Alberto Verzè, scrittore, si racconta e ci presenta il suo ultimo romanzo, “Gli indiavolati” | INTERVISTA

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«La bellezza della letteratura risiede nel creare mondi, nel creare vite che trapelano dalle pagine come respiri. Ogni volta che prendo in mano un libro, vengo subito catapultato in un universo parallelo, fatto d’immaginazione e creatività.» (Alberto Verzè)

Alberto Verzè

Ciao Alberto, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale scrittore?

Sono un giovane scrittore di Verona con la predilezione per i romanzi gialli, noir e thriller. Fin dalla giovane età mi sono immerso negli scritti di Stephen King, Bram Stoker e Jeffery Deaver, masticando per diversi anni le loro storie. Finché, un giorno, ho deciso di mettere nero su bianco la mia immaginazione, darle un senso, una vita. Scrivevo su quadernoni A4 che mia madre comprava alla bottega vicino casa. Riempivo d’inchiostro quelle pagine, senza mai tirarmi indietro, giorno dopo giorno. Poi, con il passare degli anni, ho perso quella genuina passione. Tuttavia, non ho mai abbandonato la lettura, che ancora oggi è una mia amica fidata.

Infine, nel 2020, la lampadina è tornata a brillare. E la mia mente ha partorito così il primo romanzo.

Chi è invece Alberto al di là della sua passione per la scrittura e per i libri? Cosa puoi raccontarci della tua quotidianità?

Sono un ragazzo solare (forse anche troppo), testardo, pacioso e con la perenne voglia di imparare qualcosa di nuovo. Lavoro per un’azienda multinazionale operante nel settore farmaceutico come coordinatore finanziario per un modesto reparto. Amo, appunto, leggere, correre, guardare film, passare serate con la famiglia e amici e la musica. Sono sposato dal 2019 e due mesi fa mia moglie ha dato alla luce la nostra bambina, Ambra. Un miracolo che riesce sempre a stupirmi, incessantemente.

Qual è il tuo percorso accademico, formativo, professionale ed esperienziale che hai seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire i panni dello scrittore?

In realtà il mio percorso accademico è costellato di nozioni economiche e finanziarie. La scrittura è stata accantonata per diversi anni, abbandonata nell’angolino delle passioni quasi dimenticate. Tutto è nato durante la prima ondata di Covid, nel marzo 2020. Stavo leggendo l’ennesimo libro di Stephen King, quando ho confidato a mia moglie che da piccolo pure io scrivevo qualcosa. Nulla di che, capiamoci. Ma pur sempre qualcosa. Lei allora mi ha suggerito di provare a buttare giù qualche parola al computer. L’ho guardata dritta negli occhi per diversi secondo e mi sono detto: “Diamine, perché no?”

È iniziato tutto per gioco, quindi. Un gioco che alla fine mi ha regalato diverse soddisfazioni. In parole povere, devo ringraziare mia moglie se ho stretto nuovamente tra le braccia la mia vecchia passione.

Come nasce la tua passione per scrittura e per i libri? Chi sono stati i tuoi maestri e quali gli autori che da questo punto di vista ti hanno segnato e insegnato ad amare i libri, le storie da scrivere e raccontare, la lettura, la scrittura e l’arte nelle sue varie forme espressive?

Come già ho accennato nella prima domanda, la passione per la scrittura e per i libri nasce fin dalla tenera età. Ricordo che la prima volta che ho finito di leggere un libro di King, mi sono sentito come posseduto da qualcosa di nuovo che aveva preso subito a strisciare dentro di me. La sua scrittura e le sue storie avevano attivato una leva nascosta nel mio inconscio e da allora ho amato ogni suo romanzo. Ci sono poi stati tantissimi altri autori che mi hanno fatto avvicinare alla letteratura, ma mai nessuno come Stephen King. Lui, d’altronde, è unico, inimitabile.

Ci parli del tuo ultimo romanzo, “Gli indiavolati”? Come nasce, qual è l’ispirazione che l’ha generato, quale il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quali la storia che ci racconti senza ovviamente fare spoiler?

“Gli indiavolati” è stato il mio secondo romanzo, edito da Edizioni Effetto. L’ispirazione è nata grazie a due film: “Il caso Spotlight” e “Regression”. Ho deciso di unire le due tematiche trattate nelle pellicole e, così facendo, mi sono ritrovato tra le mani una nuova storia. Il libro infatti accarezza due temi alquanto demonizzati: le sette sataniche e gli abusi perpetrati dai preti proprio a Boston, dove è ambientata l’intera vicenda. Il messaggio che vorrei far passare al lettore è che il male è insito nell’essere umano, da sempre. Sta a noi combatterlo e incatenarlo in fondo all’anima. Dopotutto, come ho scritto anche nel romanzo, ognuno di noi ha i propri demoni e chi non è in grado di fronteggiarli perde la propria umanità.

Vi lascio qui la trama: «Boston, Massachusetts. Due preti sono stati uccisi in modo efferato, disumano. La prima vittima ha la schiena scuoiata, mentre la seconda è senza testa, tranciata di netto. Sulle scene del crimine, la Scientifica ha rinvenuto la firma dell’assassino: A.B. A.G. Gli Indiavolati. In calce, una croce capovolta. La Omicidi sospetta un movente satanico, un rituale di magia nera che ha portato alla morte i due religiosi. Ma quelle lettere e quelle parole fanno scattare qualcosa nella mente del capitano David Carlson. Gli Indiavolati non è il nome di una setta satanica, bensì di una band…».

Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre lo scrivevi?

Ho scritto questo romanzo per un pubblico adulto, per gli amanti del genere noir. Il mio primo scritto, invece, era rivolto a un pubblico più giovanile. Certo, sempre di un thriller si tratta, ma con protagonisti dei ragazzi di vent’anni che, goffamente, arrivano alla soluzione del caso, senza l’ausilio del classico detective, polizia o FBI. Diciamo che “Gli Indiavolati’’ è stato quasi un esperimento, un modo per testare i miei limiti. E direi che il risultato è stato, tutto sommato, soddisfacente.

… e gli altri tuoi libri? Ci racconti di qualcuno dei tuoi romanzi e dei successi che hanno avuto?

Prima di “Gli Indiavolati’’, ho scritto il mio primo libro intitolato “La stanza dei serpenti’’, edito da Viola Editrice. Un romanzo thriller, ma anche di formazione, dove i protagonisti crescono di pagina in pagina e accompagnano il lettore mano nella mano fino alla soluzione del caso. L’empatia qui è molto forte e il romanzo presenta chiare sfumature kinghiane. Devo dire che “La stanza dei serpenti’’ mi ha regalato tantissime soddisfazioni. Difatti, sono riuscito ad accaparrarmi vari premi letterari: premio Melagrana Città di Caserta, Residenze Gregoriane (miglior romanzo thriller) e premio internazionale A.S.A.S. di Messina. Da riportare anche il secondo posto al concorso Bestseller Condiviso, il premio della critica al concorso internazionale Città di Cefalù e la segnalazione di merito al concorso internazionale di arte letteraria Cygnus Aureus.

Inoltre, il romanzo è stato finalista al prestigioso premio internazionale Ceresio in Giallo, aggiudicandosi una menzione speciale della giuria.

Una domanda difficile, Alberto: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “Gli indiavolati” e gli altri tuoi libri? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarli.

È sicuramente una domanda difficile, alla quale cercherò comunque di dare una risposta. “Gli indiavolati’’ e “La stanza dei serpenti’’ sono due romanzi molto distanti tra loro, appartenenti a due mondi diversi. Sono sicuro che il primo possa essere di interesse a tutti coloro che amano il giallo, il sangue e le storie con protagonisti detective con passati oscuri e scabrosi. “Gli indiavolati’’ arriva a lambire il male che ristagna nell’anima di ogni singolo essere umano, strizzando l’occhio all’esoterismo e alla verità celata dietro a un’apparenza idilliaca, ma il più delle volte ingannatrice.

Il secondo è dedicato a tutti quelli che cercano un thriller non convenzionale. A tutti quelli con la lacrima facile, che vogliono comunque emozionarsi leggendo una storia misteriosa, con un finale davvero sconvolgente e inaspettato.

Quindi, perché non comprarli?

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? La bellezza letteraria e della scrittura in particolare, la bellezza nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

La bellezza della letteratura risiede, secondo il mio umile parere, nel creare mondi, nel creare vite che trapelano dalle pagine come respiri. Ogni volta che prendo in mano un libro, vengo subito catapultato in un universo parallelo, fatto d’immaginazione e creatività. Il lettore è come se si prendesse una pausa dal mondo e iniziasse a vivere un’altra esistenza. D’altronde, citando lo stesso Eco: “Chi non legge, a settanta anni avrà vissuto una sola vita, la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’Infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.”

Per me è questa la bellezza dell’arte in generale: riuscire a far scordare al singolo i problemi della vita di tutti i giorni, far scoppiare dentro il suo cuore nuove emozioni. Emozioni che non passano solo attraverso gli occhi, ma anche attraverso qualcos’altro che nessun uomo è in grado di spiegare…

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

Diciamo entrambe le cose. Quando lavori per una passione, l’impegno e la determinazione sorgono spontanei. Fai di tutto per tenertela stretta, per non abbandonare i sogni in cui credi. E l’unico modo per non incappare in un errore è lavorare con costante dedizione e impegno. Poi la fortuna conta molto. Anzi, moltissimo. Dopotutto, molti autori famosi hanno ammesso che quest’ultima abbia avuto un ruolo fondamentale nelle loro carriere. Il talento è necessario, ma serve anche un orecchio disposto ad ascoltare.

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine”, ovvero, “leggere sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…

Io abbraccio, senza ombra di dubbio, l’ipotesi di Proust. Quante volte è capitato di leggere un romanzo e carpire una parte di noi tra le pagine? Più volte mi sono detto: “Questo libro sembra stato scritto per me.” Troviamo sempre punti in comune con la nostra esistenza nelle storie create da altri autori. Penso che ricercare frammenti della nostra orma nella letteratura sia una cosa del tutto normale.

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

Io credo che la storia faccia il 90%. Creare una storia originale è il vero successo. Soprattutto al giorno d’oggi, dove quasi tutto è già stato scritto. Certo, il tipo di linguaggio è importante, ma non come l’immaginazione. Gli scrittori, per raggiungere un discreto successo, devono partorire storie che il pubblico non abbia già letto. Altrimenti, il lettore si trova sempre nel medesimo loop. Certo, è molto difficile, ma non impossibile. C’è, infatti, un abisso tra un romanzo per intrattenere e un romanzo che lascia un segno profondo nel cuore. Questo abisso viene colmato solo con una storia innovativa, qualcosa di mai letto prima.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua scrittura, nella tua arte e nel tuo lavoro?

Come si suol dire, l’amore governa ogni cosa. Ed è proprio così: i sentimenti fanno danzare la penna sulla carta. Siamo ispirati perché siamo colmi di emozioni che abbiamo accumulato nel tempo. Le esperienze amorose ci hanno insegnato tantissime cose, e tutto il nostro bagaglio lo riportiamo nelle storie che produciamo. Grazie a queste emozioni, il prodotto finito sarà sicuramente soddisfacente. Se non per il pubblico, almeno per lo scrittore.

«Lasciate che vi dia un suggerimento pratico: la letteratura, la vera letteratura, non dev’essere ingurgitata come una sorta di pozione che può far bene al cuore o al cervello – il cervello, lo stomaco dell’anima. La letteratura dev’essere presa e fatta a pezzetti, sminuzzata, schiacciata – allora il suo squisito aroma lo si potrà fiutare nell’incavo del palmo della mano, la potrete sgranocchiare e rollare sulla lingua con gusto; allora, e solo allora, il suo sapore raro sarà apprezzato per il suo autentico calore e le parti spezzate e schiacciate si ricomporranno nella vostra mente e schiuderanno la bellezza di un’unità alla quale voi avrete dato qualcosa del vostro stesso sangue» (Vladimir Nabokov, “Lezioni di letteratura russa”, Adelphi ed., Milano, 2021). Cosa ne pensi delle parole di Nabokov a proposito della lettura? Come dev’essere letto un libro, secondo te, cercando di identificarsi liberamente con i protagonisti della storia, oppure, lasciarsi trascinare dalla scrittura, sminuzzarla nelle sue componenti, per poi riceverne una nuova e intima esperienza che poco ha a che fare con quella di chi l’ha scritta? Qual è la tua posizione in merito?

Secondo me entrambi i punti. Personalmente, quando leggo un romanzo mi faccio trascinare con passione dalla storia, però mi capita molto spesso di identificarmi liberamente con i protagonisti. È più forte di me, una cosa che non riesco a controllare. Anzi, quando noto che un protagonista ha qualche aspetto in comune con me, vivo la storia con maggior enfasi perché è come se anch’io facessi parte di quest’ultima. E non c’è sensazione più bella.

«Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo. (…) Ed ecco che in questa occasione non ci interessa tanto il fenomeno quasi naturale di individuazione di un nemico che ci minaccia, quando il processo di produzione e demonizzazione del nemico» (Umberto Eco, “Costruire il nemico”, La nave di Teseo ed., Milano, 2021, p.7). Riprendendo le parole di Eco, qual è il tuo nemico? Chi senti come nemico nella tua vita di oggi e chi è stato il tuo nemico nel passato? In altre parole, da cosa ti sei sentito e oggi da cosa ti senti minacciato, da un punto di vista più culturale, etico e morale, che fisico ovviamente, e contro cosa combatti nella tua quotidianità per affermare la tua personalità e portare aventi le tue idee e i tuoi progetti di vita e di lavoro?

Il mio nemico principale è sicuramente la paura. La paura di non farcela, la paura di rischiare, la paura di mettermi in gioco per affrontare nuove sfide. Il cambiamento fa paura a tutti, dopotutto. Tuttavia, da quello che ho imparato durante la mia vita, bisogna sempre abbracciarlo e impegnarsi in nuove avventure che, molto spesso, portano anche vantaggi a livello professionale. Molto spesso sono rimasto impantanato nella mia comfort zone senza ambire a qualcosa di più. Per fortuna, sono riuscito a sconfiggere questo nemico tempo fa.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Di primo acchito, scaglierei un pensiero ai miei genitori: un porto sicuro da quando ho aperto gli occhi per la prima volta. Poi i miei amici più stretti, quasi dei fratelli possiamo dire, che mi hanno sempre sostenuto, comprando i miei romanzi e consigliandoli ai loro conoscenti. Per ultima, ma sempre prima nel mio cuore, mia moglie. Devo molto a lei. D’altronde, ho iniziato a scrivere grazie al suo incoraggiamento. Senza di lei non avrei mai scritto “La stanza dei serpenti’’ e “Gli Indiavolati’’.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

“Il nome della rosa” di Umberto Eco. Per me è stato un romanzo incredibile, elaborato da una persona a dir poco erudita. Dietro questo libro, si cela uno studio notevole che in pochi scritti ho intravisto. La precisione con cui narra la vita sociale nel 1327 tra le mura di un monastero è disarmante. Il tutto viene condito con omicidi misteriosi di monaci. Un giallo storico che non lascia scampo, con un colpo di scena finale che fa rimanere di stucco.

“La verità sul caso Harry Quebert “di Joël Dicker. Ammiro tantissimo questo autore; per me è un vero genio. Qui non mi baso molto sulla sua scrittura, ma sulla storia che è riuscito a inventarsi. Non è da tutti, e un po’ lo invidio. In questo romanzo c’è di tutto: amore, vendetta, dramma, passione, mistero. Insomma, un pot-pourri che mi ha fatto estraniare dal mondo intero. Le ultime pagine le ho lette alle tre di notte, non riuscivo più a scollarmi. Finito, mi sono quasi commosso, perché, come scrive lo stesso autore: “Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito.’’

“22/11/63” di Stephen King. Per me è stato uno dei suoi romanzi migliori senza ombra di dubbio. Mi ha ispirato, mi ha fatto sognare a occhi aperti. Stephen King ha scritto un romanzo di formazione dove il protagonista viaggia indietro nel tempo per cercare di salvare il presidente Kennedy. In quel viaggio temporale riscopre però se stesso. Incontra l’amore e viene influenzato dalle vite che lo circondano in quegli anni. Il finale è stato scritto in maniera superba, quell’agrodolce che fa apprezzare la vita per quella che è.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

“The Prestige” di Christopher Nolan. Per chi ama il mistero e la magia, non può non apprezzare questo film. Immenso, con un cast eccezionale. Ho letto anche il libro, ma, devo ammettere, che questo è uno dei rari casi in cui il film supera di gran lunga il romanzo. The Prestige è una vera pietra miliare, assolutamente consigliato.

“Balla coi lupi” di Kevin Costner. Un classico, un film che penso abbiamo visto tutti. Sembra quasi di vivere nel lontano West. Fin da piccolo sono sempre stato affascinato dalla storia degli indiani d’America e qui ci si sofferma molto sulla storia di questa piccola tribù di Sioux. Il protagonista, un tenente dell’esercito americano, ne viene subito attratto e, infine, decide di vivere come loro. Ho amato l’incontro tra queste due culture così differenti. Ovviamente, ho letto anche il libro e, pure quest’ultimo, mi ha colpito in modo particolare.

“Le ali della libertà” di Frank Darabont. Un film che prende spunto dal racconto di Stephen King in “Stagioni diverse’’. Che dire? Emozionante fino al midollo, una storia che tratta temi come la redenzione e la voglio di ricominciare. L’intera vicenda si svolge tra le mura di un carcere nel Maine. Qui il protagonista incontra il dolore, ma anche l’amicizia. Un’amicizia così genuina e pura che riesce a mondare la sua anima. Il finale è da strappalacrime. Quindi, tenete a portata un pacchetto di fazzoletti.

Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni culturali, letterari e professionali, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnato che puoi raccontarci?

Un anno fa ho concluso la stesura del mio terzo romanzo, affidandolo all’agenzia letteraria Brassotti. A maggio 2022, invece, ho iniziato a scrivere il mio quarto romanzo. Quest’ultimo è un lavoro molto lungo che ho deciso di svolgere con tutta la calma possibile. Mi serve tempo perché, a differenza delle altre storie, la trama è parecchio complicata. Quindi, meglio prendersi tutto il tempo necessario. Tornando al terzo romanzo, la storia sarà ambientata proprio a Verona, nella mia terra natia. Devo ammettere che è stato piuttosto divertente ripercorrere tutti i luoghi che ho frequentato, riportandoli tra le pagine di Word. Spero che il lettore possa apprezzare questo aspetto che fa parte di me, nel profondo.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

I miei lettori potranno seguirmi su Instagram, Facebook e Goodreads. Sotto lascio tutti i link necessari.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa intervista?

Leggete, prendete in mano un libro e fatevi catturare dalla storia. Perché leggere, dopotutto, è il cibo dell’immaginazione.

Alberto Verzè

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Alberto Verzè

Il libro:

Alberto Verzè, “Gli indiavolati”, Effetto ed., 2022

https://www.amazon.it/Gli-indiavolati-Alberto-Verz%C3%A8/dp/8832195372/ref=sr_1_1

Andrea Giostra

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Andrea Giostra al mercato di Ballarò a Palermo_Ph. Mapi Rizzo