»

«Ma chi ti conosce? Ti saluto! Ciao.».

Feci per alzarmi dalla panchina, sentii la mano di Marco afferrarmi il braccio sinistro – mi sedetti… io e lui di nuovo faccia a faccia. Improvvisamente udimmo il rumore di una brusca frenata, un gran botto. Un tamponamento di due auto. Ascoltammo una musica quasi assordante uscire da una delle due vetture: L’amore è una cosa semplice di Tiziano Ferro.  

“E sarò quello che non ti aspettavi

Sarò quel vento che ti porti dentro

E quel destino che nessuno ha mai scelto

E poi l’amore è una cosa semplice

E adesso, adesso, adesso te lo dimostrerò…”

Io e Marco ci baciammo, un bacio lunghissimo, caldo – romantico –  passionale, uno di quelli che ferma il respiro…il preludio di un amore senza fine che nasce e cresce in quello spazio di tempo chiamato eternità.

 

Buon San Valentino a tutti.

Namasté

Franca Spagnolo

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Franca Spagnolo