Grazie di tutto. ꟾ Franca Spagnolo

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Mio padre non ha fatto nulla di insolito. Ha fatto solo ciò che i papà dovrebbero fare: essere lì.

(Max Lucado)

Mio padre era lì negli infiniti silenzi che raccontavano la sua immensa saggezza, la grandezza di un uomo capace di affrontare la vita con l’unica cosa che non ha mai abbandonato fino al suo ultimo respiro – Il coraggio. Un uomo che aveva capito quanto subdola potesse essere la paura e ancora più mendace e pericoloso fosse arrendersi all’oblio – perché vivere è il percorso durante il viaggio, magari all’interno di un vagone affollato dove a volte non si riesce a godere nemmeno del panorama che scorre fuori – in piedi – dignitosamente fino alla meta, contenti di avere avuto la fortuna di salire sul treno. È nel coraggio che mio padre ha edificato il suo cammino terreno, e su quel treno dove ha sempre viaggiato in piedi è riuscito a godere di panorami bellissimi regalando a chi lo amava la potenza di una visione che attraversa gli angoli duri e appuntiti di un’esistenza difficile – levigando con pazienza – costanza e intenzione ogni spigolo… perché tutto ciò che è scritto debba succedere – prima o poi succede.

 

Nella giornata in cui si celebra il Papà, voglio ricordare mio padre scomparso il 4 giugno del 2020, dedicandogli un articolo sulla sua amata terra – Stilo – Borgo in provincia di Reggio Calabria considerato uno dei più belli d’Italia. Un posto suggestivo situato ai piedi del monte Consolino arroccato sulla fiumara e con una vista mozzafiato sul mare Ionio. Stilo è uno di quei paesi dove ogni singola pietra testimonia millenni di storia, lotte, insediamenti, colonizzazioni che l’intera area geografica ha subito nei secoli.

La nascita di Stilo è avvolta da diverse leggende che ci tramandano il passato di un popolo pacifico intento a trovar riparo dalle continue molestie e insediamenti di feroci saccheggiatori, combattuti con astuzia – solerzia e coraggio tipico dei popoli che hanno in sé l’amore verso la terra natale – quella che tra il fitto sottobosco delle Serre – i gatti selvatici – gli agrifogli – l’acqua cristallina delle sorgenti – la vastità del mare,  disegna l’anima fiera di ogni singolo calabrese – preziosa quanto inespugnabile – da difendere a qualsiasi costo.

Si narra che in un’epoca non precisata i Turchi arrivati in marina avessero tentato più volte l’assalto e alla fine rendendosi conto che la conquista con le armi non fosse possibile tentarono di fare arrendere gli stilesi per fame: si accamparono fuori le mura di cinta lanciando in modo continuo frecce e pietre costringendo la gente del posto a non poter fare altro se non difendersi. Successe che una mattina mentre gli uomini che sorvegliavano ed erano ai posti di combattimento mentre le donne rimanevano chiuse nelle case, un giovane guerriero bussò a ogni porta ordinando a tutte le puerpere di non allattare per un giorno i loro bambini e raccogliere tutto il latte in un recipiente di rame. Il giovane guerriero con tutto il latte raccolto preparò polpette di ricotta che iniziò a lanciare sull’accampamento del nemico. Alla vista del cibo, i Turchi pensarono che se gli abitanti del posto potessero permettersi il lusso di sprecare cibo, sicuramente avrebbero resistito ancora molto tempo all’assedio, perciò decisero la ritirata.

Il popolo stilese dopo quel giorno cercò invano il giovane che attraverso le sue gesta li aveva salvati, ma non lo trovarono così pensarono che quel miracoloso aiuto fosse arrivato dal cielo e quel guerriero non fosse altro che San Giorgio. Da quel momento San Giorgio venne proclamato il Santo protettore del paese.

Stilo è uno di quei posti dove il calore del sole sembra fondersi nei sorrisi della gente – confortevole culla per quelle anime in cerca di rifugio dal vivere caotico di città grigie che a volte sembrano portarsi via il respiro. Attraversare il paese a piedi vuol dire regalarsi un viaggio nel tempo ammirando gli incanti architettonici frutto delle innumerevoli invasioni storiche – Normanne, Sveve, Angioine, Aragonesi e Borboniche.

La fontana Gebbia di evidente influenza araba – la chiesa rinascimentale di San Francesco ricostruita in stile barocco dopo il terremoto del 1783 dove entrando si rimane affascinati e quasi storditi quando davanti gli occhi appare un magnifico altare in legno settecentesco con la pala della Madonna del Borgo: posso assicurarvi che in ogni millimetro scolpito di quel legno si percepisce nettamente la grandezza divina. Dirimpetto la chiesa – nella Piazza – la statua in Bronzo omaggio allo stilese Tommaso Campanella – teologo, filosofo, poeta e frate domenicano. Preferisco non aprire una parentesi su quello che io considero un illuminato, poiché descrivere la grandezza di questo essere umano in poche righe, mi sembrerebbe quasi sminuire la forza e il valore di un’intelligenza sublime capace di pensieri rivoluzionari, voglio citare due soli titoli a manifesto di una mente così straordinariamente libera: “Città del Sole” e “Apologia pro Galileo” …cercate – ovunque… e troverete.

Tommaso Campanella

Sono molte le bellezze da ammirare a Stilo ma io voglio soffermare la mia attenzione su una in particolare e su un affresco che si trova all’interno di una Chiesa riconosciuta da tutti i critici d’arte un’opera UNICA come costruzione ed equilibrio architettonico – La CATTOLICA.

La Cattolica

La Cattolica di Stilo è un piccolo gioiello bizantino – una chiesa a pianta centrale di forma quadrata che ha come tetto cinque piccole cupole. Dal 2006 entrata nell’elenco dei candidati a diventare siti patrimonio dell’umanità nella lista UNESCO. Questa meravigliosa opera è stata costruita con muratura in mattoni di provenienza dalle botteghe romane del III secolo D.C. – l’archeologo Francesco Cuteri infatti, reperì nella parete occidentale esterna della muratura, un mattone con un marchio che riferiva tale appartenenza. Probabilmente i mattoni provenivano da una villa romana dell’allora contrata Maddaloni (Stilo), riutilizzati successivamente per la costruzione del tempio.

L’interno della chiesa è suddiviso in nove parti da quattro colonne, l’area centrale e gli angoli sono coperte da cupole che si innalzano su colonne dello stesso diametro – la cupola centrale è più alta anche se di poco e ha un diametro maggiore delle altre. Sulla parte orientale sono presenti tre absidi.

Entrare all’interno di questo capolavoro bizantino è come trovarsi nel mezzo di un viaggio catàrtico dove a ogni passo del percorso l’anima sembra elevarsi a un gradino superiore e ogni frammento di oscurità pare dissolversi in quello spazio di luci che salgono verso l’alto e nel silenzio sacrale mostrano a l’uomo la grandezza divina. Non a caso appena entrati – sulla prima colonna a destra si ammira una croce scolpita probabilmente dai Cavalieri Templari dove appare la scritta: “Deus Dominus nobis apparuit” (Il Signore Dio apparve a noi).

Diversi sono i resti degli affreschi sulle pareti ma io voglio parlare di uno in particolare che ritengo essere di una bellezza e spiritualità tanto grande quanto significativa per ciò che rappresenta – la morte di Maria – Dormitio Virginis. Nel dipinto che nel 2017 alcuni studiosi scoprirono essere datato 1552 viene raffigurata la Vergine Maria sul letto di morte circondata dagli apostoli, Cristo in alto al centro della scena dentro una mandorla che rappresenta la fedeltà – in braccio a Dio un bambino in fasce che sta a indicare l’anima di Maria circondata dagli angeli che la accolgono. In basso un angelo che mozza le mani a un ateo che cerca di lanciarsi sul corpo inerme della Vergine.

Dormitio Virginis

Guardando questo affresco si viene colpiti immediatamente dall’immagine della Madonna, dal quel drappo di stoffa azzurra che veste ciò che rimane della vita terrena – la materia. Il volto rilassato le mani incrociate. Maria finisce il suo percorso terreno fatto di gioie, dolori, d’amore, un trapasso in cui da madre di Dio rinasce madre di ogni essere vivente e quel mantello azzurro che sembra incorniciarle il volto con delicati drappeggi – scendendo ne scoprono il candore portando la sua anima all’origine… la luce. Gli apostoli sono lì, che osservano il momento in cui lo spirito sale e il cuore ricomincia a battere nel regno dove il vento si fa energia e percorre l’universo colmandolo d’amore.

 

Mio padre se n’è andato tra gli sguardi scossi di chi lo amava – non un lamento – nessuna lacrima – è tornato luce lasciando il corpo nel modo in cui ha sempre vissuto… dignitosamente. Aveva sedici anni quando dalla sua amata Calabria arrivò a Roma con la speranza e l’intenzione di piantare le sue radici nella terra le cui pietre di un grande Impero aveva ammirato sul monte Consolino – sognando   una vita migliore nello splendore della città eterna. Niente fu semplice, ma capì quanto fosse importante dopo ogni sconfitta raccogliere i pezzi e rialzarsi – da solo – senza l’aiuto di nessuno, perché è così che si rinforzano le fondamenta capaci di resiste anche al più distruttivo dei terremoti. E quelle fondamenta tanto solide – le radici profonde di quel popolo calabrese che guardava in faccia il nemico senza abbassare il capo, sono affondate in una terra dove il sole sorge e tramonta su ciò che resta della magnificenza di un Impero capace di conquistare il mondo, e tutto è ancora qui – dentro il mio sangue che conserva con orgoglio i princìpi attraverso cui mio padre ha fatto crescere me e le mie sorelle. Non si è mai pronti alla morte di una persona che amiamo, il distacco dalla materia è più difficile per chi resta che per chi va…ma papà mi accarezza ancora, e ogni volta che lo cerco è qui a darmi quel bacio sulla fronte che mi dava ogni mattina quando ero bambina – prima di andare a lavorare. Riesco a sentire il suo profumo e la tenerezza di quel gesto che mi faceva sentire protetta e che ancora oggi ricordando – mi rende invincibile.

Caro Papà,

voglio immaginarti circondato dagli angeli – in quella mandorla – dove nessuna cosa può farti più male. A passeggio tra le nuvole mentre ogni tanto tiri fuori dalla giacca qualche ricordo e poi ci soffi sopra così che il vento attraversi l’arcobaleno e giunga a me per viverti ripensando a quei momenti. Desidero celebrarti oggi restituendoti immensa gratitudine usando le stesse parole che ti ho sentito pronunciare prima che calasse il silenzio – quando con un filo di voce mi hai guardata e hai detto: “Grazie di tutto”.

Auguri papà, grazie di tutto. Sono certa che nelle mie prossime vite ci rincontreremo e io ti riconoscerò perché nulla muore…soprattutto l’amore. Adesso e sempre TI AMO.

 

«Muore il pane e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce varie morti e vite, dolori e piaceri».

 De sensu rerum et magia – Tommaso Campanella

 

Namasté

Franca Spagnolo

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