LE MISURE PER BERE IN PIEMONTE| di Caterina Civallero

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Sarà capitato anche a te: quando si ordina il vino al ristorante si tende a scegliere fra bottiglia, bicchiere o, nel caso del vino alla mescita (definito nei menù come “Vino della Casa” nonostante la sua provenienza sia misteriosa), tra caraffe da litro, mezzo litro o un quarto di litro.

Facciamo un passo indietro nella storia: pochi sanno che nel 1612 Carlo Emanuele I ordinava in tutte le terre del suo dominio, 610 comuni subalpini, una generale riforma, e la compiva in modo degno per servire da esempio ad altre nazioni. All’epoca in quei territori vi erano 19 pesi, 56 misure di lunghezza, 56 di superficie, 100 di capacità pei grani e 83 pei liquidi.

In Piemonte, dove vivo, chi parla ancora in dialetto, quando si riferisce alle unità di misura usa spesso il termine stissa, intendendo una piccola goccia di vino che si attesta fra i 2 e i 3 grammi di sostanza. Chiaramente ognuno ha un suo concetto di stissa, così chi versa si sente dire “basta grazie” quando il bicchiere è mezzo pieno, ma si è tutti concordi sulle altre misure relative alle bevande. Più precisamente, riferendosi ai vini di cui la mia regione è piuttosto fornita, forse a dispetto del sistema metrico decimale introdotto da Carlo Alberto nel 1848, o semplicemente per rispetto alle nostre origini, si usano con grande competenza tutta una serie di misurazioni.

Tutto in Piemonte parte dalla stissa e prosegue così:

Ën dil (vuol dire un dito) = da 10 a 12 cc

Bicer = da 150 a 280 cc

Quartin = 0,342 litri

Canun = da 500 a 500 cc

Bocal = 0,684 litri

Buta (significa bottiglia) = da 0,75 a 1 litri

Pinta (2 bocaj) = 1,369 litri

Pintun = da 1,7 a 2 litri

Sigilin (secchio) = da 4 a 5 litri

Gavià (intraducibile) = da 18 a 45 litri

Butalin = da 37 a 43 litri

Brenta (damigiana) = da 40 a 58 litri

E mentre nei secoli, nel centro e sud Italia si consolidava la regola di lasciare sempre un po’ di vino nel bicchiere per dichiarare che si berrà ancora (attenti a chi beve tutto fino all’ultima goccia!), grossomodo a ridosso del 1600 sulle Alpi Apuane, a proposito di misure relative alle bevande, si prendevano decisioni analoghe a quelle dei comuni subalpini.

Riporto un documento molto interessante: si tratta di una conversazione contenuta nel libro Rosso Scarlatto di Davide Baroni, stimato autore di Aulla (MS), che per la costruzione di un preciso capitolo ha magistralmente condotto una ricerca a proposito dei regolamenti sulla storia della mescita. Qui i riferimenti per acquistare il suo libro.

«Sapete che ogni brocca, in base alla capacità di contenere liquidi, ha un nome particolare?» chiese Martin, al quale piaceva raccontare aneddoti.

Avendo la bocca piena, Lara e Camillo fecero cenno di no con il solo movimento della testa.

«Questa da un litro, per esempio, si chiama tubo

«Sinceramente non lo sapevo» disse Camillo, dopo aver ingoiato il grosso boccone di panigaccio. «Ogni recipiente quindi ha un nome diverso?»

«Proprio così! La brocca da mezzo litro si chiama foglietta, poi c’è il famoso quartino. Un quinto di litro è chiamato chierichetto, mentre un decimo di litro, giustamente, è definito sospiro. Tempo fa, mentre studiavo questi contenitori per un saggio sulla storia del vino, mi sono imbattuto in un aneddoto riguardante un detto italiano molto famoso: “stare a guardare il capello”, e ho capito da cosa derivasse.»

«Interessante!» lo interruppe Camillo. «È una frase che uso spesso anch’io… e da cosa nasce di preciso?»

«Sembrerà strano, ma i capelli non c’entrano nulla. Il detto deriva dalla vendita del vino. Nel Medioevo i romani bevevano molto nelle osterie, e troppe serate finivano con risse e feriti. Alcune volte ci scappava anche il morto.»

«Immagino!» esclamò Lara.

«Dovete sapere che un tempo il recipiente del vino era di terracotta o di metallo e l’avventore non poteva sapere quanto vino gli venisse servito. A causa di questo, molte volte accusava l’oste di frode e da qui nascevano i litigi.» Martin fece una pausa e bevve un sorso di rosso: «Considerati i troppi atti di violenza» riprese lo storico, mentre si asciugava le labbra con il tovagliolo «nel 1588, papa Sisto V decise di intervenire, regolamentando la mescita, così da evitare morti inutili. Commissionò la creazione di recipienti trasparenti, con i nomi che vi ho elencato prima. Nei recipienti di vetro la misura esatta del livello del vino era determinata da una stanghetta incisa sul collo del contenitore, chiamata capello. Tutto nasce da quello. Quando un cliente si lamentava che il vino era sotto il livello indicato dalla stanghetta, l’oste gli rispondeva: “Ma che stai a guardà, er capello?”»

Da oggi, quando ordinerete un calice di vino, ricordate che i nostri avi hanno bevuto con grande rispetto per le misure. Sapevatelo…

CATERINA CIVALLERO Consulente alimentare, facilitatrice in Psicogenealogia junghiana, scrittrice

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Caterina Civallero, già coautrice con Maria Luisa Rossi dei tre saggi sul tema de La Sindrome del gemello intitolati Il mio gemello mai nato (Uno Editori 2018), Modalità gemellare (Uno Editori 2019) e Doppi per essere unici (Amazon 2020) scrive da circa quindici anni articoli, racconti, interviste, recensioni, saggi. Nella primavera del 2019 esordisce in campo narrativo con Amapola e la finestra magica − favola per grandi che vogliono crescere; a luglio e settembre dello stesso anno pubblica Figli della terra − Il canto di Nosy Be e Madagascar − un viaggio per liberare due cuori, tutti pubblicati con Amazon e consolida la straordinaria passione che ha dedicato per anni alla scrittura come gosthwriter. Attraverso il percorso olistico, negli anni, ha integrato le sue conoscenze scientifiche e letterarie con le più importanti tecniche di apprendimento evolutivo al fine di creare metodi divulgativi semplici e diretti. È Consulente alimentare, Facilitatrice di Psicogenealogia junghiana e sostiene attraverso i suoi Corsi di scrittura consapevole gli scrittori che desiderano realizzare il sogno di pubblicare un libro. Organizza e conduce seminari e percorsi individuali per favorire la diffusione di un messaggio semplice e fruibile orientato alla gestione dell’alimentazione, della scrittura alchemica e dell’apprendimento delle tecniche di psicobiologia per ottimizzare l’integrazione dei propri talenti. Nel 2020 durante il lock-down ha aiutato, in soli 40 giorni, dieci donne che si sono conosciute su Facebook a correggere, impaginare e pubblicare DONNE e un filo di Seta − dal Social al libro, un progetto editoriale firmato Rosanna Fabbricatore. A luglio 2020 pubblica lo storytelling dal titolo Certe cose capitano solo a te. Nel mese di agosto con Alessandro Zecchinato pubblica Realizzo il mio sogno − Creo Scrivo Pubblico per coinvolgere le persone che desiderano pubblicare un libro in un percorso didattico dinamico e strutturato. A settembre 2020 pubblica Un sorso e un morso, un libro straordinario, ironico e innovativo sull’alimentazione consapevole. Nel mese di ottobre 2020, insieme a Maria Luisa Rossi e Davide Baroni, già autore di Exodus – Il segreto di Mosè – (Lalli Editore 2015) e di Figli delle stelle (Booksprint 2019) pubblica, con la prefazione di Mauro Biglino, La porta d’oro – L'origine dell’immortalità. A dicembre 2021 pubblica, con Alessandro Zecchinato, Lo sviluppo quantico delle parole il libro perfetto per chi desidera ottenere il massimo risultato dalla propria modalità comunicativa; il testo è un ottimo compendio per i corsi di scrittura. Ad aprile 2022 pubblica Clessidre senza sabbia − Sopravvivere all'anoressia un libro che tratta un tema complesso e delicato affrontato in due parti: una narrativa, basata sulla storia di Alice Perdoncin; l'altra, rivolta alle soluzioni terapeutiche. Collabora con piattaforme on-line dedicate a cultura, spettacolo e società: su www.mobmagazine.com cura la rubrica intitolata Sotto palese copertura; scrive inoltre su www.fattitaliani.it e www.5wagora.com.