Riflessioni giuridiche sulla tragedia di Rigopiano | di Aurora d’Errico

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Ben tornati anche oggi nella mia rubrica di Mobmagazine.it: “In salotto con Aurora”.

Da quando si è verificata la valanga di Rigopiano nel Comune di Farindola, in Abruzzo, il 18 gennaio 2017, in cui persero drammaticamente la vita ben 29 persone, si è assistito ad un accanimento mediatico contro chiunque avesse avuto a che fare con quell’hotel e dintorni. “E’colpa di quello!”; “E’ stata colpa di questo!”; “No, è colpa di quell’altro!”

E tutto questo prima ancora che venisse emanata la sentenza di primo grado del giudizio abbreviato, esattamente il 23 febbraio scorso, da parte del Giudice Gianluca Sarandrea, in cui ci sono state 5 condanne, tra cui tre per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, e 25 assoluzioni contro le richieste che erano state presentate dall’ufficio della Procura di Pescara, rappresentate dal Capo Procuratore, Giuseppe Bellelli e dai Sostituti, Andrea Papalia e Anna Benigni, oltre la condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in favore delle parti civili.

I familiari delle vittime in aula

Ovviamente, anche a seguito la lettura del dispositivo della sentenza, si è continuato a parlare di colpe, omissioni, responsabilità di quello o di questo e all’improvviso, l’aula 1 del Tribunale di Pescara, si è trasformata in una tribuna di uno stadio in cui i tifosi più “accaldati”, si sono scagliati contro l’arbitro, in questo caso contro il Giudice, per aver perso la partita. Grida, parolacce, insulti, minacce, scrivanie e sedie sollevate con forza da parte di alcuni familiari delle vittime contro un Giudice, il Dottor Sarandrea, che presuppongo, abbia applicato solo la legge, (visto che l’ art. 101 della Costituzione sancisce che: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”), in base agli elementi e le prove che ha avuto a disposizione in questi lunghi sei anni, da quando, cioè, è iniziato il processo di Rigopiano.

Il giudice Sarandrea e al suo fianco il Capo della Procura, Bellelli

Sottolineo, “presuppongo”, perché per poter comprendere e quindi conoscere il ragionamento logico-giuridico che ha condotto il Giudice ad una tale decisione, occorrerà attendere il deposito delle motivazioni della sentenza entro il termine di 90 giorni. Ma prima di scagliare giudizi azzardati e accuse senza senso, secondo il mio modesto parere, occorrerebbe per un attimo, soffermarsi su un concetto fondamentale e, purtroppo, poco conosciuto, ovvero su cosa si intenda per “giurisdizione” in materia penale. La giurisdizione consiste nell’accertamento positivo o negativo di un determinato fatto costituente reato, ovvero contrario ad una norma penale e il Giudice è la figura preposta che ha gli strumenti penali nel decidere se qualcuno debba essere punito e come, condannando solo chi risulti essere “colpevole”. I processi penali, dunque, servono a stabilire se qualcosa di illecito sia avvenuto e chi l’abbia causato.

Qualcuno presenta una denuncia, narrando uno o più fatti che si considerano criminosi, il Pubblico Ministero formula l’eventuale imputazione sul materiale raccolto e il Giudice dell’udienza preliminare, valuta, soppesa se l’assunto sia abbastanza probabile e, nel caso, dispone il giudizio.

Segue il dibattimento dove i difensori espongono ciò che intendono provare, visto che il nostro “Thema Probandi” è riferito proprio alla verifica di tutto ciò che si intende provare con testimoni, documenti, foto, ecc. … fino ad arrivare alla decisione finale, ovvero alla sentenza di condanna o di assoluzione.

Ma per arrivare ad una sentenza di condanna, è necessario che venga accertato il c.d. “rapporto di causalità”, perché questo segna il passaggio dalla “responsabilità per fatto altrui”, verso “la responsabilità per fatto proprio.”

L’esistenza del rapporto di causalità tra la condotta e l’evento, è la condizione fondamentale per l’attribuibilità del fatto criminoso ad un determinato soggetto, nel senso che, affinché un individuo venga dichiarato “responsabile”, deve aver commesso il fatto costituente reato. All’uopo è bene ricordare l’art. 40 del codice penale che dispone: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza stessa del reato non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.”

Il problema della “causalità” della condotta umana, sorge per una duplice ragione: da una parte perché ogni evento è il risultato di una pluralità di condizioni necessarie e sufficienti per il verificarsi di esso e, dall’altra, perché la condotta umana realizza “qualcuna” ma mai l’insieme di tali condizioni, concorrendo sempre con l’azione dell’uomo, condizioni esterne che possono essere poste da altri individui o da forze naturali o da animali. La condotta umana può considerarsi “causa dell’evento”, quando è “conditio sine qua non” del medesimo, in quanto senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato verosimilmente e, l’evento, al momento della condotta, era prevedibile come conseguenza verosimile di essa. Diversamente, la condotta non è causa dell’evento, anche se ne è “conditio sine qua non”, quando l’evento non era prevedibile come conseguenza verosimile della condotta stessa, cioè quando l’evento era “eccezionale”. Infatti, l’art. 45 c.p. dispone: “ Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”, nel senso in cui l’evento non era prevedibile. Ad esempio l’omicidio di un passante per la caduta di una tegola a causa dell’improvvisa tromba d’aria. Entrambi, sia la forza maggiore che il caso fortuito, escludono il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento e anche la colpevolezza. Infine, una volta conclusosi il processo ed emanata la relativa sentenza, occorrerà attendere i tempi per il deposito delle motivazioni e nel caso impugnarla attraverso altri due gradi di giudizio che sono l’appello e il ricorso in Cassazione. Solo quando la sentenza passerà in giudicato, allora, significherà che la medesima non potrà più essere modificata e diventerà definitiva ed esecutiva e quindi, non potrà più essere impugnata.

Avv. Aurora d’Errico

Pertanto, tornando alla sentenza di Rigopiano, che ha creato un vero putiferio in aula, facendo il giro di tutte le reti televisive, bisognerà attendere le motivazioni del Giudice e in tal senso, sia l’ufficio della Procura che le parti interessate, potranno decidere se proporre o meno appello.

In ogni caso, qualunque saranno le motivazioni della sentenza, resteranno due fatti devastanti ed infinitamente tristi. Da una parte, la morte di 29 vittime che non torneranno più nelle loro case, alle loro vite, ai loro cari, affranti dal dolore, dall’amarezza, dallo sgomento e, dall’altra, la triste realtà che ha dovuto affrontare il Giudice sia come uomo, prima ancora che come magistrato, che ha emesso quella sentenza nell’applicare la legge e che è rimasto immobile, impassibile, umile, fermo in piedi, al suo posto di fronte ad una platea inferocita, senza proferire una sola parola, senza reagire ad un solo insulto, minaccia, parolaccia da parte di alcuni familiari delle vittime presenti in aula.

Ogni reazione umana di fronte al dolore, alla morte, alla sofferenza di un proprio caro, è sicuramente comprensibile, ma il nostro ordinamento giuridico si fonda su uno Stato di diritto e in quanto tale, non può ammettere critiche né attacchi violenti all’operato di un Giudice, attraverso lo strumento incivile di grida, minacce e parolacce in un’aula di Giustizia come è accaduto invece il 23 febbraio scorso. Del resto: come diceva il grande Piero Calamandrei, ex membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, riferendosi alla frase che troviamo in ogni aula di tribunale, ovvero: “La legge è uguale per tutti”, è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria”.

L’aula del processo di Rigopiano

La rabbia, il dolore, l’amarezza per i familiari delle vittime esiste e va rispettata, purché non si trasformi in violenza verbale e fisica nei confronti degli altri esseri umani e, soprattutto, di chi è stato chiamato ad applicare la legge e presto, conosceremo ciò che ha indotto il giudice ad arrivare a quella decisione.

In ogni caso, di tutta l’intera vicenda di Rigopiano, resterà il fatto che nessuno potrà più riportare in vita 29 vite spezzate, sottratte prematuramente ai loro cari, alle loro famiglie e questa, è la dura e triste realtà di ciò che rimane di una vera tragedia umana.

Avv. Aurora d’Errico

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Affascinata del sapere fin da piccola, tanto che all’età di quattro anni e mezzo sapeva già leggere e scrivere, grazie alla vasta biblioteca paterna, si è sempre “cibata” di numerosi libri di ogni genere per cercare di soddisfare quella sete di conoscenza che ha rappresentato per lei il motore dominante di tutta la sua vita. Laureata in Giurisprudenza, Avvocato e Scrittrice, Master in criminologia e criminalistica, Master in diritto di famiglia, Giurista d’Europa, relatrice in numerosi convegni per la lotta alla violenza sessuale, al bullismo, allo stalking ed altri argomenti attuali, è stata ospite in diverse trasmissioni televisive oltre ad essere citata su alcune riviste e testate giornalistiche nazionali ed internazionali. E’ stata ideatrice e Presidente di “AZZURRO DONNA”, un’associazione culturale che l’ha vista in prima linea per la diffusione dei diritti civili, soprattutto nel campo femminile e la promulgazione della pace nel mondo, tanto da ottenere nel 2019 il “CERTIFICATE OF APPRECIATION”, un importante riconoscimento ufficiale per il lavoro umanitario a favore dei “diritti umani”, da parte della Presidente dell’N.O.P.H, Ambasciatrice della Pace dello Stato della Tunisia. Sempre nel 2019, riceve un altro importante premio, “PREMIO ALLA CULTURA”, come “SCRITTRICE”, per il Premio alla Buona Volontà nella città di Cuneo. Nel 2020, viene nominata Responsabile per la Regione Abruzzo dei volontari A.I.SO.S (Associazione Italiana Studio Osteosarcoma). Nel 2016 pubblica il suo primo libro dal titolo “AMORE, ADULTERIO E SEPARAZIONE”, una sorta di saggio sull’amore e sui motivi che spingono all’adulterio. Nel 2017, è la volta di “OBSESSION DEVIL”, il suo primo romanzo rosa/thriller che si svolge in Bretagna. Sempre nel 2017, “MIELE, ZENZERO E POESIA”, la sua prima raccolta di poesie, quasi tutte dedicate all’amore. Nel 2018, “SENTIERI VIRTUALI”, un altro romanzo rosa. Nel 2019 pubblica la sua prima favola “IL CASTELLO DELLE ROSE”, in cui parte del ricavato andrà in favore dell’A.I.SO.S.. Da qualche mese ha terminato il suo ultimo romanzo, la cui pubblicazione è prevista per fine estate e ha già iniziato il suo settimo romanzo, oltre ad una serie di nuove poesie e aforismi. Con la sua nomina come uno dei REDATTORI della Piattaforma di Mobmagazine.it, grazie al suo promotore, lo scrittore Andrea Giostra, avrà una RUBRICA tutta sua dal titolo: “IN SALOTTO CON AURORA”, in cui verranno trattati argomenti di arte, cultura e spettacolo, dove i lettori potranno interagire direttamente attraverso i loro preziosi commenti.